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Il Manchester City è ormai da un decennio ai vertici del calcio inglese ed europeo, ha una rosa di campioni in ogni reparto e una bacheca particolarmente luccicante, ma il modo in cui ha raggiunto questo status ha fatto storcere il naso a più di qualche cronista e tifoso avversario. L’avvento dell’Abu Dhabi Group, rappresentato dal chairman Khaldoon Al Mubarak ha infatti segnato un punto di svolta nella storia del club, per anni all’ombra dei più fortunati vicini dello United. In un certo senso però, nella cultura di massa, la mole enorme di successi recenti ha anche finito per oscurare quanto accaduto prima. C’è in realtà una storia ultracentennale che merita di essere raccontata. Una storia fatta di qualche vittoria e parecchie delusioni, di vicende rimaste incastonate nella leggenda e altre piuttosto tragicomiche, e soprattutto di un legame indissolubile con la propria città.

Frank Lampard non crede ai propri occhi. Non può crederci. Le sue mani, che inizialmente stavano puntando verso il cielo nella solita esultanza, si spostano repentinamente verso la testa. La reazione può essere una sola: mettersi le mani nei capelli. La sua mente è un concentrato di interrogativi, il suo volto è la rappresentazione visiva della delusione e dell’incredulità. È come se avesse visto un fantasma e non riesca a capire cosa sia appena successo. “Com’è possibile? Perché mi è successo di nuovo?”. Non esistono risposte razionali ai suoi quesiti.

Una delle prime lezioni che ho imparato nel calcio è che necessita di una squadra per realizzare i propri sogni. Sul campo di gioco seguiamo questo mantra, ma nella nostra vita sociale non lo applichiamo abbastanza. Common Goal sta elaborando una maniera collaborativa di intendere il calcio da restituire alla società. È il percorso più efficace e sostenibile con cui il mondo del pallone può avere un impatto sociale a lungo termine su scala globale. 

É la lega a cui il resto del mondo guarda come esempio, quella con il maggior impatto economico e dunque, con i calciatori migliori. É probabilmente il campionato con il maggior fascino, lo è sicuramente a livello storico. É quello che mette d’accordo un po’ tutti, perchè del resto resisterne al richiamo è praticamente impossibile. É questo e tanto altro. Signori e signore, è la Premier League, ed è finalmente tornata.

Quando l’Arsenal ha acquistato Ben White dal Brighton per circa 58 milioni di euro, probabilmente sperava in una reazione mediatica diversa. In molti hanno infatti bollato l’operazione per prelevare il difensore centrale classe 97 come avventata. Altri invece, soprattutto chi magari poco avvezzo al campionato inglese, si sarà semplicemente chiesto chi fosse, nella cui domanda è sovente implicita una certa diffidenza.

Ogni compleanno rappresenta per ciascuno di noi un momento da festeggiare, ma anche un momento in cui dobbiamo riflettere e fare dei bilanci, capire quale visione abbiamo di noi stessi e magari rispondere a quella domanda che spesso gli head hunter amano fare ai candidati in sede di primo colloquio, e davanti alla quale oggi si ritrova anche un certo Harry Kane: “come ti rivedi tra cinque anni?”

A volte si fa tutto nel modo giusto e va male lo stesso. L’importante è non smettere mai di fare la cosa giusta.

Questa frase, scritta sul retro della copertina di ‘The Hate U Give. Il coraggio della verità“, romanzo d’esordio della scrittrice statunitense Angie Thomas, mi è tornata in mente pochi giorni fa, quando, nel limite dei 280 caratteri imposti da Twitter, Marcus Rashford in un post ha scritto la seguente frase: “Why can’t we just do the right thing?” (Perché non possiamo solamente fare la cosa giusta?)

I quattro tweet pubblicati la sera del 20 luglio dal 23enne attaccante del Manchester United costituivano una risposta all’eventuale articolo che sarebbe stato pubblicato il giorno seguente dal The Spectator: secondo voci giunte allo stesso giocatore, il settimanale britannico avrebbe insinuato che egli possa trarre dei benefici commerciali dalle partnership stipulate negli ultimi diciotto mesi con vari brand per il suo impegno sociale. Accuse che, se fossero state di dominio pubblico, avrebbero messo in dubbio la buona fede di Rashford, che ha prontamente difeso le proprie collaborazioni extra-campo e messo a tacere ogni polemica ancor prima di nascere.

Basti pensare che la collaborazione con Burberry ha permesso di distribuire 200.000 pasti tra 11.000 enti in tutto il Regno Unito. Il Norbrook Youth Club e il Woodhouse Park Lifestyle Centre, due centri di quartiere frequentati da Rashford durante l’infanzia e l’adolescenza, sono state oggetto delle donazioni della nota marca di abbigliamento.

La collaborazione con la casa editrice McMillan Children’s Books, con cui una delle punte di diamante del reparto offensivo dei Diavoli Rossi ha pubblicato il libro You Are a Champion: How to Be the Best You Can Be, ha permesso la creazione del Marcus Rashford Book Club, il primo programma pensato per far sbocciare l’amore per la lettura ai ragazzi distribuendo 50.000 libri gratuiti in oltre 850 scuole primarie in Inghilterra e Scozia. Il progetto è reso possibile dalla partnership con Magic Breakfast, l’associazione che distribuisce colazioni salutari a circa 170.000 bambini ogni giorno di scuola. Il primo titolo selezionato è ‘A Dinosaur Ate My Sister’ della scrittrice Pooja Puri, mentre ‘Silas and the Marvellous Misfits’ di Tom Percival si aggiungerà alla lista il prossimo 14 ottobre.

Un mese tutt’altro che facile per Rashford

I sospetti del The Spectator si aggiungono alla scia mediatica negativa di cui Rashford è stato protagonista in questo mese di luglio: pare che sia bastato fallire uno dei rigori decisivi contro l’Italia nella finale di Euro 2020 per dimenticarsi che, negli istanti prima della battuta, undici metri separavano Donnarumma da un MBE, un Membro dell’Impero Britannico. Egli è stato nominato lo scorso ottobre dalla regina Elisabetta in persona per l’attenzione riservata alle famiglie più disagiate durante la prima fase dell’emergenza coronavirus sul suolo inglese.

Il palo colpito da Marcus Rashford contro l'Italia
L’origine di un caso mediatico (Foto: Paul Chesterton/Imago Images – OneFootball)

È bastato colpire un palo per dare vita ad un’escalation di commenti negativi sui social media e allo sfregio (poi ricoperto di cuori e messaggi solidali e prontamente ridipinto) di un murales in bianco e nero che da novembre 2020 ricorda ai cittadini di Withington (sobborgo a sud di Manchester luogo di nascita di Rashford) che quello per cui lottano inciderà più di tutto sul loro scopo.

E la sua missione, che traspare fin da quando ha esordito tra i professionisti, è servirsi della propria visibilità per far conoscere le esigenze e i problemi che attanagliano la propria comunità: una su tutte, la difficoltà di migliaia di famiglie di procurare un pasto per i propri figli. Uno scoglio che anche lui e i suoi quattro fratelli hanno dovuto affrontare quando, mentre mamma Melania era impiegata in uno dei suoi tre lavori per mantenere la famiglia, si nutrivano col cibo offerto dai negozianti del quartiere o attraverso il breakfast club, l’iniziativa pensata dal governo e attuata nelle scuole per fornire porzioni di cibo gratuite ai bambini che non hanno potuto cenare o fare colazione.

La lotta alla povertà infantile

La chiusura degli edifici scolastici a causa della pandemia per tanti avrebbe significato la mancanza totale di sostentamento e Rashford, conscio delle conseguenze, ha deciso di impegnarsi concretamente per garantire il diritto al cibo.

Per prima cosa, a marzo 2020 ha esortato i suoi follower a contribuire ad una raccolta fondi in collaborazione con FareShare, la rete benefica che dal 1994 combatte contro gli sprechi alimentari nel Regno Unito. In circa un mese, la colletta ha fruttato 20 milioni di sterline grazie anche alle donazioni delle più grandi aziende attive nel settore alimentare e alle catene di supermercati che hanno contribuito alla distribuzione. Rashford stesso ha avuto modo di sperimentare in prima persona l’operato di questa associazione.

Venuto a conoscenza dei tagli programmati dal governo per i buoni pasto gratuiti, tre mesi dopo ha scritto una lettera ai Members of Parliament in cui esortava la classe dirigente a rivedere i propri piani e a prolungare il servizio offerto anche per le vacanze estive: richiesta accolta, pericolo scampato di inedia per 1,3 milioni di bambini e honorary doctorate – dottorato honoris causa – conferito dall’Università di Manchester che gli è valso il primato di persona più giovane a ricevere tale riconoscimento.

Con l’arrivo dell’autunno, l’ambizione di Rashford si è spinta oltre: supportato da FareShare e l’ente di beneficenza Food Foundation ha lanciato la Child Food Poverty Task Force, una coalizione tra imprese del mondo food come McDonald’s, Kellogg’s, Deliveroo e catene di supermercati e negozi di generi alimentari come Tesco e Iceland.

Il report governativo della National Food Strategy, che esamina le condizioni del sistema alimentare britannico, aveva riportato tre raccomandazioni che Rashford, in una lettera indirizzata ai parlamentari, ha chiesto di seguire: l’estensione dell’Holiday Activity e del Food Programme a tutti i bambini che godono dei pasti scolastici gratuiti, l’aumento del valore degli Healthy Start vouchers a 4.25 sterline e l’espansione dei free school meals a tutti gli under 16 il cui genitore o tutore usufruisca dello Universal Credit – un sussidio mensile statale erogato a chi ha basso reddito, ha perso il lavoro o avuto una riduzione di stipendio – o di un’indennità simile.

Le prime due richieste sono state accontentate, la terza no, poiché il segretario di Stato per l’istruzione Gavin Williamson ha ribadito che il governo britannico sosteneva già le famiglie durante le vacanze con i fondi dello Universal Credit e denaro destinato ai sindaci locali.

#endchildfoodpoverty

Rashford non si è perso d’animo: ad ottobre 2020 sui social media ha ideato la fondazione End Child Food Poverty e ha chiesto di firmare una petizione per assicurare a 1,4 milioni di bambini un buono pasto da 15 sterline a settimana fino a Pasqua 2021: grazie alla sottoscrizione di 1,1 milioni di persone, l’istanza viene discussa nella Camera dei comuni, che però rigetta la mozione dei laburisti per 322 voti a 261.

Tuttavia, dove non interviene la politica, si mobilita la gente comune, consapevole che durante l’half-term (una delle vacanze intervallate al periodo scolastico) migliaia di bambini saranno affamati: dai negozietti di generi alimentari passando per le multinazionali del food alle piccole donazioni individuali, si crea una rete di solidarietà che costringe lo stesso Primo ministro Boris Johnson a ripensare alle misure adottate. L’inversione di marcia è presto fatta e a novembre 2020 viene approvato un pacchetto di riforme a supporto dei nuclei famigliari vulnerabili, con un regime di sovvenzioni di 170 milioni di sterline per l’inverno e il prolungamento dei servizi relativi fino alle vacanze di Natale 2021.

Nonostante ci sia chi, come la FIFA, riconosca l’azione quotidiana di Rashford avendo conferito a dicembre 2020 il FIFA Foundation Award e donato 100.000 sterline per la sua causa, non tutti apprezzano l’attivismo del giovane esterno dei Red Devils: la deputata di Dover & Deal Natalie Elphicke, dopo il famigerato match con l’Italia, gli ha persino suggerito di pensare a perfezionare il suo gioco invece che pronunciarsi su battaglie politiche.

Parole dettate dalla grande delusione del momento che sono state poi ritrattate una volta finite sul network GB News, ma che inevitabilmente finiscono per essere una spina nel fianco per un ragazzo che opera per una società più inclusiva. Il modo migliore per rispondere alle critiche, però, ce lo suggerisce sempre il libro di Angie Thomas: anche se non tutto va come vorremmo, l’importante è non smettere mai di fare la cosa giusta.

Il calcio è un argomento fortemente divisivo: ci sono spesso discussioni, opinioni, tesi contrapposte. E’ molto raro che ci sia qualcosa che riesca ad escludere qualsiasi possibilità di obiezione. All’interno dell’alveo ristretto di affermazioni pacificamente accettate da tutti rientra il riconoscimento della coppia di allenatori più influente dell’ultimo ventennio. Chiunque mastichi un po’ di calcio dirà sempre: Pep Guardiola e José Mourinho. Due allenatori tanto influenti, quanto profondamente diversi tra loro, raro trovare qualcosa che li accomuni veramente. L’eccezione a questa regola è stata costituita da Pierre-Emile Hojbjerg. 

L’imprinting con Guardiola

Nella primavera del 2013 un Hojbjerg non ancora maggiorenne ha esordito in Bundesliga con il Bayern di Jupp Heynckess, che, da lì a poche settimane, si sarebbe ritrovato a vincere tutto. Nel luglio successivo, a prendere in mano quella squadra fortissima sarebbe stato proprio Pep Guardiola. Dopo un anno sabbatico il tecnico catalano accolse la sfida di esportare il suo Juego De Posicion ben più lontano dal Camp Nou. Appena presa in mano la squadra Guardiola sembrava essersi perdutamente innamorato del giovane danese. Come narrato in Herr Pep – meraviglioso libro di Martin Perarnau – l’ex tecnico blaugrana raccontava di aver trovato un diamante grezzo. Ma non solo; Guardiola ammette candidamente che il danese gli ricorda sé stesso, per un motivo in particolare.

Il modo in cui si posiziona col corpo quando riceve il pallone, finta di andare da una parte e poi va dalla parte opposta.

Per quanto grandi fossero le premesse il tonfo dell’amore tra Hojbjerg e Guardiola è stato ancora più fragoroso. Solo sette partite il primo anno, otto il secondo che finisce anzitempo, quando a gennaio viene mandato in prestito all’Augsburg. Il nuovo ruolo di Lahm, l’acquisto di Thiago Alcantara e l’esperienza di Javi Martinez sono stati tutti fattori determinanti per lasciare così poco spazio al danese. Dopo l’Augsburg un altro ritiro estivo con Guardiola, che, ancora non convinto, lo rispedisce in prestito questa volta già ad agosto, allo Schalke 04. Quella sarebbe stata anche l’ultima stagione di Pep in Baviera: tornato dal prestito allo Schalke, Hojbjerg non troverà più il tecnico spagnolo e verrà ceduto, questa volta a titolo definitivo, al Southampton

Guardiola e Hojbjerg nel primo ritiro in Trentino
Guardiola e Hojbjerg nel primo ritiro in Trentino (Imago-OneFootball)

La Premier League e la chiamata di Mourinho

Arrivato ai Saints è sembrato subito essere a suo agio nel calcio ultra-fisico della Premier. Infatti dopo un apprendistato sulla pulizia tecnica, sulla giusta postura del corpo nell’effettuare il passaggio e nell’elusione del pressing – sotto la guida di Guardiola – in Inghilterra, Hojbjerg si è irrobustito e ha acquisito un grande senso di leadership. A soli 23 anni è diventato capitano del Southampton. A 25 è invece diventato nell’estate del 2020 il prescelto per essere l’architrave su cui José Mourinho, tornato in Premier League alla guida del Tottenham, ha voluto costruire il suo centrocampo. Il tecnico portoghese lo ha infatti messo sin da subito al centro del suo progetto tecnico in entrambi le fasi di gioco.

Il danese è un centrocampista estremamente cerebrale che abbina alla sua (ormai) imponente stazza fisica e alla sua pulizia tecnica anche un senso del gioco assolutamente fuori dal comune. Negli Spurs dell’anno appena passato spettava a lui il compito di coprire gli half-spaces. Con corse spesso all’indietro andava a compensare i movimenti degli invasori avversari per permettere ai difensori centrali di difendere più posizionalmente il centro e ai terzini di stare sull’ampiezza. Questa capacità di prevedere dove andrà il pallone con il giusto anticipo gli ha permesso di totalizzare ben 49 intercetti nella Premier League appena finita, ben più di 1 a partita. 

Ma per il gioco del Tottenham Hojbjerg ha rispolverato anche diverse conoscenze affinate ed acquisite sotto Guardiola. Mourinho, conoscendo bene le caratteristiche di Kane e Son, ha sempre saputo quanto potesse essere difficile risalire il campo con dei lanci lunghi. La resistenza al pressing, la capacità nel taglia-e-cuci corto e la spiccata propensione al laser pass taglia-linee, hanno reso il danese una vera e propria colonna portante di tutto il sistema in entrambe le fasi. Tanto fondamentale per tamponare gli attacchi avversari, quanto per provare a costruire i propri. Probabilmente, insieme ai due attaccanti, rappresenta l’unica nota positiva di una stagione molto deludente per gli Spurs. Non è un caso che sia l’unico giocatore di movimento ad aver giocato tutti i minuti del campionato, come non lo è che nella (clamorosa) eliminazione in Europa League fosse assente.

Hojbjerg in azione contro l'Aston Villa
Hojbjerg in azione contro l’Aston Villa (Foto: Rui Vieira-Imago-OneFootball)

L’Europeo di Hojbjerg con la Danimarca

A causa delle prestazioni altalenanti nel primo biennio con i Saints, Hojbjerg non ha avuto l’opportunità di partecipare ai Mondiali di Russia 2018. Euro2020 è stata dunque la prima grande competizione per Nazionali a cui il centrocampista del Tottenham ha partecipato ed è stato senza dubbio tra i migliori (forse il migliore?) di tutta la spedizione. In coppia con Delaney ha formato una cerniera di centrocampo completissima che ha permesso alla Danimarca – fatta eccezione della prima drammatica gara – di giocare un calcio arioso ma concreto per tutta la competizione. Sia il centrocampista del Tottenham che quello del Borussia Dortmund hanno interpretato alla perfezione il ruolo del box-to-box. La completezza di Hojbjerg si evince anche dalla varietà di statistiche in cui eccelle. Durante questo europeo il danese è stato tra i calciatori che hanno guadagnato più metri verso la porta avversaria grazie ai passaggi (263m per 90′), ha totalizzato più di 2 intercetti a partita (13 totali) e 1,8 key-passes a partita.

Il gioco della Danimarca si è sposato alla perfezione con tutte le vocazioni di Hojberg: quelle più portate al pressing così come quelle più immediatamente votate alla ricerca dell’attaccante. Il primo (dei tre) assist confezionato dall’ex centrocampista del Bayern Monaco è nel gol del vantaggio dei danesi contro il Belgio. In una delle partite più sbilanciate dell’Europeo dove la squadra danese ha creato nettamente di più – poi persa dovendosi arrendere ad un De Bruyne versione deluxe – Hojbjerg ha mostrato a tutti quanto sappia guidare tutta la squadra nel pressing, che sensibilità abbia nel corto e che ottimo tempo d’anticipo possegga.

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Ma nonostante un’ottima partita contro il Belgio, e addirittura un doppio assist nel trionfo contro la Russia dell’ultima partita del girone, il picco prestazionale del numero 23 danese è stato senza dubbio nella discussa ma bellissima semifinale contro l’Inghilterra. Contro la nazionale dei Tre Leoni il centrocampista degli Spurs ha fornito una prestazione di altissimo livello chiudendo la gara con ben 7 contrasti vinti, 3 intercetti e 1 key-pass. Una prestazione a tutto tondo che delinea ancora di più Hojbjerg come uno dei dominatori della mediana negli anni a venire. 

In un duello contro Mount
In un duello contro Mount: il calciatore inglese ha cercato più volte di sfuggire alla zona di influenza di Hojbjerg per giocare più liberamente (Foto: NickPotts-Imago-OneFootball)

Quale futuro per Hojbjerg?

Dopo la partenza di José Mourinho direzione Roma, il nuovo allenatore degli Spurs con cui si ritroverà Hojbjerg sarà Nuno Espirito Santo. Il tecnico portghese nella sua esperienza al Wolverhampton ha dimostrato di voler sempre almeno un palleggiatore puro nei due di centrocampo (Ruben Neves, Joao Moutinho). Sarà interessante vedere come assemblerà il centrocampo degli Spurs che ad oggi, vede nel solo Lo Celso un calciatore con quelle caratteristiche.

Anche per questo si è più volte vociferato di un interesse della Roma per il danese, che seguirebbe così il suo nuovo mentore sulle sponde del Tevere. Il costo del cartellino è molto elevato – si parla di una cifra sui 40 milioni – ma da un punto di vista squisitamente tattico un centrocampista del calibro di Hojbjerg alzerebbe vertiginosamente il livello del centrocampo capitolino. Grazie alla sua versatilità potrebbe giocare come classico 5 con ai lati Veretout e Pellegrini, ma anche, ricalcando uno schema simile a quello di Fonseca, in un centrocampo a due dove potrebbe integrarsi sia col francese che con Villar

Lo sforzo economico sembrerebbe alquanto fuori dalla portata delle tasche della Roma, ma per come il neo-tecnico giallorosso ha parlato del suo numero 5, non stupirebbe nessuno se facesse carte false per averlo. D’altronde, qualche anno fa quell’altro allenatore piuttosto influente, disse che parlando di Hojbjerg si parla della cosa “più simile a Busquets vista su un campo da calcio”.

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