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Le bellezze di Parigi e la storia del PSG

L’arrivo a Parigi è emozionante come sempre.  È una città che lo ha sempre affascinato. Sarà per la storia sanguinosa che ha avuto. Per la forza delle idee che l’hanno plasmata. Per l’arte che si respira in praticamente ogni suo angolo. Saranno tante cose, fatto sta che l’atterraggio nella capitale francese gli porta sempre un sentimento di elettricità. Una scossa di felicità al cuore.

Di Parigi ama ogni monumento, ogni scrittore che l’ha raccontata, ogni artista che l’ha dipinta. Ciò che meno lo affascina è, paradossalmente per un calciofilo come lui, la sua rappresentativa calcistica. Un club senza una grossa tradizione, che sfigura a confronto della maestosità che trasuda da quell’incantevole città.

Il Paris Saint-Germain è la squadra che rappresenta una delle più importanti città d’Europa, ma nel calcio occidentale conta poco o nulla. Ha una storia recente, con una nascita forzata: viene fondato nel 1970 tramite una macchinazione della Federazione francese con lo scopo di dotare Parigi di una compagine che possa giocare nella massima divisione nazionale. Ma il PSG rimane sempre nell’ombra, almeno fino agli anni ’10 del XXI secolo, quando l’era qatariota lancia i parigini nell’élite del calcio mondiale.

Fino a quel momento però il PSG vive pochi anni d’oro, giusto un ciclo nel corso degli anni ’90, ma nulla più. È un club dunque senza particolare appeal, nonostante poggi su una delle città più magnetiche del mondo. Per provare allora a rivalutare anche un minimo il fascino che la squadra parigina può esercitare, il nostro protagonista sceglie di ripercorrerne la storia attraverso un cammino particolare.

Non si tratta di un viaggio alla scoperta della storia del PSG, non in ordine convenzionalmente cronologico almeno. L’approccio è diverso, parte da un percorso per i luoghi di Parigi, alla ricostruzione di alcuni momenti della storia del club che possano esprimere il proprio legame con quella maestosa città che lo ospita.

Place de la Bastille

Questo viaggio per le vie di Parigi inizia da un non-luogo. Già, perché il fascino di Place de la Bastille sta sostanzialmente nella portata dei ricordi che evoca. Del significato che emana. Oggi si presenta come una comune piazza, con al centro un’imponente colonna. In passato però ospitava uno degli edifici destinati a rivestire un ruolo cruciale per l’intera storia mondiale.

È il luogo dove sorgeva la Bastiglia, la fortezza-prigione il cui assalto il 14 luglio 1789 segna convenzionalmente l’inizio della Rivoluzione Francese. Un evento epocale, che stravolge per sempre il corso della storia. Al di là poi della piega che i fatti prenderanno, con il rapido tradimento dei principi rivoluzionari con la deriva nel Terrore, quel 14 luglio 1789 resta la data simbolo dell’avvento della democrazia, della nascita di una nuova civiltà pronta a basarsi su principi di egualitarismo e libertà mai concepiti prima di allora.

La Bastiglia viene presa d’assalto dai rivoluzionari in quanto simbolo del potere assoluto della monarchia e sopravvive poco agli eventi che seguono, venendo presto smembrata per recuperare materiali edili. Oggi non resta nulla di quell’edificio, ma giunti a Place de la Bastille non si può ignorare il fatto di essere su uno dei luoghi che ha cambiato per sempre il corso della storia. Tutto il mondo occidentale che conosciamo oggi, basato su principi democratici, esiste proprio in virtù di quell’evento. Di quel seme che è stato piantato ai piedi della Bastiglia.

In casa PSG, la Rivoluzione è avvenuta nell’estate 2011. Nessuna sommossa popolare, ma l’arrivo dei ricchi sceicchi dal Qatar, che comprano il club dando il via a una serie di spese folli che porteranno a Parigi alcuni dei giocatori più forti di sempre. Il primo grande colpo è l’arrivo dal Palermo di Javier Pastore per 43 milioni di euro. Nella stessa finestra di mercato, la prima condotta dalla proprietà qatariota, arrivando anche Salvatore Sirigu, sempre dal Palermo, Jeremy Menez dalla Roma e Mohamed Sissoko dalla Juventus.

A dicembre arriva anche un grande cambiamento in panchina, con l’arrivo di uno degli allenatori più vincenti della storia come Carlo Ancelotti. A gennaio vestono la maglia del PSG anche Maxwell, Alex e Thiago Motta, ma i parigini non riescono a vincere il campionato, chiudendo al secondo posto alle spalle del Montpellier.

Nell’estate 2012 allora gli sceicchi rincarano la dose. Dal Napoli arriva Ezequiel Lavezzi per 31 milioni di euro. Dal Pescara il giovanissimo Marco Verratti per 12. Soprattutto però il PSG chiude con il Milan il doppio colpo che porta, sotto la Tour Eiffel, Thiago Silva e Zlatan Ibrahimovic, per la cifra complessiva di 62 milioni di euro. Una dichiarazione d’intenti, che porterà immediatamente a risultati tangibili.

Lo sceicco Nasser Al-Khelaifi, l’uomo della svolta per il PSG
(Foto: Stephane De Sakutin/AFP via Getty Images – OneFootball)

Tour Eiffel

L’arrivo di Zlatan Ibrahimovic rappresenta la svolta per il PSG. Sia per l’impatto che lo svedese ha sul club, sia perché si afferma come l’uomo simbolo dello strapotere economico dei francesi. Ibra diventa uno status symbol del PSG, la dimostrazione della sua grandezza. Un po’ come lo è diventato la Tour Eiffel per Parigi alla sua costruzione.

Nel 1889, in occasione dell’attesissima esposizione universale, viene inaugurata questa enorme torre di ferro, un capolavoro di architettura, destinata a diventare il vero e proprio simbolo di Parigi. La Tour rappresenta una sorta di paradosso, perché appare un corpo estraneo rispetto all’armonia della città, si sposa molto male con l’eleganza che veste Parigi. Eppure, è impossibile non guardarla, perché è dominante e magnetica e si scorge da quasi ogni angolo della città.

Una simile sensazione provoca Zlatan Ibrahimovic. Giocatore estremamente divisivo, la sua enorme stazza e il suo sguardo severo si sposano veramente male con l’eleganza che mette nel rettangolo di gioco. Eppure vedere giocare Ibra è una delle più estasianti esperienze che possono capitare a un appassionato di calcio.

Zlatan Ibrahimovic ha un impatto a dir poco mostruoso sul PSG. Il suo arrivo porta in dote ai parigini il primo campionato dell’era qatariota, il terzo di tutta la storia del club. Al suo primo anno sulla riva della Senna, Ibra segna ben 30 gol in 34 partire solo in Ligue 1, laureandosi capocannoniere e miglior giocatore del campionato. Negli anni successivi, i gol in campionato sono 26, 19 e addirittura 38 nella stagione 2015-2016, la sua ultima a Parigi.

In quattro anni al PSG, Zlatan Ibrahimovic vince quattro Ligue 1, due coppe di Francia, tre coppe di Lega e tre supercoppe di Francia. Per tre volte è capocannoniere del campionato e miglior giocatore, alla fine della sua esperienza al PSG è il miglior marcatore di sempre del club, con 156 gol in 180 gare. Numeri pazzeschi, che danno un’idea dell’impatto di Ibra al PSG.

Lo svedese è il primo campionissimo portato dagli sceicchi. È l’uomo che veramente certifica il salto di qualità del club, dà credibilità ai milioni spesi dai nuovi proprietari ed eleva lo status complessivo dei parigini. Resterà per sempre il simbolo della grandezza del PSG, come la Tour Eiffel per Parigi.

Parigi
Zlatan Ibrahimovic con la maglia del PSG e la fascia da capitano
(Foto: Frank Fife/AFP via Getty Images – OneFootball)

Montmartre

Se la Tour Eiffel sembra un inquietante corpo estraneo rispetto alla città, non c’è niente di più parigino del quartiere di Montmartre. Situato sull’omonima collina a nord della città, ha da sempre rappresentato il cuore più pittoresco e oscuro della città. Montmartre si presenta a primo impatto come un quartiere gioioso, popolare, dove si respira quell’aria ricca d’arte che rende Parigi una città speciale. Ma dietro quella faccia leggera, si nascondono le oscure ombre che da sempre contrassegnano tutta quell’area.

La sua posizione elevata e distaccata rispetto al centro ha reso Montmartre un corpo esterno e parallelo a Parigi. Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, la collina è diventata il fulcro dell’intrattenimento decadente parigini, contribuendo alla fama controversa della città. Meta preferita di tantissimi artisti come Van Gogh, Picasso e Modigliani, Montmartre ha visto anche una grande proliferazione di criminalità e prostituzione, diventando luogo di dissolutezza e perdizione.

La gioia e l’abbandono, la libertà e l’oscurità. I contrari si abbracciano a Montmartre e si fondono in una controversa armonia, che finisce per rappresentare il tratto distintivo di una delle zone più incantevoli di Parigi. Opposti che hanno caratterizzato anche la carriera di uno dei giocatori più importanti passati per il PSG, il più grande forse che ha vestito questa maglia prima dell’arrivo dei qatarioti.

Nel gennaio 2001 il PSG conclude l’acquisto di un astro nascente del calcio brasiliano: Ronaldo de Assis Moreira. Noto a più come Ronaldinho. Per alcune controversie col Gremio, i francesi devono attendere l’estate per tesserarlo e Dinho resta a Parigi per soli due anni, dando però sfoggio di tutto il suo enorme talento.

Gli anni duemila sono un periodo discendente nella storia del PSG, dopo i fasti dei ’90. Il PSG di Ronaldinho è una squadra tutt’altro che memorabile, ma ha il merito di fare da cornice alla prima affermazione di uno dei calciatori più forti e controversi di sempre. Un talento enorme, debordante, poco assistito da una testa che non è mai stata in grado di disporre della giusta professionalità per vivere una carriera ai vertici del calcio moderno.

A Parigi Dinho mette in mostra la sua eccelsa qualità, ma dà anche i primi segnali dei tormenti che freneranno in maniera inesorabile la sua ascesa. La scarsa propensione all’allenamento, gli eccessi fuori dal campo, fattori che vengono già fuori a Parigi, che parzialmente verranno limitati a Barcellona, ma che poi esploderanno trascinando prematuramente Ronaldinho lontano dai riflettori.

A Parigi inizia a plasmarsi, in positivo e in negativo, il brasiliano. Assumendo quei tratti controversi che sono perfettamente esemplificati dal quartiere di Montmartre: una vena artistica sublime, ma un’oscurità latente capace di inghiottirla in ogni momento.

Ronaldinho esulta con la maglia del PSG
(Foto: Jacques Demarthon/AFP via Getty Images – OneFootball)

Champs Elysees

Se passeggiare a Montmartre permette di respirare l’aria leggera e frizzante di Parigi, percorrere gli Champs-Elysees ne fa afferrare la maestosità. Nati in origine come dei semplici campi, come suggerisce il nome stesso, col tempo sono diventati “elisi”, ovvero si sono trasformati, ampliandosi sempre di più e diventando uno dei viali più famosi del mondo. L’avenue des Champs-Elysees celebra l’altra faccia di Parigi, quella pomposa, fiera, ostentatamente monarchica e autocelebrativa.

Una quantità indescrivibile di cinema, raffinati cafés e negozi di lusso attorniano i lati del lungo viale che dal Louvre porta all’Arc de Triomph, unendo due dei luoghi simboli dell’opulenza parigina. Non a caso, gli Champs-Elysees fanno da sfondo a praticamente qualsiasi celebrazione che si tiene nella Capitale, dalla parata del 14 luglio alle manifestazioni sportive come il Tour de France.

Celebrazione è la parola chiave per descrivere gli Champs-Elysees ed è anche il termine che, nella storia del PSG, riporta alla metà degli anni ’90. È il periodo d’oro del club, coincidente con l’acquisizione da parte dell’emittente televisiva Canal+, che allestisce una squadra in grado finalmente di competere ai vertici del calcio francese. I risultati arrivano presto, con la vittoria del campionato nella stagione 1993-1994, il secondo successo della storia del PSG dopo quello del 1986. Nel 1993 e nel 1995 arrivando anche due coppe di Francia e, in quest’ultimo anno, anche una Coppa di Lega e una Supercoppa Francese.

L’apice viene toccato però nella stagione successiva, la 1995-1996, quando il nome del PSG inizia a fare eco anche in campo europeo. I parigini, in virtù della vittoria in coppa, si guadagnano l’accesso alla Coppa delle Coppe e iniziano il proprio percorso alla grande, sbaragliando prima i norvegesi del Molde con un complessivo 6-2, e poi superando il Celtic con un 4-0 totale tra andata e ritorno.

Ai quarti di finale arriva il primo grande ostacolo, una squadra leggendaria come il Parma di Nevio Scala, capace di vincere la Coppa UEFA l’anno prima. Nella gara di andata al Tardini, gli emiliani s’impongono 1-0 col gol del bulgaro Stoichkov, ma nel ritorno a Parigi va in scena una grandissima rimonta. Il brasiliano Rai, grande mattatore di questa competizione, sblocca il match. Il Parma pareggia con Melli, ma i francesi passano di nuovo avanti con Loko e ancora Rai segna il 3-1 che vale la qualificazione in semifinale.

Per superare il Deportivo la Coruna bastano due gol al PSG. All’andata in Spagna segna Djorkaeff, nel ritorno in Francia Loko e i parigini accedono alla finalissima di Bruxelles, dove si troveranno di fronte il Rapid Vienna.

Quello dell’8 maggio 1996 è un match significativo, perché si torna a giocare l’atto conclusivo di una coppa europea a Bruxelles a distanza di undici anni dalla strage dell’Heysel. Ai parigini, ancora una volta, basta un gol, quello del difensore Bruno N’Gotty, che poco prima della mezz’ora di gioco segna la rete che risulterà decisiva. Il PSG batte il Rapid Vienna e conquista il primo titolo europeo della sua storia diventando anche la prima, e resterà l’unica, squadra francese a vincere la Coppa delle Coppe.

Parigi
I festeggiamenti in casa PSG dopo la vittoria della Coppa delle Coppe
(Foto: Vincent Amalvy/AFP via Getty Images – OneFootball)

Arc de triomph

La passeggiata sugli Champs-Elysees, se condotta a partire dai giardini delle Tuileries, ha come destinazione l’Arc de triomph. È uno dei monumenti più riconoscibili della capitale francese, un arco in pieno stile classico, la cui origine si colloca nell’età napoleonica. Fu il leggendario generale infatti a ordinarne la costruzione, per celebrare la famosa vittoria ad Austerlitz contro la terza coalizione anti-francese. Tuttavia, l’opera non fu conclusa prima della sconfitta di Napoleone ed è quindi rimasta incompleta.

Il progetto originale prevedeva l’apposizione sulla cima dell’arco di una statua del comandante, ma dopo la sua sconfitta a Waterloo l’idea è chiaramente naufragata. Da monumento celebrativo di Napoleone, l’arco è stato convertito a omaggio generico a tutti i combattenti francesi e sulla sua cima alla fine non è stato collocato nulla, lasciando dunque quell’aura di incompletezza alla costruzione.

Un’incompletezza che, nella storia del PSG, viene prepotentemente fuori se si pensa alla Champions League del 2020. L’avvento della proprietà qatariota ha praticamente ucciso il campionato francese, coi parigini che, salvo in alcuni clamorosi casi, hanno sempre trionfato senza troppi patemi in campionato per tutti gli anni ’10. Discorso diverso in Europa, dove i francesi hanno sempre faticato più del dovuto, non avvicinandosi nemmeno alla conquista della tanto agognata Champions League. Tranne che nel 2020.

La stagione 2019-2020 rappresenta un unicum nella storia del calcio, perché ha dovuto fare i conti con la pandemia da Covid-19 che ha stravolto completamente il mondo intero. Tutto si è fermato, anche il calcio, salvo poi riprendere in estate, con nuove formule ideate appositamente per l’occasione. Nel caso specifico, la Champions League ha seguito il suo corso normale fino agli ottavi, per poi continuare con un’insolita Final Eight a gara secca.

I parigini superano agli ottavi di finale il Borussia Dortmund con un match destinato a rimanere impresso nella storia. A Dortmund i gialloneri vincono 2-1, ma al Parc des Princes la squadra di Thomas Tuchel riesce a ribaltare il risultato grazie a un 2-0 che porta le firme di Neymar e Bernat. La festa dei tifosi parigini per quella vittoria è una delle ultime immagini “normali” di un mondo che sta per cambiare totalmente. È l’11 marzo 2020 e il pianeta intero si sta preparando a chiudersi per arginare il divampare della pandemia.

Dopo circa due mesi di stop, il calcio piano piano riprende e le coppe europee vengono fatte scivolare dopo il termine dei campionati nazionali. Ad agosto dunque si completa il quadro degli ottavi di finale ancora da giocare e poi inizia la famosa Finale Eight a Lisbona, con inedite gare a eliminazione secca.

Nei quarti di finale, il PSG supera in modo a dir poco rocambolesco l’Atalanta. I bergamaschi sbloccano la gara con la rete del croato Mario Pasalic e il vantaggio nerazzurro resiste fino al 90’, quando in appena tre minuti i francesi la ribaltano, con le firme di Marquinhos e di Choupo-Moting. In semifinale poi la pratica è più semplice: i ragazzi di Tuchel si liberano del sorprendente Lipsia, reduce dalla vittoria sull’Atletico Madrid, con i gol di Marquinhos, Di Maria e Bernat. Dopo tanti tentativi, il PSG raggiunge finalmente la finale di Champions League, ma all’orizzonte c’è un ostacolo enorme.

Il Bayern Monaco arriva alla finale di Lisbona del 2020 dopo aver superato in semifinale il Lione 3-0, ma soprattutto dopo aver rifilato uno storico 8-2 al Barcellona ai quarti. I tedeschi sembrano inarrestabili e partono meglio nella sfida col PSG, colpendo anche un palo con Lewandowski nel primo tempo. I parigini ci provano con i due super fenomeni Neymar e Mbappé, che hanno un’occasione a testa, ma sono i bavaresi a fare la partita e all’ora di gioco è proprio un francese, Kingsley Coman, a sbloccare il match con un micidiale colpo di testa.

Il più classico dei gol dell’ex dunque indirizza la finale di Champions. Il PSG accusa il colpo e traballa, il Bayern cerca di chiuderla, ma i francesi resistono strenuamente. Verso la fine emerge poi il famoso orgoglio parigino, ma il forcing finale è inutile: a un passo dal traguardo il PSG deve arrendersi. Il Bayern Monaco è campione d’Europa e ai parigini restano solo tanti rimpianti per un’impresa quasi sfiorata.

Parigi
La delusione della stella del PSG Neymar dopo la sconfitta in finale di Champions League
(Foto: Matthew Childs/Pool/AFP via Getty Images – OneFootball)

Adiueu, Paris

Il suo peculiare viaggio per Parigi è finito. Quei luoghi hanno risvegliato le solite sensazioni di meraviglia, di curiosità. Il solito enorme fascino. Hanno però anche permesso di vedere la storia del Paris Saint-Germain sotto un’altra ottica. Quella del legame con una città che sembra troppo grandiosa per ospitarlo. Che straborda di arte, di cultura e di storia, a fronte di un club che può contare su una manciata di annate da protagonista e di qualche campione passato per caso sotto la Tour Eiffel. Almeno prima della Rivoluzione qatariota.

Parigi però è una citta che dà a tutti la sensazione di poter fare qualcosa di grandioso. Di poter plasmare i propri sogni. Di poter trarre da lei quella linfa vitale e dare sfoggio della propria creatività. A tutti, anche a un club senza una grossa tradizione. Senza un particolare appeal. Senza particolari connotati, se non la fortuna di rappresentare una delle città più magiche del mondo.

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Autore

Romano, follemente innamorato della città eterna. Cresciuto col pallone in testa, da che ho memoria ho cercato di raccontarlo in tutte le sue sfaccettature.

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