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CALCIO ITALIANO

Cosa ci aspettiamo dal nuovo Rudi Garcia

Questa sera in quel di Dimaro Folgarida inizierà ufficialmente l’ avventura di Rudi Garcia alla guida del Napoli campione d’ Italia. Un assaggio degli azzurri che saranno lo abbiamo già gustato nella conferenza stampa di presentazione del tecnico francese, subissato erroneamente di domande sul suo passato alla Roma nonostante sia collocabile nella linea del tempo insieme al boom della band coreana dei BTS, la sconfitta di The Undertaker a Wrestlemania e la fine del conflitto tra USA e Cuba. Roba di dieci anni fa insomma.

Quel Rudi Garcia, quello delle dieci vittorie consecutive, delle sviolinate in panchina e delle conferenze stampa al vetriolo, non esiste più. È un uomo ed un allenatore profondamente diverso, più riflessivo, che ha avuto l’ umiltà di mettersi in discussione e provare a stare al passo di un movimento, quello calcistico, in continua evoluzione. Inutile quindi cercare similitudini forzate tra Pjanić e Lobotka, quella Roma è relegata al passato proprio come il Lille campione di Francia con Hazard e Gervinho e come il Marsiglia finalista d’ Europa League.

La lente d’ ingrandimento dovrebbe invece posarsi sul biennio al Lione. Garcia è stato nominato allenatore dell’ OL a metà ottobre 2019 dopo l’ esonero di Sylvinho, ex collaboratore di Mancini all’ Inter e del commissario tecnico Tite, nonchè amico fraterno del direttore sportivo Juninho Pernambucano.

Tatticamente ereditò un gruppo di calciatori alla ricerca di equilibrio oltre che disciplina. Le prime uscite videro la prosecuzione dell’ impostazione data dall’ ex tecnico, continuando ad adottare il 4-3-3 ed affidando ai due centrali l’ impostazione del gioco da dietro (il belga Denayer ed il danese ex blucerchiato Andersen), invitando i tornanti difensivi ad alzarsi sulla linea del mediano, le due ali ad allargarsi in fase di ricezione e l’ attaccante a creare spazi per le corse dei centrocampisti. Un’ impronta tattica che fruttò 9 vittorie, 4 pareggi e 6 sconfitte in campionato, l’ accesso agli Ottavi di Champions League e il raggiungimento della finale di Coppa di Francia prima che il governo francese decidesse di annullare il campionato a seguito della pandemia da Covid-19.

Dopo il lockdown, in occasioni della disputa delle finali secche di Champions League e della finale nazionale contro il PSG, il Lione però cambiò faccia. Messa da parte la difesa a quattro, Garcia aggiunse al suo playbook la difesa a tre. Lopes il portiere, Denayer leader tecnico schierato come braccetto destro coadiuvato dai redivivi Marcelo e Marçal dapprima ai margini del gruppo, Dubois inamovibile a destra e Cornet (spostato da seconda punta a tornante) sulla sinistra, il giovanissimo Caqueret nella posizione di mediano, il nuovo acquisto Bruno Guimarães impiegato come box to box, Aouar da 8 e l’ eleganza street di Memphis Depay al servizio di uno tra Karl Toko Ekambi e Dembélé in attacco. Quella versione dell’ OL, secondo l’ assistente Claudio Caçapa, riuscisse a mettere in mostra il vero credo calcistico di Rudi Garcia, molto più del 4-3-3 o il 4-2-3-1 proposto all’ inizio. La ricerca dell’ ampiezza l’ unico principio mantenuto. Ai tre centrali difensivi era richiesta – differentemente dal passato – una circolazione di palla ad alta intensità mirata alla ricerca degli esterni difensivi non più però allineati con i centrocampisti ma con gli attaccanti. Ricerca dell’ imbucata nello spazio per il trequartista o l’ attaccante deputato a compiere il movimento in profondità nel corridoio interno e palla in area da aggredire dagli altri due giocatori offensivi liberi e dal tornante di fascia opposta. Dei movimenti che sono stati riproposti anche negli Emirati all’ Al-Nassr. In un video pubblicato otto mesi fa da The Coaches’ Voice si può facilmente intuire come Garcia cerchi di replicare gli stessi meccanismi con la squadra emira, cercando aiuto dagli esperti Ospina, dal centrale Álvaro González, dal centrocampista brasiliano Luiz Gustavo e dal Pity Martinez nelle vesti del “Depay” di turno.

In fase difensiva il tecnico ex Roma, servendosi dell’ atletismo di ognuno dei suoi calciatori, esigeva un pressing incessante mirato ad costringere la squadra avversaria a rifugiarsi sugli esterni e forzare il lancio lungo verso gli attaccanti avendo preventivamente schermato le eventuali opzioni di passaggio al centro. Contro avversari più forti invece, come PSG o Manchester City affrontati in quel periodo, si poteva optare anche per un atteggiamento più prudente, mantenendo i propri principi ma allo stesso tempo non portando un pressing troppo forsennato tale da esporre i difensori ad 1 contro 1 pericolosissimi.

Storica è stata appunto la vittoria nell’ estate del 2020 a Lisbona contro il Manchester City di Pep Guardiola. Snaturatosi dalla figura di allenatore che vuole avere in mano il pallino del gioco, Rudi riuscì a cogliere in fallo il collega catalano impostando una gara basata sulla militarizzazione del primo terzo di campo e servendosi dell’ atleticità e dell’ istinto dei suoi attaccanti (Ekambi prima e Dembélé poi) bravi a sfruttare le indecisioni della retroguardia dei citizens e presentarsi per ben due volte soli davanti ad Ederson prima del 3-1 finale. Stesso pattern col PSG nella finale di Coppa di Francia a Saint-Denis. OL rintanato dietro, parigini pericolosi solamente dalla distanza con conclusioni gestite senza particolare affanno da Lopes ed occasioni create grazie alle rapide transizioni offensive. Quella volta però fatali furono i calci di rigore.

Garcia è quindi un coach non con i paraocchi, capace di coniugare i propri principi al materiale umano che ha a disposizione. Col Napoli erediterà un gruppo di calciatori abituati al sacrificio atletico, a giocare il pallone in modo propositivo. Di Lorenzo e Mathías Olivera sembrano perfetti per il ruolo di terzini di spinta, in egual modo Zambo-Anguissa nel ruolo di dominatore del centrocampo e Lobotka in quello di regista. Kvara potrebbe diventare quello che per Garcia sono stati Hazard, Payet e Depay ed Osimhen infine non ha bisogno di particolari ricami. Potrebbe stare un pizzico meno in area di rigore, stazionare meno in quel fazzoletto di campo che lo ha reso letale – come hanno fatto Toko Ekambi e Dembélé – ma sfruttare ancora di più la sua potenza fisica allargandosi sull’ esterno in favore degli inserimenti alle spalle.

I punti interrogativi sono da collocare nella casella del difensore centrale di sinistra vista la partenza di Kim ed in quelle di attaccante destro e di centrocampista offensivo alla luce delle incertezze sulla permanenza di Lozano e Zieliński. Micheli e Mantovani staranno già valutando vari profili che potrebbero fare al caso del Napoli. Kilman del Wolves coniuga forza fisica e tecnica. Impercorribile la pista Micky Van de Ven su cui ha posato gli occhi il Tottenham ed anche quella che porta a Pau Torres oramai promesso sposo di Emery all’ Aston Villa, fossi nel Napoli non mi farei ammaliare dalla marketing strategy collegata ad Itakura (buon difensore ma non quello che serve a Garcia) e virerei su Bassey o Inácio (ma non so quanta voglia abbia De Laurentiis di sedersi a trattare con Mendes) oppure proverei a rimettere in piedi la carriera di Clément Lenglet.

Sul fronte centrocampo tutto tace nonostante il ritorno alla base di Tanguy Ndombele, la volontà di andare via di Diego Demme e la futura assenza di Anguissa per la partecipazione alla Coppa d’ Africa. Tousart e Maxime Lopez sono entrambi due nomi spendibili che alzerebbero il tasso di qualità di tutto il reparto e darebbero all’ allenatore varie opzioni per le rotazioni. Nel ruolo di fantasista/incursore, semmai partisse Zieliński, potrebbe arrivare il momento della consacrazione definitiva di Elmas, alla ricerca della definitiva identità tattica dopo essere stato impiegato su tutto il fronte offensivo alle spalle della punta.

Max Kilman difensore centrale dei Wolves accostato al Napoli / credits: Getty Images

Il lavoro in Trentino darà tutte le risposte del caso. La nave (da crociera magari, tanta cara al presidente) ha appena salpato. Se con Garcia si riuscirà a trovare una sintonia simile a quella che c’è stata con Spalletti, allora sì che lo Scudetto non sarà l’ exploit sporadico ma la continua affermazione della squadra azzurra come importante realtà del calcio italiano ed europeo.

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