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Tra i momenti più iconici del calcio del nuovo millennio, la corsa di José Mourinho al fischio finale di Barcelona-Inter, semifinale di Champions terminata 1-0 per i blaugrana che però aveva garantito il passaggio del turno ai nerazzurri, occupa sicuramente un posto speciale. È in situazioni come quella che il portoghese si esalta: con la squadra messa alle corde, resistere, incassare e vincere, arrivando sul gong stremato e barcollante ma ancora in piedi, gli riesce meglio di ogni altra cosa o quasi. Quella corsa di gloria, col braccio alzato e lo sguardo di sfida mentre gli idranti del Camp Nou cercavano la loro simbolica vendetta, non ha raccontato nulla a molti oltre il gesto in sé, ma nella mente di alcuni appassionati più anziani e a Sud dell’Equatore avrà stimolato qualche ricordo. È il 14 dicembre del 1969, all’Estadio Monumental River Plate e Boca Juniors si giocano il Nacional all’ultima giornata di un campionato thrilling. Il River deve vincere per aggiudicarsi il titolo; dall’altro lato il Boca può contare su due risultati su tre. Nella prima mezz’ora gli Xeneizes si portano sopra di due reti: Madurga gela due volte i Millionarios e ipoteca il titolo. Más e Marghetti riescono solo a spaventare gli uomini allenati da Alfredo Di Stefano, ma il River non riesce a completare il ribaltone: al fischio finale è 2-2 e Boca campeón. Partono i festeggiamenti azul y oro, non senza qualche scaramuccia con gli avversari. I giocatori del Boca si rivolgono inizialmente verso il settore occupato dai loro tifosi, senza rendersi conto di quel che sta succedendo sul terreno di gioco; gli idranti del Vespucio Liberti esplodono di rabbia e rimpianti, proprio come faranno quarant’anni dopo quelli dello stadio catalano. A quel punto, succede qualcosa di strano: ai campioni appena eletti dovrebbe essere riservato un giro di campo celebrativo, che però il River decide apertamente di sabotare con quel gesto. Nel gruppo del Boca c’è chi decide di raccogliere la provocazione de Las Galinas: Silvio Marzolini guida la vuelta olimpica, inzuppandosi del tutto, seguito dai suoi compagni di squadra, e consegna quel momento alla Storia, concedendo anche un bis. Il collegamento con Mou viene naturale; sebbene possa sembrare forzato, conoscendo lo Special One e la sua conoscenza enciclopedica di questo sport, non è difficile immaginare che possa aver pensato a quella esultanza (anche) come un tributo. Marzolini è il capitano di quella squadra e ha appena portato a termine una prestazione precisa e concentrata, che ha esaltato le sue qualità difensive. Al tempo stesso, questa mossa lo mette in rilievo come leader, uomo solo al comando, personaggio carismatico: un momento che definisce la sua eredità sportiva a 360°, il canto del cigno di una carriera non troppo lunga ma che l’ha consegnato agli annali come un’icona del Fútbol argentino.

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