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Interviste di Lusso: Alberto Marzari

L’inchiostro nella pelle è uno dei modi migliori, e più in voga, per fregiare per sempre il proprio corpo con un ricordo indelebile. La moda del tatuaggio è letteralmente esplosa negli ultimi tempi, ma ci sono alcuni ambiente in cui è ormai da tempo piazzata nell’establishment culturale di quel mondo. Tra questi c’è quello del calcio, dove il tatuaggio è ormai un vero e proprio must. Dai calciatori ai tifosi, l’inchiostro scorre a fiumi sulla pelle di appassionati e addetti ai lavori, sigillando spesso l’amore personale per la propria squadra o per un calciatore.

Maglie, momenti, stemmi: sono tantissimi i tatuaggi a tema calcio cui un tifoso può attingere. A tal proposito abbiamo fatto due chiacchiere con uno dei migliori tatuatori in Italia, Alberto Marzari, autore appunto di tantissimi disegni riguardanti il mondo del pallone e legato a doppio filo a questo mondo del calcio. Da insider, come tatuatore di moltissimi calciatori, e da tifoso della sua amata Inter. La nostra chiacchierata con Alberto esplora appunto il rapporto tra il tatuaggio e il mondo del pallone, filtrato dalla sua personale esperienza di artista e tifoso.

Alberto Marzari e Daniele De Rossi
Alberto Marzari e Daniele De Rossi

Due chiacchiere con Alberto Marzari

RdL: Partiamo proprio dagli inizi: com’è nata la tua passione per i tatuaggi e quali sono stati i tuoi primi passi da tatuatore?

A: Nasce tutto dal mondo del calcio. Questa passione risale al tempo in cui ho iniziato a frequentare la curva dell’Inter, vivevo a Milano, e quello è un mondo in cui il tatuaggio già 10-15 anni fa era più sdoganato rispetto al resto della società. Mi ci sono appassionato lì e ho cominciato un po’ per gioco su me stesso, ho tatuato i miei amici del tempo e poi sono andato avanti.

RdL: Quali sono i segreti del mestiere che un bravo tatuatore deve per forza di cose conoscere?

A: Sicuramente la perseveranza. Se rivedi i miei primi lavori ti metti le mani nei capelli. Poi con tanto impegno e tanta passione, lavorando giorno dopo giorno, si migliora e i risultati si vedono. Sicuramente bisogna saper disegnare, ma anche chi non nasce con una predisposizione lavorando tanto può imparare a disegnare. La perseveranza è fondamentale ed è molto importante anche il percorso di apprendistato. I nostri apprendisti vengono da noi in studio tutti i giorni, montano e smontano le postazioni, puliscono e sistemano e nel tempo libero guardano gli artisti tatuare e così, anche a livello inconscio, acquisiscono quel bagaglio di visualizzazione che gli permette di fare uno step maggiore rispetto a un autodidatta che non ha mai vissuto uno studio.

RdL: Parlando sempre di primi passi, quasi sono i primi lavori di cui sei stato maggiormente soddisfatto e alcuni tatuaggi a cui sei particolarmente legato?

A: Ho cercato di procedere sempre passo passo, rifiutando inizialmente lavori per cui non mi ritenevo all’altezza. Credo che, al momento della resa, il tatuaggio più bello che avessi fatto era quello degli occhi su mia madre. Sicuramente in questo caso c’entra anche la componente emotiva che aumenta il significato di quell’opera. Poi sono molto legato alla prima sneaker che ho tatuato, a Jake La Furia: è stato un bel passo in avanti e un miglioramento di stile che mi ha portato a indirizzarmi sul micro-realismo.

RdL: Dai tatuaggi passiamo alla tua altra passione: il calcio. Com’è nato l’amore per il calcio e in particolare per l’Inter?

A: Non so dirti come sia nata quella per il calcio, da quando ho ricordi ho sempre avuto un pallone tra i piedi. Dell’Inter invece mi sono innamorato nel ’97, al primo anno di Ronaldo. Quello è il mio anno zero nerazzurro.

Inter
La tifoseria nerazzurra (Foto: Matthew Ashton – AMA/Getty Images – One Football)
RdL: Dal 1997 ne avrai viste davvero di mille colori seguendo l’Inter. C’è una partita a cui sei maggiormente legato?

A: Avrò visto un migliaio di partite in giro per il mondo, ma quella a cui sono più legato è la rimonta di Inter-Sampdoria 3-2 col gol di Recoba nel recupero. In parte anche perché l’ho vista allo stadio con mia madre, è una delle ultime che abbiamo visto insieme.

RdL: La componente emotiva è sempre molto presente nei tuoi ricordi. A tal proposito suscitiamo un ricordo scomodo: il momento nerazzurro di massima sofferenza?

A: Direi il 5 maggio. Ero piccolo, ma sicuramente mi ha fatto piangere. Però anche la noia di certi anni: sono andato in trasferta in Russia o in Azerbaigian per le partite di Europa League con squadre davvero di bassa lega e comunque l’Inter non combinava nulla. Forse è meglio soffrire per cercare una conquista piuttosto che non lottare per nulla.

RdL: Passiamo a un momento decisamente più positivo: che ricordo hai del triplete?

A: Ormai è una cosa che appartiene alla sfera dei sogni. Viverlo forse è stato anche un po’ troppo intenso: la Coppa Italia non te la godi perché pensi allo Scudetto, poi lo Scudetto non te lo godi perché pensi alla Champions. Arriva la Champions e finisce tutto senza un attimo di sosta. È sicuramente qualcosa di inarrivabile, molto difficile da descrivere.

RdL: Sei riuscito con incredibile maestria a coniugare le tue passioni, che poi sono strettamente legate fin dalle origini. Sono tantissimi i tatuaggi a tema calcio che hai realizzato, per cui raccontaci quali sono i soggetti che ti piace maggiormente tatuare.

A: Sicuramente mi piace che il tatuaggio sia carico di emozione. Al di là del simbolo della squadra, che può sembrare banale, mi piace magari realizzare la maglietta che il cliente ha ricevuto in regalo da bambino e rappresenta una determinata emozione. Così come rappresentare l’esultanza di un calciatore per cui magari quel cliente ha pianto. Questa componente emotiva è importante. Poi a livello tecnico per esaltare il mio stile più il tatuaggio viene arricchito di particolari e meglio è.

RdL: Tra i tatuaggi che hai realizzato a tema calcio quali ti sono rimasti maggiormente impressi?

A: Un tatuaggio a cui sono molto legato l’ho fatto almeno tre anni fa, la rovesciata di Djorkaeff contro la Roma, che secondo quasi tutti è il gol più bello della storia dell’Inter, o comunque tra i più iconici. Tra l’altro mi hanno regalato il pallone di quel gol, per cui puoi immaginare quanto quel tatuaggio per me sia importante. Ho fatto naturalmente tanti tatuaggi sull’Inter, ho realizzato molti Milito e Zanetti, l’attaccante che segna in finale di Champions e il capitano che alza la coppa. Per la Roma vanno molto i Totti e i De Rossi, spesso insieme. Ho fatto almeno 3-4 Batistuta della Fiorentina. Per la Lazio invece va più il concetto di padre in figlio piuttosto che un singolo calciatore, come ad esempio il tatuaggio che ho fatto al figlio di Sinisa Mihajlovic, che raffigura appunto il padre con i due bambini tenuti per mano.

RdL: Oltre la rivalità: ti è capitato di fare tatuaggi a tema Milan?

A: Si, pochi. Qualche Shevchenko e un paio di Kakà.

RdL: Hai parlato di maglie, calciatori ed esultanze: ci sono altri soggetti che ti capita di tatuare a tema calcio?

A: Coreografie famose me ne sono capitate, molte dell’Inter, alcune di Lazio e Roma. Sono tatuaggi per il tifoso legato più al tifo, alla maglia, che alla squadra.

RdL: Parlando di coreografie non possiamo non chiedere a un artista come te quale sia la tua coreografia preferita dell’Inter?

A: Quella del derby del 6 maggio 2012, “Ti te dominet Milan” con la madonnina.

RdL: Ormai non sei più un semplice appassionato di calcio, ma ti capita spesso di vivere in prima persona quel mondo. Hai tatuato molti calciatori, quali esperienze ti sono rimaste impresse?

A: Ho tatuato Nicolò Barella, la prima volta gli ho fatto il suo cane LeBron. Da lì in poi ho fatto tantissimi cani, soprattutto alle ragazze. È stata lanciata un po’ la moda, diciamo che se il calciatore è il tatuaggio degli uomini, per le donne il più ricercato è appunto il cagnolino. Poi ho tatuato Daniele Dessena, al tempo capitano del Cagliari. Gli avevo fatto lo stemma del Cagliari sotto pelle, lui era infortunato per la frattura di tibia e perone. Poi qualche settimana dopo rientra in campo e fa una doppietta, quindi quel tatuaggio in qualche modo gli ha portato fortuna.

RdL: Hai sottolineato quanto il mondo del calcio e quello del tatuaggio siano strettamente legati, ormai da tempo. È rarissimo ormai vedere un calciatore senza tatuaggi, ma ce n’é qualcuno che apprezzi particolarmente per i tatuaggi che ha?

A: Il simbolo del tatuaggio nel calcio per me è David Beckham, è stato il primo a sdoganarlo con un certo stile, a portare il tatuaggio con una certa classe, al di là della qualità del tatuaggio.

RdL: Passiamo più al concreto: un tatuaggio di un calciatore che ti piace?

A: Per quanto sia semplice, un tatuaggio che ricordo è quello di Daniel Agger che aveva le iniziali YNWA sulla mano.

RdL: Concludiamo con una considerazione di carattere generale: negli ultimi anni c’è stata una grande esplosione della moda del tatuaggio, ma secondo te si sente ancora un po’ di diffidenza verso questo mondo?

A: In Italia si, siamo ancora un pochino retrogradi. C’è ancora una mentalità un po’ vecchia, un po’ chiusa. Già con la prossima generazione andrà a sparire secondo me, ormai più della metà delle persone ha almeno un tatuaggio, seppur piccolo, quindi presto questa diffidenza andrà a sparire. Ti dico però che, tra virgolette, è anche bello così. Seguendo l’etica del tatuaggio dovresti prima terminare tutti gli spazi invisibili e poi cominciare quelli visibili, la classica foto del ragazzo tatuato fino al gomito e alle ginocchia. Purtroppo ora c’è tanta ostentazione, si vedono ragazzi tatuati sul collo e sulle mani senza avere un tatuaggio addosso o sul braccio, può sembrare una cosa ridicola. Quindi nei limiti ben venga un po’ di diffidenza, almeno sotto questo punto di vista.

Autore

Romano, follemente innamorato della città eterna. Cresciuto col pallone in testa, da che ho memoria ho cercato di raccontarlo in tutte le sue sfaccettature.

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