Da quando Pep Guardiola ha lasciato la Baviera per accasarsi alla corte degli emiri qatarioti, tante volte abbiamo guardato ai sorteggi di Champions nella speranza di poter vedere prima o poi una contro l’altra City e Bayern, le due formazioni più dominanti dell’intero panorama europeo, nonché le ultime due creature plasmate dal tecnico catalano. Il sorteggio dei quarti di finale di questa edizione della coppa dalle grandi orecchie è venuto incontro finalmente ai nostri desideri ed eccoci qui a commentare la doppia sfida andata in scena tra queste due formazioni.
Un nuovo capitolo della sfida Tuchel-Guardiola
Al momento del sorteggio Bayern Monaco-Manchester City doveva essere l’atteso confronto tra Julian Nagelsmann e Pep Guardiola, i due allenatori che hanno portato il calcio in un mondo ancora inesplorato, basato sul controllo totale del campo di gioco ed usarlo come stella polare delle loro strategie tattiche.
Due allenatori con la stessa idea di base su come deve giocare una squadra di calcio, ma con diversi punti di divergenza che avrebbero reso il confronto tattico a dir poco appetitoso, che avrebbe potuto condurre ad una doppia sfida di portata pari a quelle che nel pugilato vengono utilizzate per riunire le cinture. Il vincitore sarebbe stato il detentore del titolo relativo alla categoria allenatori maniaci del controllo.
Ma pochi giorni dopo che l’urna di Nyon aveva finalmente proposto questo confronto ci ha pensato la dirigenza della squadra bavarese a privarci di questa possibilità, con un colpo di teatro attinto a piene mani dalla bibliografia di Euripide, decidendo di esonerare Nagelsmann chiamando all’Allianz Arena nientemeno che Thomas Tuchel, la criptonite di Pep nella stagione 2020/2021.
E così quello che doveva essere il primo confronto internazionale tra Guardiola e Nagelsmann (si erano già affrontati in Bundesliga ai tempi rispettivamente di Bayern ed Hoffenheim) si è trasformato in un nuovo confronto tra il tecnico catalano ed il tecnico di Krumbach, un confronto che ha costretto più volte Pep a dover accelerare la ricerca di nuovi accorgimenti tattici per la sua squadra.
Cosa ha deciso la sfida tra Manchester City e Bayern Monaco
La formazione inglese e quella tedesca pur non essendosi mai affrontate negli ultimi anni si conoscevano come se già ci fossero stati tanti confronti diretti negli ultimi mesi: il motivo è dovuto al fatto che si tratta di due realtà che si conoscono bene e che cercano di proporre un certo tipo di calcio. Chi voleva prevedere la chiavi tattiche di questa partita ha dovuto cestinare giga di appunti salvati sui propri dispositivi nel momento in cui il Bayern ha dato il benservito a Nagelsmann, e riscriverli cercando di immaginare dove Tuchel avrebbe messo mano.
La storia di Tuchel è stata quella di un allenatore che ha cercato la sintesi tra il calcio posizionale guardiolano e quello della ricerca costante del gegenpressing di scuola tedesca, elemento ben visibile nella sua esperienza a Dortmund, mentre le esperienze al PSG ed al Chelsea lo hanno portato ad affinare ulteriormente le sue strategie di gioco tanto da renderlo forse il miglior stratega esistente a livello mondiale.
A Monaco di Baviera Tuchel torna nei luoghi dove è nato e, raccogliendo l’eredità di Nagelsmann, sembra essere tornato alle sue origini anche a livello tattico. Il Bayern visto in questo doppio confronto con il City ha avuto il maggior possesso palla e la maggiore supremazia territoriale in un ordine di valori intorno al 60%, ribaltando quelli che erano i valori visti nei tanti scontri ai tempi del Chelsea.
Invece il nuovo City di Pep Guardiola è una squadra con un vestito del tutto diverso, che nelle partite più importanti sceglie di non contestare il possesso avversario accettando anche lunghe fasi di difesa posizionale.
Anche la scelta degli interpreti è coerente con questo cambio strategico, una situazione che smentisce in maniera definitiva quella superficiale visione che affermava che Guardiola costringa i giocatori ad adattarsi alla sua visione e non assecondarne le caratteristiche: la difesa a 4 composta da quattro difensori centrali sembra aver dato a questa squadra un senso di solidità mai percepito in questo settennato di Guardiola al City, a questo si aggiunge la presenza di Grealish e Haaland nell’armare ed eseguire rapide transizioni in grado di mettere a nudo la hybris di squadre, come il Bayern, che non hanno resistito al canto delle sirene di sfidare i Citizens in termini di supremazia territoriale.
Il doppio confronto tra Bayern e City si è deciso sotto questo aspetto: la squadra di Guardiola ha saputo proteggere meglio i suoi cinque giocatori offensivi di quanto fatto dal Bayern. Tuchel non è riuscito a smussare gli angoli del calcio sfrontato che la formazione bavarese ha espresso negli anni delle gestioni Flick e Nagelsmann e la squadra di Guardiola ne ha saputo approfittarne al meglio.
La regola del 9
Non si tratta di una nuova formula matematica, semplicemente si parla del giocatore con la maglia numero 9. Il Bayern Monaco quest’estate ha accettato di lasciar partire Lewandowski direzione Barcellona, al contrario il Manchester City ha portato all’Etihad Haaland.
Con l’addio dell’attaccante polacco, Nagelsmann ha voluto portare avanti una sfida molto in linea con le sue ambizioni e visioni del gioco, ritenendo che il gioco collettivo e Choupo-Mouting fossero sostituti sufficienti dell’attuale attaccante del Barcellona.
Siamo nella fase culminante di questa stagione e possiamo arrivare alla conclusione che il pensiero dell’ex tecnico del Lipsia non sia stato suffragato dai fatti. Il Bayern Monaco di questa stagione ha perso tanti punti in Bundesliga e non è riuscita a concretizzare quanto prodotto in questo doppio confronto proprio perché le qualità in area di Lewandowski sono un dazio da pagare nel momento in cui te ne privi.
Dall’altra parte, invece, Haaland non solo ha timbrato sia all’andata che al ritorno (senza dimenticare il rigore fallito) ma ha dato una dimensione decisamente diversa al gioco del City, portando nel linguaggio calcistico della formazione di Guardiola un elemento spesso assente nelle precedenti versioni della creatura di Guardiola: la profondità.
È sufficiente osservare le posizioni medie di Choupo-Mouting ed Haaland nelle due partite per capire al meglio come Bayern e Manchester City hanno cercato la porta. Da una parte vediamo il Bayern che usava il suo centravanti come elemento di sponda per poter avanzare sul terreno di gioco e superare il pressing del City (riuscendoci anche molto bene,) per poi riempire la zona tra le linee e da qui cercare di creare pericoli.
Dall’altra parte, invece, vediamo come il centravanti norvegese dei Citizens sia stato utilizzato come riferimento più avanzato da servire alle spalle della difesa bavarese, ulteriore dimostrazione di come le strategie di Guardiola siano del tutto asservite alle capacità del suo numero 9 di attaccare la profondità. Una mossa che ha pagato tantissimo in questo doppio confronto, tanto da mandare in crisi a livello mentale un difensore centrale del livello di Upamecano, che ha speso questi 180’ collezionando situazioni al limite dell’imbarazzante, culminate con lo scivolone sulla rete di Haaland nella partita di ritorno.
Cosa ci resta di questo Manchester City-Bayern Monaco?
Il calcio, così come il mondo che ci circonda, è in perenne mutamento: non si può parlare certamente di rivoluzione permanente, mentre sarebbe più calzante creare una similitudine con una grande ruota che gira a ciclo continuo.
Il confronto Tuchel-Guardiola è stata una viva dimostrazione di come si trasforma il calcio a seconda dei contesti, dei vissuti e delle situazioni contingenti: neanche due anni fa era il tecnico bavarese quello che alternava il controllo della partita con il possesso e con la negazione degli spazi all’avversario con fasi difensive prolungate, mentre lo spagnolo usava il pallone come arma per il controllo. Al termine di questo doppio confronto il quadro si è completamente ribaltato, con Tuchel chiamato ad assecondare una squadra abituata ad invadere militarmente la metà campo avversaria e difendersi sempre con il corpo in avanti, mentre Guardiola ha assecondato le caratteristiche del proprio centravanti cercando di creare situazioni dove poter sfruttare al meglio la profondità, anche a costo di schierare la squadra con 4 difensori centrali per dare maggiore libertà a giocatori come De Bruyne, Bernardo Silva e Gundogan al limite dell’usura fisica e mentale.
Tutti i quarti di finale di questa edizione della Champions League hanno visto prevalere la squadra che ha esercitato il minor possesso palla. Un dato che sta facendo esultare una determinata frangia dei 60 milioni di commissari tecnici presenti in Italia, ma che va ben contestualizzato. A parere di chi vi scrive, questa situazione non rappresenta un ritorno ad un calcio prettamente difensivo bensì ad una necessità di molti allenatori di gestire le forze in una stagione da oltre 70 partite e con un Mondiale di mezzo.
Questo aspetto rende problematico proporre strategie basate su un pressing alto e tanta aggressività in fase di non possesso, per questo motivo anche chi preferisce usare il possesso palla come arma per controllare le partite, cede il passo ad una strategia basata su fasi difensive prolungate allo scopo di non sovraccaricare fisicamente determinati giocatori.
Ogni situazione ovviamente fa storia a sé ma probabilmente il load management tanto discusso tra gli appassionati di NBA in primis sta diventando la carta che molti allenatori (incluso Guardiola) stanno utilizzando per massimizzare il cammino nelle Coppe Europee.