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Il disastro del Mineirao

Per tutti gli appassionati di calcio, razionalizzare quanto successo veramente allo stadio Mineirao l’8 luglio di ormai otto anni fa è un compito veramente difficile. Riuscire a capacitarsi che il Brasile; unica squadra penta-campione del Mondo, da sempre vista nel substrato culturale calcistico come patria del calcio, per di più paese ospitante di quell’edizione del Mondiale, venisse sconfitto con uno scarto di sei reti in una partita dell’importanza di una semifinale è ai limiti dell’immaginazione. Eppure in una sconvolgente notte mondiale – di quelle che noi italiani non vediamo da un po’ – una di quelle classiche, col caldo, le zanzare e i maxi-schermi nei bar il Mineirazo è stato realtà. L’angelo Brasile è stato mandato in esilio all’inferno dalla mefistofelica Germania, curiosamente vestita proprio di rosso e nero per quella notte al Mineirao. La tragedia si è consumata in novanta minuti, ma per tutti i brasiliani le conseguenze sono ancora presenti.

il pallone che sul fondo della rete all'ennesimo gol della germania
Immagine piuttosto ricorrente in quella serata al Mineirao(Foto: Robert Cianflone/Getty Images – OneFootball)

Prologo

Il Brasile di Scolari, ultimo CT in grado di vincere il titolo iridato nel 2002, aveva superato abbastanza agevolmente i gironi. Il tecnico tornato dopo anni da girovago in Europa, era sembrato propenso a ricreare una squadra con princìpi molto simili a quelli della spedizione nippo-coreana. La stella assoluta era Neymar, in difesa brillava Thiago Silva, le fasce erano presidiate da due totem del calcio spagnolo ed europeo come Marcelo e Dani Alves. Il resto della squadra era composto da ottimi giocatori con esperienza europea, ma senza quell’aurea magica che tocca solitamente i verde-oro. A centrocampo c’erano Luiz Gustavo e Fernandinho, mentre la trequarti era completata da Oscar e Hulk. Davanti un quasi ex calciatore come Fred. Nonostante una squadra con valori molto sbilanciati il Brasile era la favorita numero. Per blasone, perché giocava in casa, perché sembrava la naturalità delle cose che andasse in questo modo.

Dopo i gironi, toccò al Cile di Sampaoli. La squadra cilena era stata una delle sorprese dei gironi, dove con la complicità dei Paesi Bassi, era riuscita ad eliminare la Spagna campione in carica. Non sarà un caso che, con quella generazione la Roja vincerà le due Cope America successive, quella del 2015 e l’edizione del Centenario del 2016. La partita giocata nel pomeriggio al Mineirao, è infuocata. Il Brasile riesce a spuntarla solo ai rigori e nei tempi supplementari vede in faccia la morte, quando Pinilla colpisce una traversa clamorosa a pochi minuti dalla fine. Dopo il Cile, nei Quarti un’altra latino-americana rivelazione del torneo si frapponeva tra i verde-oro e la Coppa: la Colombia, di quello che sembrava un dominatore degli anni successivi, come James Rodriguez. Il dies colombiano viene preso in consegna per novanta minuti da Fernandinho, che lo limita al meglio. La battaglia durissima contro i colombiani termina 2-1 per il Brasile, ma lascia due strascichi significativi.

Al 63esimo il leader difensivo (e capitano) Thiago Silva, da diffidato, prende un giallo per impedire il rinvio veloce a Ospina; decretando di fatto la sua assenza dalla semifinale. Dopo soli venti minuti, con un intervento sciagurato di Zuniga, è Neymar a dover abbandonare il terreno di gioco anzitempo per una vertebra schiacciata. In poco meno di mezz’ora i due leader tecnici della squadra si sono giocati la possibilità di poter lottare insieme ai compagni per guadagnarsi l’accesso alla finale. Nel frattempo il tabellone decreta l’avversario da incontrare, nuovamente al Mineirao, in semifinale. La Germania di Joachim Low, vincitrice di un muscolare e non emozionante quarto di finale contro la Francia.

L'infortunio di Neymar contro la Colombia
Neymar che geme dal dolore a terra, ovvero quando tutto ha cominciato ad andare troppo male (Foto: Odd Andersen/ Getty Images – OneFootball)

Atto I: lo svantaggio

Decine di tifosi accorrono davanti l’ospedale dov’era ricoverato Neymar dopo il quarto di finale, con gli occhi colmi di speranze e le mani giunte in preghiera, ma niente di tutto ciò sortì l’effetto sperato. Il fuoriclasse del Barcellona dovrà assistere dall’ospedale al penultimo atto della rassegna iridata, con ben poche chances di giocare l’eventuale finale.

Per sostituire il numero 10 e il capitano, Scolari sceglie rispettivamente Dante e Bernard. Con Maicon al posto di Dani Alves per scelta tecnica la formazione era pronta per affrontare i teutonici. Prima dell’ingresso in campo Scolari e Low si stringono in un abbraccio per spezzare la tensione. Lo stadio è gremito ma non sembra emanare il solito calore, probabilmente dovuto alla paura di affrontare una partita così importante senza i due simboli della squadra. Tuttavia ci si appiglia al grande Mondiale disputato fin lì da Fernandinho, provvidenziale contro la Colombia e motorino instancabile contro il Cile; alla qualità infinita di Marcelo; a Dio che secondo i brasiliani ha semplicemente deciso che saranno loro a vincere il Mondiale 2014, in casa, vendicando il Maracanazo.

In realtà dal calcio d’inizio in poi sembra che i brasiliani ci abbiano visto giusto. I primi minuti tengono discretamente il campo e il pallone e tirano per primi in porta, grazie ad un break di Marcelo sulla trequarti, che si conclude con un tiro che termina un metro a lato dalla porta di Neuer. Purtroppo si tratta solo di un’illusione. Una dolcissima illusione, che termina all’undicesimo minuto. Su un calcio d’angolo battuto da Schweinsteiger, viene completamente dimenticato Thomas Muller al centro dell’area. Il pallone arriva indisturbato sui piedi del tedesco che non deve far altro che insaccare l’incolpevole Julio Cesar.

Il tempo in una partita di calcio è un concetto molto labile, quasi soggettivo. Subire un gol nei primi venti minuti può voler dire che hai tutta la partita per recuperare. Oppure può significare l’inizio di un crollo psicologico, le gambe tagliate, gli occhi grandi e impauriti. Per i tifosi verdeoro la prima impressione sarà stata quella giusta: si può rimontare, è solo un gol, a casa nostra. Ed è vero che si potrebbe rimontare, è vero che si gioca in un Mineirao pieno fino allo stremo. Ma è anche vero che manca Neymar e che Fred, sembra effettivamente fuori dalla contesa. Non tiene un pallone che sia uno, divorato completamente prima dalla tensione, poi dai centrali tedeschi.

I calciatori brasiliani smarriti dopo il primo gol della Germania al Mineirao
Testimonianza fotografica degli sguardi presenti al Mineirao post gol del vantaggio tedesco. (Foto: Martin Rose/Getty Images-OneFootball)

Atto II: l’abisso

Qualche minuto dopo, Hulk prova una delle sue conduzioni ma trova la strada sbarrata dal solito Schweinsteiger, allora sceglie l’appoggio verso Fred; il numero 9 prova a gestire il pallone, quando Boateng lo anticipa con la facilità con cui un difensore della prima squadra anticipa un novellino degli allievi. Fa partire la transizione, con Khedira che imbecca Muller, che coglie il Brasile in affanno, facendo rifugiare Dante in fallo laterale. Quello che avviene dopo la rimessa laterale è quasi scolastico. La Germania muove il pallone pianissimo, palleggiando con un ritmo da amichevole estiva, Muller gioca un passaggio orizzontale piuttosto prevedibile, che sembra facile preda di Fernandinho. eppure il numero 5 brasiliano, quello che sembrava essere uno degli eroi del destino, liscia clamorosamente l’intervento.

Il pallone arriva nei piedi di Kroos, che verticalizza sapientemente per Klose, che sul secondo tentativo raddoppia il vantaggio tedesco. Ma il buio dell’abisso era solo all’inizio. Dopo neanche due minuti, incursione sulla fascia di Lahm conclusa con un cross sbilenco, dove questa volta è Muller a lisciare clamorosamente il pallone. Il Mineirao potrebbe tirare un sospiro di sollievo se non fosse una serata maledetta. Infatti, dietro il trequartista del Bayern è Kroos a prendere il pallone e chiuderlo in porta con una staffilata di collo pieno sul secondo palo. Tre a zero. I brasiliani guardano il tabellone col cronometro: sono passati solo ventiquattro minuti.

Ci vogliono solo altri due minuti, per capire l’incubo in cui si sono cacciati. Su un disimpegno tra Dante e Fernandinho (ancora lui), il centrocampista del City si addormenta, lasciandosi soffiare il pallone da un indemoniato Toni Kroos, che si invola verso l’area cercando con un passaggio Khedira, il quale prima attira su di sé le attenzioni di Dante e Julio Cesar, poi gliela restituisce, concludendo un gol da Pro Evolution. Il passivo comincia a ingrandirsi e le telecamere della FIFA cominciano a indugiare su diversi tifosi e tifose in lacrime. L’agonia è ben lontana dal dirsi conclusa, mancano ancora più di due terzi di partita e la Germania non sembra aver intenzione di fermarsi. Almeno non prima dello 0-5 firmato Khedira al minuto ventinove, quando Hummels, confermando che si tratta di una serata al limite del paranormale, riesce in conduzione a saltare due linee intere dei brasiliani, poggiare il pallone al limite dell’area per Khedira che dopo un altro torello in combutta con Ozil, firma la quinta rete.

Khedira esulta dopo il quinto gol al Mineirao
Khedira esulta dopo il quinto gol, mentre Fernandinho vaga sconsolato. (Foto Francois Xavier Marit/AFP via Getty Images-OneFootball)

Atto III: il disastro del Mineirao, o Mineirazo

Andare a riposo sullo 0-5 deve essere sembrato quasi un sollievo per i verdeoro. La Germania dal quinto gol in poi è apparsa quasi non avere più neanche la voglia di imbruttire ulteriormente la carcassa del Brasile. Per chi intende il gioco come gioia e irrisione degli avversari, forse è stato quello il momento peggiore. Quello in cui hanno avuto la chiara percezione che i tedeschi provassero pietà. Ma d’altronde è uno dei dibattiti più atavici del calcio: si umilia maggiormente l’avversario continuando a giocare e segnare oppure risparmiandosi in un ampolloso giropalla?

La Germania sembrava aver scelto la seconda opzione, almeno fino all’ingresso di Schurrle. Entrato al cinquantottesimo, all’ala ex Chelsea basta una decina di minuti per timbrare il cartellino senza badare troppo a timori reverenziali, in azioni che sembravano sempre di più quelle di attacco-contro-difesa che si svolgono in allenamento e chiudendo quindi una combinazione tra Lahm e Khedira. Sei a zero. I brasiliani erano letteralmente inebetiti, incapaci di reagire non solo tecnicamente, ma anche da un punto di vista nervoso. Non un nervo scoperto, non un fallo di reazione, un unico cartellino giallo in tutta la partita a testimoniare quanto il punteggio ha reso tutto così simile ad un’amichevole estiva tra una squadra di Serie A e una rappresentativa dilettanti.

Il Mineirao cominciava a svuotarsi, quando Schurrle, evidentemente fautore della tesi contrapposta a quella del giropalla, sigillava il punteggio con il gol più bello della serata; una demi volée di sinistro sul primo palo di controbalzo, su cui ancora una volta, Julio Cesar non ha potuto far altro che guardare il pallone infilarsi alle sue spalle. Il punteggio più largo della storia delle semifinali Mondiali, non solo tocca alla squadra che ha vinto più volte il titolo, ma gli tocca in casa propria. Nel Mondiale che doveva rappresentare un simbolico riscatto casalingo dopo il fracasso del 1950. Non a caso il Brasile aveva in testa di giocare solo la finale nello stadio di Rio de Janeiro, considerato maledetto dal gol di Ghiggia in poi.

Rimane qualche minuto, qualche scampolo di quella che è diventata poco più che un’esibizione. Giusto per il gol di Oscar, che scarta Boateng e batte Neuer. Raccoglie il pallone, ma lo fa a testa bassa. Dovrebbe essere un gol della bandiera, ma le reazioni di Boateng e Neuer, stizziti con i compagni, vogliosi di brutalizzare, ancor più che nel punteggio, nello spirito i brasiliani, fanno capire quanto sia unico lo spettacolo a cui una notte di otto anni fa abbiamo assistito in mondovisione.

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