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Con giugno si avvicina il tempo del calciomercato ma anche quello dello shopping falso e annoiato, e ora più avanti capirete a cosa mi sto riferendo. Voglio dire, a giugno si gira per i negozi e per il calciomercato perché è aria di estate e c’è un attimino di pausa, magari. E vendono tutti i costumi ed i cappelli e gli ombrelloni gialli e le mezzali; le solite cose estive. Sembra sempre che tutti debbano comprare tutto ora, ma alla fine si va per luglio con gli acquisti.

Sono bastate quattro partite di Champions League per far partire un processo: le sconfitte di Chelsea, Tottenham e Liverpool ed il pareggio del City sul campo del Lipsia hanno messo sul banco degli imputati la Premier League. Così come una rondine non fa primavera, possono questi risultati negativi fornirci sufficienti prove per affermare che il campionato più ricco del mondo non sia quello tecnicamente più valido?

Nella faraonica campagna acquisti invernale del Chelsea – ben 178 milioni di euro spesi  per sette calciatori – l’impressione di voler rivoltare la squadra come un calzino è parsa piuttosto evidente. Un po’ per i non esaltanti risultati ottenuti finora, un po’ perché con l’esonero di Tuchel, diversi calciatori confacenti alla filosofia di gioco del tecnico tedesco sono risultati indigesti al nuovo manager, Potter. In Premier questo è possibile: a suon di milioni non si punta a far rendere investimenti del tecnico precedente, ma anzi, si cancella con forza quel passato comprandone degli altri a prezzi ancora più stellari. Probabilmente Potter ha richiesto più di un puntello nel reparto avanzato – a causa della poca stima dimostrata nei confronti di calciatori come Sterling o Aubameyang – ed è stato accontentato. Sono arrivati: Joao Felix in prestito dall’Atletico Madrid, la piccola gemma Madueke dal PSV e infine, dopo un flirt con Leao, la scelta per l’investimento forte è stata su Mudryk. Cosa cercava esattamente Potter? Perché ha virato da Leao all’ucraino?

È dal giorno in cui lui stesso annunciò a tutti che lasciava il suo incarico nello staff della Nazionale di Roberto Mancini che ho iniziato a fare i conti con la possibilità che stessimo per perdere definitivamente Gianluca Vialli. Per questo ho iniziato a pensare cosa raccontare, perché la storia e la carriera di Gianluca Vialli è piena di avvenimenti e situazioni straordinarie, ma soprattutto Gianluca Vialli è stato il nostro Virgilio che ci spiegava con le sue gesta dentro e fuori dal campo i cambiamenti del mondo del calcio.

Quando qualcosa in una squadra non va, la prima testa a saltare è quella dell’allenatore. Pensate alla vostra squadra del cuore: quanti allenatori avete visto avvicendarsi? Per i tifosi di squadre con presidenti un po’ più vulcanici è normale trovarsi davanti a due o tre facce diverse nello stesso anno. E se vi dicessero che la vostra squadra verrà allenata dalla stessa persona per quarantasei anni? Che da ora fino alla vostra vecchiaia vedrete uno e un solo allenatore sulla panchina della vostra squadra? Questo è quello che è successo a West Bromwich tra il 1902 e il 1948.

Cristiano Ronaldo sembra una statua di cera: ha i capelli perfetti, le sopracciglia perfette, la pelle liscia in cui affiorano appena alcune rughe. Non ha più lo stesso fascino belloccio di qualche anno fa ma forse non lo sa. Indossa una giacca che probabilmente un comune mortale non potrebbe neanche vedere, tiene le mani giunte, si accompagna con una gestualità quasi minima. Intorno a lui una stanza che sembra una hall di un albergo.

In questo periodo di egemonia economica e tecnica della Premier League è molto facile che un calciatore messosi in mostra in un campionato minore vada direttamente in Inghilterra. La situazione è ormai cristallizzata su questo status da almeno 5-6 stagioni: per non andare lì, o una società (non-inglese) si muove con larghissimo anticipo oppure dev’essere il giocatore a volere uno step intermedio. Molto spesso questo salto triplo, da una lega “minore” all’eccellenza della Premier può fagocitare il talento del calciatore: magari non ancora pronto né fisicamente, né tatticamente, né psicologicamente alle pressioni del campionato più competitivo al Mondo. La carriera di Vlasic, probabilmente, rientra pienamente in questa casistica. E il tentativo di rilanciarla dopo uno scotto così forte è molto complesso.

Una volta, chiacchierando con una mia amica, parlavamo dell’importanza di fare le cose bene. Il detto “Il fine giustifica i mezzi” lo conosciamo tutti, ed è condivisibile o meno, a seconda degli istinti che ci muovono come esseri umani. Per rendere chiaro il pensiero che stavo esprimendo, mandai questo video alla mia amica, una conferenza stampa di Marcelo Bielsa di quando allenava all’Athletic Bilbao. Durante la stessa, “El Loco” racconta una storia illuminante di quando era un bambino, e viveva in un barrio di Rosario, dove il rispetto si guadagnava con la fatica. C’erano famiglie che lavoravano tanto per permettersi un Seat, e altre che vincevano alla lotteria e compravano un Mercedes-Benz. C’era chi veniva stimato perché aveva il Seat, ma soprattutto perché aveva lavorato per poterlo acquistare. Ancora una volta, l’eterno scontro tra processo e risultato. Forse questo è il primo momento nella vita di Marcelo Bielsa in cui si è trovato di fronte al bivio che ha caratterizzato la sua vita, la sua carriera e il suo credo. 

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