Bologna è una città strana, a suo modo unica. Una Parigi minore per Guccini, una Marsiglia senza il porto per Bersani. Imbevuta in quell’afflato culturale, pittoresco e decadente, è una città contraddittoria, incoerente e affascinante. San Luca dall’alto controlla lo scorrere della vita brulicante, calderone antropologico italiano e straniero, ricambio continuo dei flussi umani della sua antica università. Riparati dai portici, si possono incontrare bohemienne fuori dal tempo cercare il bacio dell’arte insieme a uomini di impresa dai volti squadrati, vestiti di tutto punto in completo e ventiquattrore, impegnati nella cura dei loro affari. Li si può vedere passeggiare uno di fianco all’altro, senza avere la sensazione di essere capitati in un qualche scenario grottesco.
La stagione in corso non ha ancora emesso i suoi verdetti definitivi, ma nel mondo del calcio c’è già chi pensa alla rovente sessione di calciomercato in arrivo. Aurelio De Laurentiis ha recentemente ufficializzato il primo acquisto del Napoli che verrà. Si tratta di Khvicha Kvaratskhelia, esterno georgiano classe 2001. Non una sorpresa, dato che il suo nome gira in orbita partenopea da più di qualche mese. I campani si sono quindi accaparrati uno dei talenti più interessanti e discussi del panorama calcistico europeo, il cui futuro italiano appare allo stesso tempo intrigante e pieno di incognite.



L’etichetta di predestinato
Il padre di Khvicha Kvaratskhelia, Bardi, era una punta centrale che aveva grande confidenza con il gol. Nel corso della sua carriera tra Georgia e Azerbaijan è andato in rete 145 volte soltanto in campionato. Numeri da relativizzare rispetto al livello delle competizioni, ma comunque segno di una genetica con un feeling indiscutibile verso il gioco del pallone. Khvicha è al contrario un’ala che in gol va ancora meno di quanto dovrebbe, ma la cui classe si è dimostrata fin dai prematurissimi esordi come debordante.
A 16 anni il ragazzo ha esordito con la squadra della sua città, la Dinamo Tbilisi, e solo pochi mesi dopo è passato al Rustavi con la promessa di maggiore minutaggio. In questo primo scorcio di 2018, con 3 gol e 3 assist in 18 presenze, Kvaratskhelia è finito sui taccuini dei talent scout europei. Nonostante le insistenti voci che lo volevano in partenza verso lidi ben più blasonati, ad accaparrarselo è la Lokomotiv Mosca, che lo preleva in prestito.
Kvaratskhelia ha smania di confrontarsi con contesti maggiormente competitivi, ma a soli 17 anni l’impatto con la più probante lega russa è quantomeno complicato. Solo 10 presenze e 1 gol, dovute ovviamente anche alla maggiore concorrenza all’interno della rosa dei moscoviti. A fine anno la società vorrebbe comunque riscattarlo, ma dovrà cedere a fronte di richieste economiche impossibili da soddisfare.
Poco male, perchè si presenta l’occasione Rubin Kazan. Qui Kvaratskhelia trova maggiormente la sua dimensione nonostante una squadra lontana dai suoi fasti migliori. 3 gol e 5 assist nella stagione 2019/2020, 4 gol e 8 assist in quella 2020/2021. Soprattutto però la messa in vetrina di tutte le sue migliori qualità, difficilmente definibili soltanto dai numeri.
Khvicha si dimostra infatti capace di ubriacare le difese col suo dribbling, di mandare in porta i compagni e di creare costantemente superiorità numerica. Impara anche a muoversi in un ruolo non propriamente suo che è quello di ala destra, lui che preferisce stanziare sulla sinistra per poter rientrare e andare al tiro.
Dopo un inizio di annata 2021/2022 leggermente sotto le aspettative, seppur con 2 gol e 5 assist, Kvaratskhelia ha lasciato il Rubin per le vicissitudini di guerra che conosciamo tutti, approdando in prestito alla Dinamo Batumi, di nuovo nel campionato georgiano. Difficile era immaginare che non approfittasse della situazione anche per spingersi ancor più verso occidente, alzando l’asticella. Difatti, grazie all’accordo trovato con il Napoli, così è stato.
Un talento che può accendere il “Maradona”
Per posizione in campo l’eredità di Kvaratskhelia sarà parecchio pesante. Il Napoli infatti quest’estate perderà il capitano Lorenzo Insigne in direzione Toronto. Alcune delle caratteristiche tecniche dei due, oltre al ruolo, in effetti coincidono.
Il georgiano, come Insigne, ama molto venire dentro al campo, toccare spesso il pallone e soprattutto rientrare sul suo piede preferito, che è il destro. Anche in tema di tiro a giro non se la cava poi così male, seppur lontano dai livelli di esecuzione (e dal quantitativo di tentativi) del ragazzo di Frattamaggiore. Ad accomunarlo a Lorenzo è anche l’abilità sui calci piazzati affinata soprattutto in Russia. Un’arma cruciale per una squadra dotata dei saltatori di cui dispone il Napoli. Da altri punti di vista però, la loro interpretazione del gioco differisce molto.
Innanzitutto tra i due esiste una differenza fisica evidente. Kvaratskhelia non dispone del baricentro basso di Insigne, anzi con i suoi 183 centimetri è un giocatore discretamente alto per il ruolo. Allo stesso modo non ha le sue stesse geometrie, né tantomeno l’attitudine al gol del capitano partenopeo.
A Insigne però spesso è stata imputata una scarsa capacità nell’uno contro uno che portasse davvero alla creazione di superiorità numerica. Una falla che si può estendere a praticamente tutta la rosa del Napoli. In questo senso Kvaratskhelia è proprio la tessera mancante del puzzle. Più che il suo destro, comunque potente e preciso, e la sua visione di gioco, è con l’abilità di puntare e saltare l’uomo che il georgiano cerca costantemente di portare vantaggio alla sua squadra.
Lo fa, tra l’altro, in un modo diverso a quello che siamo abituati a vedere ultimamente nel nostro campionato. Non è un calciatore particolarmente veloce, non ha uno scatto sul breve fulminante, ma dispone di un tale controllo del suo corpo da portare sempre il diretto avversario ad affrontare il duello come vuole lui. La sua andatura caracollante gli permette paradossalmente di essere efficacissimo nei cambi di ritmo e velocità. Le sue finte non si limitano ai giochi di gambe e alla rapidità nello spostare il pallone, ma hanno a che fare anche, se non soprattutto, col movimento della parte superiore della sua figura. La buona fisicità e protezione palla gli consentono infine di reggere l’urto dei contrasti quando lanciato, e di guadagnare calci di punizione utili.
Queste doti non catturerebbero così tanto l’attenzione se non fossero unite a un certo coraggio nel provare costantemente la giocata, persino sfacciataggine a volte. Kvaratskhelia è uno di quei calciatori che ha senso dello spettacolo. In una città che negli ultimi tempi si è esaltata soprattutto per i centravanti, forse l’augurio migliore è quello di ripercorrere le orme di un altro giocatore spettacolare e poco ortodosso che in passato ha acceso l’ex San Paolo: il pocho Lavezzi.



Cosa potrebbe andare storto?
L’augurio è, ovviamente, “nulla”. La realtà però è un po’ diversa. In primis il passaggio dal campionato russo (e simili) a quello italiano può essere devastante. La preoccupazione aumenta quando si tratta di calciatori che non si sono mai allontanati dalle zone di ex-competenza sovietica, abituati soltanto a quel contesto e quella filosofia calcistica. Esempi lampanti di calciatori che hanno sofferto l’impatto con la nostra realtà nonostante il grande talento sono Miranchuk e Kovalenko, entrambi portati in Italia dall’Atalanta.
Nel caso di Kvaratskhelia esistono poi dei punti di domanda puramente calcistici, ed è difficile decifrare con esattezza quali siano semplicemente conseguenza della giovanissima età, e quali invece intrinsechi alle sue caratteristiche e quindi più complessi da estirpare. Come già accennato innanzitutto il georgiano è tutt’altro che un goleador. Al suo bagaglio mancano certi movimenti in profondità senza la palla. Non è dotato del killer istinct di cui un esterno del 4-2-3-1 dovrebbe disporre come minimo per attaccare il secondo palo con costanza e voracità.
Talvolta tende anche un po’ ad essere troppo innamorato del pallone, complice il suo ruolo da accentratore in squadre non esaltanti. Difficile poterselo permettere contro l’aggressività e la furbizia dei difensori italiani. La rapidità non supersonica è un altro difetto, o presunto tale, che rischia di penalizzarlo in un campionato in cui gli spazi sono decisamente più angusti.
Un’altra potenziale nota dolente, forse quella su cui si dovrà battere di più, è la fase difensiva. Kvaratskhelia, come molti giocatori offensivi della sua età, deve essere istruito ai compiti di ripiegamento e abituato a tenere costante l’intensità in entrambe le fasi. Non facile per chi non è abituato a un gioco troppo fisico. Lo stesso Insigne del resto sotto questo aspetto è migliorato di anno in anno, sopperendo alle proprie mancanze con una certa dedizione. Lorenzo è stato fortunato in questo senso nell’incontrare Zeman a inizio carriera. A Kvaratskhelia servirà qualcuno con altrettanta fermezza e inclinazione alla didattica, oltre a molta pazienza.



La spinta di un paese
Dopo aver fatto quasi tutta la trafila delle nazionali giovanili, con uno score invidiabile soprattutto nell’Under 17 (20 presenze e 15 gol), nel 2019 Kvaratskhelia, a soli 18 anni, ha fatto il suo esordio con la nazionale maggiore. In panchina sedeva Vladimir Weiss, uno che curiosamente ha portato una leggenda del Napoli come Marek Hamsik a giocare il suo unico mondiale.
Da allora i gettoni con la selezione del suo paese per Kvaratskhelia sono stati 13, conditi da 5 gol. In particolare le sue performance in fase di qualificazione per il mondiale del Qatar, poi mancata, lo hanno reso un idolo in patria. La Georgia, a parte qualche buon nome negli anni (in Italia si ricorda Mchedlidze e soprattutto Kaladze), non ha una grande tradizione calcistica. Kvaratskhlia, insieme a Chakvetadze e al portiere Mamardashvili, rappresenta il futuro e la grande speranza di un intero movimento. Le sue vicende sono seguite con orgoglio e partecipazione dal pubblico calciofilo del paese.
La stella di Kvaratskhelia ha iniziato davvero a brillare nella partita del marzo 2021 contro la Spagna, persa dai georgiani per 2-1. L’esterno ha fatto letteralmente impazzire con i suoi dribbling la fascia destra delle furie rosse e ha anche segnato il gol della vana speranza per i suoi. Un segnale, magari non inconfutabile ma significativo, che il suo calcio poteva funzionare anche su palcoscenici particolarmente importanti.
Tre giorni dopo è arrivato il gol alla Grecia, in una gara terminata 1-1, con un’azione tipica per Kvaratskhelia. Partenza vicino alla linea laterale sinistra, pallone incollato al piede, movimento a rientrare e destro secco sul primo palo. Mesi dopo, a suggellare la Kvaratskhelia-mania è arrivata al doppietta contro la Svezia di Ibra in una clamorosa vittoria per 2-0. Un gol in mischia dopo una serie di rimpalli, quasi da rapace d’area, e un azione solitaria chiusa con invidiabile freddezza.
Oltre alla speranza dettata da prestazioni e giocate che si spera possano ripetersi con più continuità, risalta il senso di responsabilità di questo ragazzo. Portare il peso di una nazionale a soli 21 anni è roba per pochi, per quanto si tratti di una compagine senza grandi ambizioni. A Napoli sperano di poter contare su un ragazzo già abituato a gestire pressioni, critiche e attenzione mediatica. Ciò su cui potranno contare sicuramente è il tifo di una nazione intera.
Nella storia del calcio moderno pochissimi settori giovanili sono riusciti a produrre quanto La Masia. La narrazione di cui gode il settore giovanile del Barcellona è enorme e giustificata. Capita però che avere addosso appiccicata l’etichetta di provenire da lì sia un’arma a doppio-taglio. Alcuni vengono semplicemente sopravvalutati; altri vengono bruciati perché nonostante il materiale tecnico presente non riescono a reggere la pressione; altri ancora pur essendo degli ottimi prospetti vengono schiacciati dalle aspettative. Quest’ultimo è probabilmente il caso di Gerard Deulofeu. Lo spagnolo prima di approdare a Udine, ha girovagato a lungo partendo da Barcellona. Ha cercato un ambiente, un modo di giocare, una sorta di comfort zone dove poter sprigionare i suoi dribbling fulminei e la sua verticalità. Quest’anno finalmente sembra esserci riuscito.
Col sole alto nel cielo, nelle belle giornate di primavera, quei due passavano ore e ore fuori in giardino. I sabati e le domeniche, quando tutta la famiglia si riuniva per pranzare insieme, puntualmente nonno e nipote sparivano. Dalla finestra li si poteva scorgere intenti nel portare avanti il loro gioco preferito: l’uomo anziano tirava il pallone in aria con le mani e il piccolo attendeva che questo precipitasse dal cielo, per provare a colpirlo con le più contorte acrobazie. Erano in grado davvero di passare tutta la giornata così, col nonno che incitava il nipote a compiere la rovesciata perfetta.
Come De Niro sognante e stordito dall’oppio nel finale ambiguo di ‘C’era una volta in America’, così, in piena lotta scudetto, i tifosi del Milan possono distrarsi dalla cruda realtà di un campionato che gli sta sfuggendo di mano, fantasticando su quello che sarà. Come dice Rosella O’Hara in Via col Vento: “Domani è un altro giorno“.
Giacomo Raspadori ha tutto per essere definito un bravo ragazzo. Il look sobrio, il taglio di capelli militaresco, le dichiarazioni stereotipate in cui parla solo di lavorare per migliorare, gli addetti ai lavori che lo chiamano Giacomino, i mister che ne esaltano la professionalità e l’umiltà. De Zerbi in questa purezza fanciullesca ci aveva visto addirittura un limite: “Gli ho detto che deve venire con me a rubare qualche portafogli” aveva dichiarato a mezzo stampa, sottolineando con una metafora singolare quanto fosse necessario per la sua crescita incattivirsi in campo. Raspadori ha a sua volta confermato di aver colto subito l’antifona, annoverando anche questo tra i tanti insegnamenti ricevuti e appresi dal mister che lo ha fatto esordire tra i professionisti.
Che si trattasse di un altro allenatore, di una squadra o di un’istituzione, per gran parte della sua carriera Mourinho ha sempre avuto un antagonista ben definito. Lo scontro prolungato percorre la trama di un’infinità di racconti che hanno il portoghese come protagonista, dal gesto delle manette alle pungenti battute su Wenger e Conte, passando per la leale rivalità con Guardiola. Tutte questioni che hanno occupato un ampio spazio temporale e che si sono susseguite o sovrapposte l’un l’altra, mostrandoci di settimana in settimana un Mourinho tenacemente in contrasto con uno a turno dei suoi oppositori. Nelle recenti stagioni però questo istinto da duellante ha assunto una dimensione marginale. Non è più lui, nella sua sfera personale, ad impugnare le armi per lanciarsi all’assalto di un’entità. Lontano dalle lotte di vertice, Mourinho pare infatti aver sviluppato una versione 2.0 di sé stesso.
In un’intervista concessa lo scorso ottobre sul canale Twitch de Gli Autogol, ad Alessandro Bastoni viene chiesto di commentare un momento simbolo della scorsa stagione, sia per lui come singolo sia per la successiva vittoria dello scudetto dell’Inter. Si tratta del lancio del difensore nerazzurro verso Barella al 52° minuto di Inter-Juventus, un perfetto passaggio a lunga gittata che ha tagliato il campo ed è arrivato al numero 23 dell’Inter, che ha completato il movimento e ha poi superato Szczesny per chiudere la partita sul 2-0. “C’è un momento simbolo della tua stagione in cui tu fai una giocata pazzesca, non da Bastoni” gli dice uno dei presentatori introducendo quella scena. Mentre scorrono le immagini, Bastoni risponde a tono: “Ma non da Bastoni perché, esattamente?”.
Colui che ruba ai ricchi per dare ai poveri. Una delle massime espressioni del concetto di fine che giustifica i mezzi. Questo è Robin Hood, o meglio, la versione che n’è arrivata sino a noi, quella sopravvissuta e affermatasi nel corso dei secoli, la più fiabesca, sicuramente la più semplice da narrare, tutta luci e niente ombre. Una figura divenuta metafora in cui il Sassuolo sembra ormai essersi calato da qualche anno a questa parte, ma che mai era riuscito ad interpretare così bene come in questa stagione.
Il calcio nel sud-est d’Europa vive da ormai 30 anni di paradossi. A fronte di campionati locali poco sviluppati, spesso tediati da corruzione e difficoltà economiche, negli ultimi tempi sempre più selezioni nazionali provenienti dai Balcani e dintorni stanno acquisendo competitività. La diaspora dettata da guerre e dittature ha fatto sì che nuovi talenti crescessero in contesti sportivi decisamente più strutturati. Di certo è questo il caso dell’Albania e di una nuova generazione di talenti pronta a illuminare il futuro delle aquile, come Marash Kumbulla, Armando Broja e l’empolese Nedim Bajrami.