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Antonio Fontana

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All’83esimo minuto di Inter-Genoa, nell’agosto del 2021, il pubblico di San Siro sfrigolava come un soffritto in padella a cottura inoltrata, creando un’ambiente che ricordava gli istanti precedenti ai primi ingressi in campo di Gabigol qualche anno prima. A prepararsi al suo debutto non c’era però un brasiliano col fisico da veneziano e la barba tracciata col righello, ma un olandesone di un metro e novanta dalle spalle larghe e l’espressione corrucciata. Forse è proprio grazie a quell’espressione, risentita ma affabile, che a primo impatto la tifoseria nerazzurra lo aveva preso in simpatia.

Si avvicina sempre di più quel periodo a cui abbiamo cercato di pensare il meno possibile, ma se fino ad ora ce la siamo cavata con un po’ di ovatta nelle orecchie, pian piano la tecnica dello gnorri sta smarrendo la sua iniziale efficacia. Se non trascorrendo un mese e mezzo da eremita tra Alpi e Appennini, da qui a poco il Mondiale monopolizzerà le nostre conversazioni a sfondo sportivo. E siccome la crisi energetica ci priverà anche delle luminarie natalizie, per evitare di sprofondare in una cupa angoscia tardo-autunnale, vale la pena spendere qualche minuto nella ricerca di stimoli che ci invoglino a seguire la competizione, evitando che le notizie a riguardo ci si presentino patinate di malinconia.

Per chi ama vestire i panni degli scout, o più semplicemente per coloro a cui piace millantare conoscenza nelle discussioni con gli amici, tra gli spunti meno mainstream in ottica Mondiale sicuramente figura lo sviluppo dell’australiano Garang Kuol, attaccante classe 2004 che attualmente milita nei Central Coast Mariners, e che si trasferirà ufficialmente al Newcastle durante la prossima sessione di mercato. Nonostante fino ad ora si sia visto appena per 189’ in A-League, in patria traina già un vagone di hype mai così pesante da quando Tim Cahill andava in doppia cifra con la maglia dell’Everton (no, nemmeno l’esultanza di Mark Bresciano pare gasasse a tal punto gli australiani). Basti pensare che nelle recenti interviste al ct Graham Arnold la maggior parte delle domande verte proprio su di lui, esordiente nell’ultima finestra dedicata alle squadre nazionali.

Il solo scorcio concessogli nella parte finale del match contro la Nuova Zelanda non ha fatto che alimentare la fremente curiosità che gli ruota intorno. Cinque minuti dopo essere entrato in campo, raccoglie con la testa una palla sporca proveniente da un calcio d’angolo avversario, la insegue e se la aggiusta con il piede sinistro, bruciando il difendente che era nettamente in anticipo e evitando il fallo laterale. Si lancia quindi in uno scatto di cinquanta metri, prima di servire al centro il pallone che porterà ad un calcio di rigore guadagnato.

Kuol durante l'esordio in nazionale
Decisivo sin da subito anche con l’Australia (Foto: Hannah Peters/Getty Images – OneFootball)

Evidentemente va considerata la valenza marginale dell’avversario e della partita stessa, ma non è questa singola giocata che giustifica il sentimento collettivo nei suoi confronti, quanto più ciò che ha mostrato in quei 189’ di gioco in campionato. 4 gol e 1 assist spalmati su 9 presenze totali, e soprattutto una capacità di incidere sulle partite straordinariamente atipica in Australia. I minuti giocati al debutto in nazionale sono stati solo diciassette, tuttavia Arnold pare essere intenzionato ad includerlo nella spedizione mondiale. Già lo aveva fatto capire nella conferenza stampa organizzata in occasione dell’annuncio dei convocati prima dell’ultima pausa, quando peraltro Kuol era proprio al suo fianco

“Gioca in una zona del campo in cui abbiamo bisogno di giocatori; davanti, un’ala abile nell’uno contro uno, veloce e capace di mettere il pallone in porta. Siamo alla ricerca di questo tipo di giocatori. Non m’importa dell’età finché vedo la qualità.”

Pur senza sbottonarsi in maniera eccessiva, anche dopo il suo esordio, il ct ha ribadito la possibilità di vederlo in Qatar.

“Beh, è in lizza. Rappresenta una soluzione diversa ed è quello che stiamo cercando. Ma ha ancora molto da imparare. È grezzo ed inesperto, il che è normale a 18 anni. Io ho già dimostrato di essere pronto a correre questo tipo di rischi. Può essere utile per sorprendere gli avversari, ma ha una lunga, lunga strada da percorrere.”

Anche qualora dovesse far parte dei convocati, resta estremamente complicato immaginarlo fra i titolari, e potrebbe essere azzardato persino il pensiero di vederlo in campo a partita in corso. Il media australiano ABC Sport ci ha comunque tenuto a precisare ciò che “potrebbe succedere”; Kuol entrerebbe a far parte dei dieci calciatori più giovani a giocare un Mondiale (nono in ordine di gioventù), e, nell’eventualità di un gol segnato, sarebbe secondo solamente a Pelé. L’enfasi nel sottolineare traguardi come questi, fa capire quanto possa essere speciale per l’Australia poter riporre le speranze in un talento di tale portata.

Glissiamo allora sulle discussioni riguardo le convocazioni, sullo scorrere video del cammino di Spagna ’82 o Germania 2006 e su tutti gli altri riti propiziatori in cui ci cimenteremmo se pure noi partecipassimo al Mondiale, ed immergiamoci nelle speranze australiane, cercando di capire chi è Kuol e quali possono essere le sue prospettive future.

Garang Kuol
Graham Arnold in conferenza stampa insieme a Garang Kuol. (Photo by Lisa Maree Williams/Getty Images – OneFootball)

Sudan, Egitto, Australia

Il percorso di Garang Kuol trova origine in un fenomeno geopolitico di ampio respiro, quale il flusso migratorio dal Sudan all’Australia. I genitori sono infatti fuggiti dal paese africano durante la seconda guerra civile, uno dei conflitti più cruenti a livello globale dopo la Seconda guerra mondiale, durato oltre vent’anni e causante approssimativamente due milioni di morti. La prima tappa della fuga è stata il vicino Egitto, dove Garang è nato ed ha vissuto i primi sei anni della sua vita, prima di trasferirsi da rifugiati in Australia, nazione che, secondo i dati dell’Australian Bureau of Statistics, nel 2011 contava sul suo territorio oltre 25’000 persone nate in Sudan o Sud Sudan, e più di 30’000 di seconda generazione.

Ad una decina d’anni di distanza dalla massima espansione del flusso, l’accoglienza dei rifugiati di origine sudanese sta avendo un riflesso molto positivo sullo sport australiano. Nel basket, per esempio, Reath ha partecipato all’ultima spedizione olimpica, mentre Lo Buluk e Okwera stanno scalando le gerarchie nelle competizioni domestiche. Per quanto riguarda il calcio, invece, Kuol è andato ad aggiungersi in nazionale alle presenze fisse Thomas Deng e Awer Mabil (quest’ultimo titolare del Cadice in Spagna).

Il passaggio da rifugiato ad atleta, com’è facile immaginare, presuppone l’esposizione ad un’enormità di sacrifici. La letteratura sportiva è farcita di storie in cui il talento si mescola alla smania di emergere e al culto dello sforzo, e Kuol rientra in quella raccolta. L’allenatore Craig Carley dei Goulburn Valley Suns, la prima squadra di Kuol, racconta che i genitori lavavano le divise per racimolare qualche soldo e permettere ai figli di far parte del club.

Cairley ha rappresentato una figura chiave nel processo di crescita di Kuol, spingendolo a confrontarsi con le categorie che non avrebbero dovuto competergli in termini d’età. L’allenatore ricorda in maniera quasi affettiva una partita in cui Goulburn Valley affrontava il Dandenong City, durante il campionato semi-professionistico dello stato di Victoria. La retroguardia avversaria era guidata da Adrian Leijer, ex capitano del Melbourne Victory (uno dei club più prestigiosi d’Australia), ritiratosi dal calcio professionistico da poco, ma messo in seria difficoltà da un Kuol al tempo appena quindicenne.

“Abbiamo fatto entrare Garang negli ultimi 15 minuti e ha fatto a pezzi il City. Ha letteralmente fatto a pezzi Leijer. Ricordo di aver parlato con Sasa Ogenovski [ex nazionale e allenatore del Dandenong, ndr] dopo la partita e di avergli detto: “Amico, devi aiutarmi a far entrare questo ragazzo in un ambiente professionale, perché ha una classe superiore”.”

Il trasporto con il quale Cairley parla di questa partita, e di quanti sforzi abbia profuso per il trasferimento di Kuol in un ambiente che potesse favorirne lo sviluppo, pur avendo una sfumatura paradossale, è direttamente proporzionale all’entusiasmo generalizzato che oggi è rilevabile nel discorso mediatico riguardo al giovane australiano.

L’opportunità tanto reclamata da Cairley è stata offerta a Kuol dai Central Coast Mariners, il club di A-League in cui già giocava il fratello Alou (classe 2001 ora allo Stoccarda, ma molto meno in voga rispetto Garang). Gli è bastato un anno a Gosford, la città di Central Coast, per passare da un provino per i Mariners all’esordio in nazionale e alla firma di un contratto per il Newcastle.

Garang Kuol
Kuol alle prese con un dribbling in mezzo a due difensori del Brisbane Roar. (Photo by Bradley Kanaris/Getty Images – OneFootball)

Cosa sa fare Kuol

Veniamo allora a quanto successo quest’anno, a questi 189’ giocati in A-League sul finire della scorsa stagione e a quali qualità possiamo estrapolarne.

Come si accennava in precedenza, il motivo per cui ha coltivato e raccolto tanto interesse va ricercato nella capacità di creare scenari offensivi dall’elevato indice di pericolosità autonomamente e in molteplici situazioni di gioco. Per farla breve, quando lui è in campo, molto spesso succede qualcosa. Nelle apparizioni che si contano fin qui, Kuol è stato inserito sia al centro dell’attacco sia sulle due ali, tuttavia le sue qualità tecniche e atletiche sembrano suggerire che il suo raggio d’azione preferito parta da una posizione larga, indipendentemente se a destra o a sinistra, per poi spostarsi dentro al campo.

Non appena riceve palla, in fase di prima costruzione o di transizione, si orienta verso il difensore più vicino, prova a saltarlo non grazie a numeri da funambolo, ma sfruttando la sua grande rapidità, e se ci riesce si lancia nel corridoio libero che si genera senza abbassare il contagiri. La finestra temporale dal momento in cui entra in possesso, a quello in cui arriva all’uno contro uno è ridotta al minimo, il che lo fa sembrare quasi un suo riflesso naturale e certifica la sicurezza che possiede quando ha il pallone tra i piedi (un aspetto tutt’altro che evidente per un esordiente, anche in Australia). Per i difensori, il compito di fermarlo è reso ancor più complicato dall’agilità di Kuol. Alto 175 cm, ma soprattutto estremamente reattivo e capace di gestire il controllo del pallone anche alle alte velocità che sostiene, diventa pressoché incontenibile per chi se lo ritrova davanti. A maggior ragione considerando che l’australiano sa utilizzare entrambi i piedi quasi al medesimo livello, accrescendo notevolmente l’imprevedibilità nel suo gioco e vanificando così le manovre di anticipo.

Quando ha spazio a sufficienza, dunque, nascono le insidie. Il che ha trovato conferma anche al di fuori del campionato casalingo, in occasione di un’amichevole tra il Barcellona e la squadra All-Stars dell’A-League giocata a fine maggio scorso. Entrato come d’abitudine a partita in corso, grazie ad un paio di azioni personali, Kuol si è guadagnato i complimenti di Xavi.

“Dwight Yorke mi ha detto la sua età, ma forse è un gran bugiardo. Ma 16-17 anni, incredibile. È stata una grande sorpresa. È molto veloce, ha creato molte occasioni. Abbiamo concesso due o tre occasioni a causa sua. Quindi un grande giocatore e avrà un grande futuro. È un talento.”

È dunque questa combinazione di rapidità, fiducia e agilità a generare un’esplosività che lo rende così speciale e divertente agli occhi di chi lo guarda. Secondo i dati raccolti da Scouted Football, sui pochi minuti in campo, Kuol ha tentato in media 9.1 dribbling per 90’, con una percentuale di successo del 61.1%. Dati che mostrano quanto l’uno contro uno sia una soluzione frequentemente cercata dall’australiano, e, nella maggior parte dei casi, quanto faccia bene ad eseguirla (solo per dare un’idea indicativa, Banda è il giocatore con più di due presenze che tenta più dribbling in Serie A per 90’, facendolo 6.18 volte e con una percentuale di successo del 59.5%).

Visto il numero ristretto di partite giocate e il campionato in cui l’ha fatto, non abbiamo a disposizione il dato delle palle al piede progressive, ovvero del numero di volte in cui Kuol ha portato il pallone verso la porta avversaria, aiutando la squadra a salire. Ma osservando da vicino le prestazioni salta immediatamente all’occhio la preziosità che il giocatore acquisisce nel permettere ai compagni di uscire da una situazione di pressione avversaria nell’ultimo quarto di campo (ne è un esempio la ripartenza vista prima, al debutto con l’Australia), oppure nel trasformare l’azione in offensiva in maniera estremamente veloce a seguito di un recupero palla nella propria porzione di campo. Le transizioni, non a caso, sono il suo terreno di caccia preferito.

Nell’azione dell’unico assist realizzato fino ad ora, in un match contro il Wellington Phoenix, Kuol riceve un metro oltre la linea di centrocampo, circondato da tre avversari. Ne salta due e scatta verso la porta facendo rinculare la linea difensiva. Arrivato sulla trequarti, frena, cambia direzione e serve il compagno smarcato che buca il portiere. Nel giro di dieci secondi, porta la squadra da una palla coperta a centrocampo al gol.

Tramite questa e altre giocate, l’impressione che trasmette è quella di essere un valore aggiunto pure nell’ultima porzione di campo. Non è quel giocatore che punta il fondo per cercare il cross, ma dal corridoio centrale, o partendo dai due mezzi spazi, sa associarsi con i compagni per servire o farsi servire palloni interessanti.

Restando sulla fase conclusiva delle azioni, i quattro gol messi a segno fin qui denotano inoltre una dote nel finalizzare tutt’altro che consueta. Per quanto possa essere doveroso mantenere la prudenza, dato l’esiguo campione di riferimento, in tutte e quattro le occasioni l’australiano ha trasformato delle conclusioni non semplici, tant’è che la somma totale degli xG è di appena 1.01 secondo Stats Perform. Un overperformance che, pur tarata, resta comunque fortemente elevata. E ad aumentarne ancor di più il significato è la diversità nella natura dei tiri messi a segno, che certifica l’ampiezza dello spettro di potenzialità nella capitalizzazione. Un tiro al volo direttamente da un lancio lungo (riportato di seguito), una conclusione ad incrociare da posizione defilata, un sinistro da fermo a girare sul secondo palo e un tap-in da distanza ravvicinata su inserimento. Tutti di medio-bassa valenza in termini di xG e mandati in fondo al sacco.

Resta impossibile sapere se le qualità elencate possano essere esibite in un ambiente più esigente, al di fuori dei confini australiani, ma diversi dei limiti che è parso mostrare durante la fase embrionale della carriera non sembrano insormontabili. Pur sbagliando raramente il primo controllo, talvolta giunge scomposto al secondo o terzo tocco, finendo per infrangersi contro la pressione avversaria. Tuttavia, avrà tempo di prendere le misure e calibrare in maniera migliore la gestione del possesso il prossimo futuro. Così come potrà curare maggiormente la fase difensiva, ad oggi ancora poco sollecitata, e la sua struttura fisica. Il dubbio di dimensioni più rilevanti riguarda il comportamento nei momenti di attacco posizionale. Dove non ha spazio per usare la velocità, ha già mostrato qualche lacuna nel trovare soluzioni alternative, tanto da risultare quasi sterile contro una difesa schierata.

Newcastle per Ashworth

Con ogni probabilità emergeranno nuovi punti sui quali lavorare a partire da gennaio, quando Kuol si trasferirà in Europa. Difficilmente lo si vedrà da subito confrontato con la Premier League, in quanto già ad inizio del nuovo anno dovrebbe essere girato in prestito in un campionato più abbordabile e favorevole alla sua crescita (diverse indiscrezioni parlano del Portogallo come papabile destinazione). Ogni giudizio dato finora andrà quindi forzatamente sottoposto a nuova verifica una volta che si disporrà delle sue prime risposte di adattamento al calcio europeo. 

Intanto però lui si gode il passaggio al Newcastle. Nella conferenza stampa di presentazione, ha faticato ad andare oltre alle parole “unreal” e “shock”, sintetizzando l’assurdità di un balzo tanto alto e del conseguente cambiamento radicale nello stile di vita.

Kuol rappresenta anche l’ennesima scommessa di Dan Ashworth, uno che negli anni ha guadagnato una notevole nomea nell’individuare giovani su cui puntare e nel metterli nelle condizioni di far fruttare al massimo il loro talento. L’attuale direttore sportivo del Newcastle (assunto lo scorso giugno), è stato in passato direttore dello sviluppo della Football Association, durante il periodo di rifondazione del sistema giovanile inglese. Pur senza specificare quali mansioni precisamente ricoprisse, la maggior parte dei media britannici lo indicano come una figura fondamentale del nuovo ciclo nazionale, che ha portato fin qui alla vittoria di un Mondiale U17, uno U20, e ai lunghi percorsi della nazionale maggiore al Mondiale 2018 e ad Euro 2020.

Portato a termine l’incarico per la FA, ha poi ricoperto la carica di direttore sportivo del West Bromwich e del Brighton. Se quest’ultimo è giunto ad assumere un ruolo di presenza fissa in Premier, il merito non è infatti unicamente di Graham Potter, ma anche di Ashworth. Nel Sud dell’Inghilterra, ha tracciato una linea verde che ha portato nuova linfa al club, sia in campo che a livello economico. Oltre ad un corposo rafforzamento del settore giovanile, a lui si deve l’opportunità di valorizzazione offerta a giocatori come Tariq Lamptey, Leandro Trossard, Moises Caicedo e Marc Cucurella, arrivati da sconosciuti o poco più e, plasmati da Potter, oggi pedine ampiamente affidabili nel massimo campionato inglese. Tra le ragioni per cui il Newcastle lo ha ingaggiato presenzia anche la volontà di riproporre un progetto simile, smarcandosi dal mero stereotipo di proprietà paperona senza principi tecnici.

“La nostra filosofia è investire nella nostra academy e in esaltanti giovani giocatori per il futuro. Garang è un giovane talento molto promettente e siamo entusiasti che continuerà il suo sviluppo come giocatore del Newcastle United.”

L’agente del giocatore ha già fissato l’obiettivo: portarlo a raggiungere il livello Champions League. L’asticella è alta, l’hype australiano, forse, è sproporzionato. Certo è che Kuol merita di essere seguito con una certa curiosità nel prossimo anno e mezzo, a partire già dal prossimo Mondiale, se dovesse parteciparvi. Non potendo aspettare la lista dei convocati dell’Italia, aspetteremo dunque con ansia quella dell’Australia, nella speranza che al suo interno figuri il nome di Kuol e che al Mondiale possa cominciare a stupirci su un palcoscenico che conta davvero.

L’annuncio con il quale il Los Angeles FC ha ufficializzato l’arrivo di Bale certificava il gallese come una leggenda “ufficiale” del Real Madrid. Una maniera quantomeno ambigua di qualificare una leggenda, che per definizione dovrebbe essere universalmente riconosciuta e dunque slegata dalle formalità. Certo, i club hanno le loro Hall of Fame (a Madrid, le Leyendas de Fútbol), ma vengono sfruttate in quanto celebrazioni pubbliche di riconoscimento e non sicuramente come attribuzione di un valore altrimenti inesistente. Totti non ha avuto bisogno di una cerimonia per essere incoronato ottavo re di Roma, Barcellona non ha fatto domanda di adozione perché Messi diventasse il figlio prediletto della sua famiglia.

“È stata una cosa magica, come un oggetto incantato che mi ha trasmesso emozioni enormi”. Walter Casagrande descriveva così la casacca gialla della Seleçao, ai microfoni della CNN“Ora è stata sequestrata dalla destra, perciò non possiamo più usarla”. Al centro del dibattito, due anni fa, l’appropriazione da parte dei sostenitori di Jair Bolsonaro, attuale presidente brasiliano, della maglia gialla come simbolo del loro credo politico, poiché indossata durante cortei e manifestazioni. Un fenomeno che ha creato una spaccatura profonda con l’opposizione, tra chi parlava di contaminazione e chi invocava un cambiamento nei colori sociali della nazionale. 

Che si trattasse di un altro allenatore, di una squadra o di un’istituzione, per gran parte della sua carriera Mourinho ha sempre avuto un antagonista ben definito. Lo scontro prolungato percorre la trama di un’infinità di racconti che hanno il portoghese come protagonista, dal gesto delle manette alle pungenti battute su Wenger e Conte, passando per la leale rivalità con Guardiola. Tutte questioni che hanno occupato un ampio spazio temporale e che si sono susseguite o sovrapposte l’un l’altra, mostrandoci di settimana in settimana un Mourinho tenacemente in contrasto con uno a turno dei suoi oppositori.  Nelle recenti stagioni però questo istinto da duellante ha assunto una dimensione marginale. Non è più lui, nella sua sfera personale, ad impugnare le armi per lanciarsi all’assalto di un’entità. Lontano dalle lotte di vertice, Mourinho pare infatti aver sviluppato una versione 2.0 di sé stesso

Menzionare contemporaneamente gli attributi “centravanti” e “serbo” nell’attuale congiuntura ci rimanda in maniera sistematica a Dušan Vlahović. Abbiamo imparato a memoria le cifre del suo passaggio alla Juventus, tutte le statistiche che lo accostano ad Haaland e recentemente anche il numero esatto di secondi che ha impiegato per segnare la sua prima rete in Champions League. Un insieme di informazioni che ci lascia in quel limbo tra stupore e ammirazione, nel quale continuiamo a rigirarci ad ogni nuova prodezza del 7 bianconero. Vlahović non è però il solo serbo incline a suscitare una tale reazione emotiva, poiché diversi chilometri più a nord il suo connazionale e collega Aleksandar Mitrović sta distruggendo di fatto la Championship.

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