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CALCIO ESTERO

È ricominciato il Brasileirao

“È stata una cosa magica, come un oggetto incantato che mi ha trasmesso emozioni enormi”. Walter Casagrande descriveva così la casacca gialla della Seleçao, ai microfoni della CNN“Ora è stata sequestrata dalla destra, perciò non possiamo più usarla”. Al centro del dibattito, due anni fa, l’appropriazione da parte dei sostenitori di Jair Bolsonaro, attuale presidente brasiliano, della maglia gialla come simbolo del loro credo politico, poiché indossata durante cortei e manifestazioni. Un fenomeno che ha creato una spaccatura profonda con l’opposizione, tra chi parlava di contaminazione e chi invocava un cambiamento nei colori sociali della nazionale. 

Di vicende che hanno percorso, oppure talvolta accorciato, il ponte che collega calcio e politica, se ne trovano più in Brasile che ad ogni altra latitudine. Con le loro rivendicazioni nel bagagliaio, tifosi e calciatori si trovano spesso a fare i pendolari tra un estremo e l’altro, l’unico tragitto che permette loro di raggiungere un angolo di visibilità in ambito di dibattito pubblico. Dalla Democracia Corinthiana di Sócrates fino alle violente proteste pre-Mondiale casalingo del 2014, durante le quali le critiche per le spropositate spese di costruzione degli stadi si mescolavano alle contestazioni in seguito alla rielezione di Dilma Roussef. Il calcio è storicamente lo spazio su cui l’opinione popolare brasiliana appende i manifesti della propria propaganda

Tornando all’attualità, Bolsonaro ha visto pioversi addosso regolari temporali di disapprovazione provenienti dalle tifoserie da quando è salito al potere. La gestione del leader di estrema destra ha causato un malumore generalizzato sul piano socio-economico, un quadro all’interno del quale si inserisce anche la profanazione della maglia verdeoro. Pur non potendo per legge esprimere propositi politici sugli spalti, alcune frange di tifo organizzato si sono riunite in quelle che vengono chiamate torcidas e hanno esternato l’insofferenza accumulata riversandosi per le strade.

In maniera particolare dopo il primo lockdown, ma poi pure nei mesi a seguire, migliaia di tifosi hanno riempito le arterie principali di Brasilia, Rio de Janeiro, Belo Horizonte e delle altre grandi città dell’ex colonia portoghese. La prima culla delle insurrezioni è stata San Paolo, dove le tifoserie di San Paolo, Corinthians, Santos e uno spicchio di quella del Palmeiras, che da sempre strizzano l’occhio alle idee di sinistra, hanno avvertito la necessità di ribellione. Sono loro che hanno dato il la a sfilate composte da un mosaico di divise diverse, di stemmi diversi cuciti sul petto, ma accomunati dalla stessa volontà, come ben riassumevano i messaggi scritti su teloni, fogli o rettangoli di cartone “Somos pela democracia” e “Fora Bolsonaro”.

Le proteste contro Bolsonaro durante la Copa America giocata lo scorso anno (Foto: Sergio Lima/Getty Images)

Evidentemente Bolsonaro non è estraneo a questo stretto legame tra amministrazione statale e mondo del pallone. Lo si vede di frequente intento ad intrufolarsi nelle dinamiche calcistiche, nel tentativo di avvicinarsi allo strato più popolare dei suoi cittadini. Emblematiche sono le foto che lo vedono festeggiare durante la premiazione per la vittoria del Brasileirao del 2018 da parte del Palmeiras, oppure quelle che lo ritraggono in mezzo alla nazionale, con il trofeo ben stretto tra le mani, a seguito del trionfo in Copa América nel 2018. Tuttavia questa vicinanza, più apparente che concreta, non è indubbiamente sufficiente a sovvertire l’immaginario collettivo dei suoi oppositori. Ed infatti non è un caso se, con le elezioni presidenziali sempre più distinte all’orizzonte, la percentuale di popolazione che si schiera dalla parte di Bolsonaro va man mano scemando. Stando agli ultimi sondaggi, il presidente in carica avrebbe il 32% delle intenzioni di voto, mentre il suo diretto rivale, Lula da Silva, arriverebbe al 41%.

Da qui al 2 ottobre, data in cui si scopriranno gli altarini, si scriveranno le pagine di climax dello scontro tra Bolsonaro e Lula. Dall’altro lato del ponte, intanto, anche il campionato nazionale, appena cominciato, è un libro ancora tutto da scrivere. Nelle prossime righe passeremo in rassegna le favorite nella corsa al titolo; dopo aver instaurato questo binomio tra calcio e politica, non possiamo esimerci dallo sfruttare uno strumento tipico di una delle due dimensioni ed applicarlo sull’altra. Immaginiamo quindi un sondaggio elettorale tra le squadre di vetta, stabilendo, ad oggi, la percentuale di vittoria finale di ciascuna delle contendenti. In attesa, ovviamente, dei colpi di scena che ci smentiranno.

Atlético MG – 37%

Il Mineiro festeggia la vittoria del Brasileirao
L’Atlético Mineiro festeggia la vittoria del Brasileirao 2021 (Foto: Pedro Vilela/Getty Images – OneFootball)

Se nel caso delle elezioni il presidente uscente è sfavorito sul suo sfidante, al contrario nel Brasileirao il campione in carica resta il più quotato per mantenere il titolo. Seppur orfano dell’allenatore che l’ha condotto al trionfo passato, Cuca, dimessosi al termine della stagione, l’Atlético Mineiro ha preservato la sua struttura portante e sembra essere ancora un passo avanti rispetto alle avversarie. E qualora ci fossero dubbi sulla loro rinnovata fame di successi dopo il grande traguardo dello scorso anno, basti pensare che nel mese di marzo, durante un derby con il Cruzeiro, la mascotte Galo Doido ha rimediato una squalifica per aver “rincorso in maniera intimidatoria” gli avversari che festeggiavano un gol. Insomma, l’ambiente a Belo Horizonte è rimasto caldo. Ed infatti nel 2022 già altri due titoli si sono aggiunti in bacheca, il Campionato Mineiro e la Supercoppa.

Il leader tecnico della rosa è, ovviamente, Hulk. Capocannoniere dell’ultimo Brasileirao, l’ex Porto e Zenit resta il perno della formazione anche sotto i dettami del nuovo allenatore Antonio Mohamed. Il tecnico argentino, la cui storia di vita merita indubbiamente una nota, è alla prima esperienza assoluta in Brasile. Ma malgrado non sia stato la scelta numero uno per la dirigenza bianconera, arriva da una serie di esperienze positive in Messico, che gli permettono quantomeno di meritarsi un tale banco di prova. Utilizza principalmente un 4-4-2 (o 4-4-1-1) a propulsione offensiva, in quanto almeno uno dei due terzini si sgancia sempre dalla linea per andare a dialogare con l’esterno.

In fase offensiva l’Atlético sfrutta per l’appunto le vie laterali oppure raggiunge gli attaccanti tramite giocate dirette dalla linea difensiva. Il fraseggio in orizzontale si limita infatti alla zona di centrocampo, mentre è decisamente più raro vederli scambiare per lunghe fasi nell’ultimo quarto di campo, in situazioni di attacco posizionale. Uno stile di gioco, dunque, estremamente rapido e dinamico negli ultimi metri, che tuttavia non aiuta quando gli avversari si piazzano a difesa schierata. Che sia contro retroguardie più o meno spavalde, in questo contesto tattico il lavoro di Hulk è imprescindibile, perché, agendo da falso centravanti, ha la libertà di muoversi all’interno dei mezzi spazi e creare così scompiglio nel comparto arretrato avversario. La qualità nelle giocate a cui ci aveva abituato in Europa, poi, non è certo sparita, e l’ha già dimostrato quest’anno con una discreta doppietta contro l’Internacional.

Per quanto riguarda la fase di non possesso, invece, Mohamed ha instillato nei suoi giocatori il mantra del pressing e del gegenpressing. Dando uno sguardo ai dati statistici, stupisce la quantità di tiri generati da recuperi palla nell’ultima parte di campo. Se perpetuato, questo stile di copertura potrebbe essere una delle peculiarità maggiormente preziose lungo il torneo, anche perché l’Atlético dispone di una rosa sufficientemente lunga per non soffrire cali fisici nel corso dell’anno.

Le tre gare di campionato giocate fin qui hanno sicuramente dato segnali incoraggianti. Due successi contro Internacional e Atletico Paranaense e un pareggio nell’ultima sfida al Coritiba (2-2, dopo aver condotto a lungo per 2-0). Mohamed pare dunque essersi amalgamato con la piazza, il che mantiene il Mineiro in pole position.

Palmeiras – 31%

Il Palmeiras, tra le candidate al Brasileirao, qui festeggia la vittoria in Libertadores
Il Palmeiras alza la coppa della Libertadores, dopo la vittoria dello scorso anno (Foto: Agencia Gamba/Getty Images – OneFootball)

Il regno di Abel Ferreira ha conquistato per due anni di fila la Copa Libertadores, un back-to-back che nessuno aveva mai realizzato dopo il Boca Juniors di Riquelme (vincitore nel 2000 e 2001). Ora però il Verdão vuole tornare ad esercitare il potere sul feudo nazionale, riprendendosi il titolo di campione brasiliano che manca dal 2018. E forse ancor più che il Palmeiras, è lo stesso Abel Ferreira a sentire la mancanza di quel trofeo. Lui che ancora sul tetto del Brasile non ci è mai salito e al contempo probabilmente meriterebbe più di tutti di farlo. Perché è innegabile che gran parte del merito di questo ciclo vincente sia suo. Il Palmeiras non brilla certo per le individualità, tra gente che in Europa è stata bollata da “vorrei ma non posso”, come Gustavo Gomez e Deyverson, ed una ciurma di marinai del Brasileirao, composta dai vari Raphael Veiga, Rony, e così via.

Arrivato da totale sorpresa a San Paolo intorno alla fine del 2020, Abel Ferreira ha man mano ricoperto la Palestra Italia di una patina mistica di mourinhiana memoriaIl suo Palmeiras incarna infatti quel soggetto talmente farcito di emozioni collettive da debordare nel trascendentale, oppure nel cinematografico. Un gruppo che potrebbe perfettamente sostituirsi agli attori di Ogni maledetta domenica, per intenderci. È più che spiccata la somiglianza tra i discorsi pre-partita di Abel Ferreira e quelli filtrati dalle varie esperienze di José Mourinho (tra cui quelli visibili nella serie All or Nothing, nella sua prima annata al Tottenham).

Oltre a questo però, Abel Ferreira si avvicina allo Special One anche per l’ambiguità nel suo rapporto con i media (che spesso negli ultimi due anni non hanno esitato a criticarlo) e per lo stile che trasmette alle sue squadre. In uno scacchiere che varia dal 4-2-3-1 al 5-3-2, il Palmeiras tende a giocare in transizione, cercando la verticalità immediatamente dopo il recupero palla. Dunque è tutt’altro che ostile a mantenere un baricentro medio-basso e lasciare il pallino del gioco agli avversari se necessario. Proprio come nel caso di Mourinho, tuttavia, la teoria si spinge solo fino ad un certo punto, ed è qui giustamente che emerge il carattere pressoché ascetico. L’elemento centrale della filosofia di Ferreira è uno. Verve, garra, carisma. Gli si può dare l’etichetta che pare più appropriata, ma il concetto non cambia. Ed ecco perché Felipe Melo (sì, quel Felipe Melo) ha rappresentato una pedina fondamentale nella conquista delle due Libertadores, prima di accasarsi al Fluminense.

Pur non essendo probabilmente l’organico di maggior livello, il Palmeiras ha quindi dalla sua il vantaggio di essere un macchinario già ben oliato. Malgrado San Paolo non affacci sull’oceano, il Verdão dovrà cercare di cavalcare l’onda del momento positivo per scippare il titolo ai campioni in carica. Le prime quattro gare giocate dicono una sconfitta (alla prima giornata), due pareggi e una vittoria. Ma ha già dovuto confrontarsi con compagini di un certo calibro, tra cui Flamengo (e ci torneremo fra poco) e Corinthians. Abel Ferreira e la sua banda sembrano disporre dei giusti mezzi per provarci.

Una postilla finale sulla stagione corrente del Palmeiras va riservata per citare il baby-talento Endrick, classe 2006. Ha solamente 15 anni, gioca già nell’under 20 e quest’anno molto probabilmente assisteremo al suo debutto tra i grandi. L’insensato numero di gol segnati nelle giovanili ha attirato l’attenzione mondiale su di lui, perciò è inevitabile provare un velo di curiosità in vista dell’esordio.

Flamengo – 29%

Il Flamengo di Paulo Sousa punta in alto (Foto: Buda Mendes/Getty Images – OneFootball)

Una squadra che il Palmeiras ha già affrontato, come detto, è il Flamengo. Un match terminato a reti bianche che ha comunque dato un’opportunità privilegiata di carpire le differenze nel gioco delle due squadre. L’espressione dei rossoneri trova con maggiore semplicità una rappresentazione ideale nel nostro immaginario, perché sulla panchina rossonera siede da quest’anno Paulo Sousa. Da quando ha lasciato Firenze, nel 2017, il tecnico portoghese ha cambiato spogliatoio per tre volte, tra Cina, Francia e Polonia, ma l’impronta che conferisce alle sue squadre non ha subito variazioni sostanziali.

Le situazioni di possesso, in particolare, sembrano celare l’identica impostazione che qualche anno fa veniva disegnata al Franchi. Sousa continua a prediligere il 3-4-2-1, con i centrali di difesa a rivestire un ruolo fondamentale nella regia delle trame. Spetta a loro la gestione della prima circolazione tramite la ricerca di corridoi per servire i compagni in mezzo al campo, dove solitamente c’è grande densità. Il trio arretrato utilizzato con maggiore frequenza in questa prima parte di stagione è stato Filipe Luis-David Luiz-Arão, i quali però hanno dato l’impressione di necessitare ancora del tempo per potersi definire collaudati in questo sistema. Analogamente, una quadra manca anche sui due esterni, dove fino ad ora l’allenatore ha fatto ruotare praticamente ogni effettivo a sua disposizione, senza aver scelto, almeno per il momento, i due titolari. L’intenzione del tecnico pare essere quella di avere uno dei due laterali più votato ai movimenti senza palla, e l’altro invece tendente ad associarsi con gli altri componenti del centrocampo e della trequarti (proprio come accadeva alla Fiorentina, con Marcos Alonso da una parte e Bernardeschi dall’altra).

La densità in mezzo al campo è generata dai due centrali e dai due trequartisti. Qui le gerarchie paiono più chiare, con João Gomes e Thiago Maia in mediana e De Arrascaeta ed Everton avanzati. L’altro punto di domanda sorge tuttavia attorno a Gabigol, in quanto Sousa ha storicamente preferito dei 9 da un certo spessore fisico, non necessariamente dotati di spiccata rapidità e tecnica. Ad oggi l’ex Inter non ha una dimensione chiara; continua ad esibire le sue qualità, ma resta complicato capire se queste sono in linea con le aspettative del mister. È ancora troppo presto. Certo è che dalla sua integrazione nello scheletro rossonero passeranno buona parte delle sorti del Flamengo. Non è da escludere che Sousa possa ricorrere all’utilizzo di Pedro (ex Fiorentina) come punta, e trovare un’altra collocazione per Barbosa.

Riassumendo quanto detto, attorno al Flamengo fluttuano ancora diverse nuvole, che si traducono in non trascurabili zone d’ombra. Ciò che funziona in maniera convincente è la fase difensiva, visti i due clean sheet confezionati nelle quattro partite iniziali. Così come il Palmeiras, il club di Rio ha raccolto cinque punti fino ad ora. Le chance di vittoria finale rimangono elevate, poiché la rosa è al medesimo livello, se non superiore, a quelle rivali. Tuttavia Sousa ha ancora diversi nodi da sciogliere, e per restare in corsa dovrà essere abile a farlo nel minor tempo possibile.

“Quarta via” – 3%

Le celebrazioni del Red Bull Bragantino dopo il gol di Ytalo al Velez in Libertadores (Foto: Juan Mabmorata/Getty Images – OneFootball)

In ambito politico si è discusso parecchio riguardo ad una possibile “Terza via”, ovvero ad una valida alternativa all’accoppiata Lula-Bolsonaro. Nessuna coalizione però è bastata per formare un’ipotesi realizzabile. E nemmeno il riflesso calcistico offre una seria candidata a battersi con i favoritissimi. La tonnara che comprende San Paolo, Corinthians, Atletico Paranaense e Fluminense, a scanso di exploit fuori dall’ordinario, dovrebbe contendersi il quarto posto, il quale garantisce un ticket per la prossima Libertadores.

C’è chi intanto si è lanciato in progetti a lungo termine, e sta lavorando per dar loro una forma. In politica lo sta facendo Eduardo Leite, giovane esponente liberale e primo governatore a dichiararsi gay nella storia del Brasile. Nel Brasileirao, invece, ci sta provando il RedBull Bragantino. Inutile sarebbe entrare adesso nella spiegazione dei processi RedBull, ma ci si può limitare a constatare che anche il Bragantino, come il Lipsia ed il Salisburgo in Europa, sta prendendo quota metro dopo metro. Nel 2022 punterà ad ottenere un posto in Libertadores, e chissà che nel prossimo futuro non possa essere lui la “Quarta via”.

Una menzione di clausura la merita il Santos di Fabián Bustos. Presentatosi ai cancelletti di partenza senza troppe pretese, il reame di Pelé sta seguendo le falcate delle squadre più quotate in questi primi metri. Sette punti collezionati in tre partite, grazie ai successi su Coritiba e América-MG e al pareggio contro il Fluminense. Difficile pensare che possano tenere il passo, ma per gli scout in erba (o i giocatori di Football Manager) sarà interessante tenere l’occhio vigile, vista la presenza di due prospetti intriganti come Kaiky e Marcos Leonardo.

Autore

Classe 2000, svizzero di nascita ma italiano di stirpe. Figlio del pallone e attratto da fenomeni paranormali come l'esterno di Modrić, il tiro di Adriano o la mente di Guardiola.

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