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Il 27 novembre un corteo parte dalla Gradinata Sud dello stadio Ferraris e si dirige verso la sede della Sampdoria. Ce n’è per chiunque: squadra, dirigenza, media, nuova e vecchia presidenza sono tutti bersaglio dei cori dei tifosi. Due settimane prima la curva doriana aveva bloccato per ore ai giocatori l’uscita dallo stadio dopo la sconfitta con il Lecce. Prima ancora, i tifosi che avevano seguito la Sampdoria in trasferta a Torino avevano contestato la squadra dopo l’ennesima sconfitta, e stessa cosa era accaduta un mese prima dopo la partita col Monza. E prima ancora dopo il match perso con la Salernitana.

In questo periodo di egemonia economica e tecnica della Premier League è molto facile che un calciatore messosi in mostra in un campionato minore vada direttamente in Inghilterra. La situazione è ormai cristallizzata su questo status da almeno 5-6 stagioni: per non andare lì, o una società (non-inglese) si muove con larghissimo anticipo oppure dev’essere il giocatore a volere uno step intermedio. Molto spesso questo salto triplo, da una lega “minore” all’eccellenza della Premier può fagocitare il talento del calciatore: magari non ancora pronto né fisicamente, né tatticamente, né psicologicamente alle pressioni del campionato più competitivo al Mondo. La carriera di Vlasic, probabilmente, rientra pienamente in questa casistica. E il tentativo di rilanciarla dopo uno scotto così forte è molto complesso.

Quando al minuto 83′ di Roma-Monza un pallone è piovuto dalla fascia sinistra verso il centro dell’area di rigore, ad Andrea Belotti sarà sembrato di vivere un sogno. L’occasione di segnare soltanto tre giri d’orologio dopo il suo primo ingresso ufficiale con la Roma gli si presentava su un piatto d’argento. Il Gallo si è avventato sulla sfera e ha calciato di destro a botta sicura praticamente al limite dell’area piccola, ma di fronte a sé ha trovato la non prevista opposizione di Di Gregorio. Gol mancato e festa rimandata, nonostante la comoda vittoria finale.

Il significato etimologico di Napoli deriva dal greco Nea-Polis, ossia città nuova; la storia della città campana si basa sul cambiamento e la storia ha visto passare dai campi Flegrei i romani, i bizantini, i saraceni, i normanni e gli aragonesi. Grazie a questo la città ha più volte cambiato faccia ma mantenendo intatto il proprio pregresso, creando un’alchimia ben visibile nelle strade e nella cultura che questa città ci regala.

Dall’annuncio di Andrea Pinamonti al Sassuolo in poi, è inevitabile per ognuno di noi, appassionati di Serie A, immaginare come il calciatore scuola Inter possa incastrarsi col sistema di Dionisi. I neroverdi, nell’estate appena trascorsa, sono rimasti “orfani” sia di Raspadori che di Scamacca, entrambi gli attaccanti titolari della scorsa stagione. Sulle spalle di Pinamonti peseranno quindi diversi interrogativi: sul feeling con Berardi, sulla sua prolificità in generale e, ancor di più, sull’eterno confronto con Scamacca, che lo perseguita praticamente da quando è entrato nel professionismo vero e proprio.

Nell’estate del 2001 il Milan preleva Javi Moreno dall’Alaves, sborsando 30 miliardi di lire. Come tutti sanno, l’esperienza in rossonero dell’attaccante spagnolo fu disastrosa e si concluse dopo un solo anno. Ma in pochi sapranno che Javi Moreno è stato l’ultimo capocannoniere di una competizione europea a passare a una squadra italiana subito dopo aver vinto la classifica marcatori. L’ultimo prima di Cyriel Dessers. Il capocannoniere della scorsa Conference League, infatti, si è da poco accasato alla Cremonese.

Cross dalla fascia, gol dell’attaccante. Giocata semplice, tra le più semplici del calcio, ma anche tra le più appaganti. Giocata però, negli anni, un po’ dimenticata. Messa da parte nei playbook degli allenatori, talvolta relegata alle sole situazioni disperate. Non in Germania però, dove quattro maestri dell’arte del cross stanno monopolizzando questa torrida estate di mercato. Sono Filip Kostic, David Raum, Angeliño e Borna Sosa. I primi tre hanno cambiato casacca dopo rumors e trattative serrate, Sosa invece attende pazientemente l’evolversi del suo futuro con lo Stoccarda.

L’impoverimento tecnico che ha intaccato il campionato di Serie A (e più in generale il calcio italiano) negli ultimi tre lustri circa è un fatto pressoché assodato. Il grave calo del calcio nostrano si è acuito in particolare nella prima parte degli anni Dieci, per poi trovare un lento ma progressivo rialzo negli anni successivi. Nonostante ciò, il ritardo accumulato a causa di quegli anni bui costringe la prima serie del Belpaese a pagare ancora un ritardo rispetto alle migliori leghe europee, stazionando in una posizione di subalternità che spesso lo rende un mero trampolino di lancio per le carriere di calciatori dalle prospettive particolarmente rosee. Gli ultimi casi di elementi quali Molina, Scamacca, de Ligt, Hickey o Theate, tutti partiti nella sessione di mercato estiva verso società estere, sono emblematici del ruolo della A quale campionato di sviluppo per le qualità di questi forti giocatori che però vedono il campionato nato nel 1929 come una tappa di passaggio. In questo momento la cosa più saggia che possono fare molte squadre di Serie A è accettare questa condizione e comportarsi di conseguenza, coltivando al meglio il talento. In questo articolo analizziamo i casi di cinque calciatori, giovani in Serie A attesi alla riconferma per poter eventualmente affermarsi come calciatori dal sicuro futuro.

Capire l’ordine di grandezza di qualcosa che ci è estremamente vicino, è complesso. Siamo spesso portati a sottovalutare quello che diamo per scontato; la stranezza sarebbe se ciò a cui siamo abituati venisse clamorosamente meno. Marek Hamsik è stato per più di un decennio uno degli uomini cardine di una squadra di media-alta classifica in Italia. Una squadra che prima di lui, solo con Maradona e Careca aveva accarezzato (e in quel caso anche conquistato) il sogno di essere Campione d’Italia. Una squadra che – anche per questioni prettamente geografiche, in una nazione che tende sempre a considerare poco o nulla ciò che avviene sotto Roma – per anni è stata a bazzicare tra la C e la B. Per noi italiani insomma, Hamsik era banale. Solo una volta andato a svernare tra la Cina, la Svezia e la Turchia, con le giuste distanze fisiche e cronologiche, si è avuta (forse?) la percezione completa del giocatore devastante che è stato lo slovacco.

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