Sembra impossibile ma Christian Pulisic ha venticinque anni soltanto da qualche mese, e non da una vita come pare essere. E l’anno scorso ne aveva ventiquattro e quello prima ventitré e così via. Insomma, è ancora carne fresca, freschissima in un calcio così frenetico.
Che cantante sei sotto la doccia?
Spieghiamo brevemente il titolo ai cari amici che ci leggono da casa. È che, sapete, io ho questa idea che si può diventare un po’ tutti sotto la doccia. Non so voi, ma è così. D’altronde il bagno è il posto dove ognuno si scopre qualcuno, cantando.
Sono bastate quattro partite di Champions League per far partire un processo: le sconfitte di Chelsea, Tottenham e Liverpool ed il pareggio del City sul campo del Lipsia hanno messo sul banco degli imputati la Premier League. Così come una rondine non fa primavera, possono questi risultati negativi fornirci sufficienti prove per affermare che il campionato più ricco del mondo non sia quello tecnicamente più valido?
Nella faraonica campagna acquisti invernale del Chelsea – ben 178 milioni di euro spesi per sette calciatori – l’impressione di voler rivoltare la squadra come un calzino è parsa piuttosto evidente. Un po’ per i non esaltanti risultati ottenuti finora, un po’ perché con l’esonero di Tuchel, diversi calciatori confacenti alla filosofia di gioco del tecnico tedesco sono risultati indigesti al nuovo manager, Potter. In Premier questo è possibile: a suon di milioni non si punta a far rendere investimenti del tecnico precedente, ma anzi, si cancella con forza quel passato comprandone degli altri a prezzi ancora più stellari. Probabilmente Potter ha richiesto più di un puntello nel reparto avanzato – a causa della poca stima dimostrata nei confronti di calciatori come Sterling o Aubameyang – ed è stato accontentato. Sono arrivati: Joao Felix in prestito dall’Atletico Madrid, la piccola gemma Madueke dal PSV e infine, dopo un flirt con Leao, la scelta per l’investimento forte è stata su Mudryk. Cosa cercava esattamente Potter? Perché ha virato da Leao all’ucraino?
È dal giorno in cui lui stesso annunciò a tutti che lasciava il suo incarico nello staff della Nazionale di Roberto Mancini che ho iniziato a fare i conti con la possibilità che stessimo per perdere definitivamente Gianluca Vialli. Per questo ho iniziato a pensare cosa raccontare, perché la storia e la carriera di Gianluca Vialli è piena di avvenimenti e situazioni straordinarie, ma soprattutto Gianluca Vialli è stato il nostro Virgilio che ci spiegava con le sue gesta dentro e fuori dal campo i cambiamenti del mondo del calcio.
Il 29 marzo 2022 il Marocco sconfigge nello spareggio di ritorno la Repubblica Democratica del Congo per 4-1, qualificandosi di diritto ai mondiali del novembre successivo. La prestazione convincente di una nazionale che arrivava alla sfida chiave con 18 punti e 6 partite su 6 vinte era subito accompagnata da un mantra: “Cercheremo di giocarcela, anche senza Ziyech“.
Il calciomercato come «regno dell’insecuritas totale», nonché principio ed essenza del calcio dell’epoca: così parlò Maurizio Mosca, controversa figura giornalistica ben lontana dalla miopia. Sentori e timori, poi il cammino verso un calcio odierno economicamente drammatico, insostenibile e, generalmente parlando, irragionevole.
“Con le sei gemme, mi basterebbe schioccare le dita”. Non c’è probabilmente un villain più iconico di Thanos nell’intera produzione cinematografica del secondo decennio degli anni Duemila. Nessuna missione è tanto inquietante quanto coinvolgente come quella intrapresa dal titano del Marvel Cinematic Universe per perseguire il suo folle piano di sterminare metà della popolazione dell’universo. Una marcia incessante e inesorabile, il cui successo è praticamente annunciato sin dall’inizio. Non c’è un momento, durante quello che è l’atto conclusivo del percorso di Thanos, ovvero Avengers: Infinity War, in cui si ha realmente l’impressione che il titano possa fallire. Nonostante debba fronteggiare i più grandi eroi della terra e non solo, la speranza che il suo piano naufraghi non si eleva mai a ottimistica previsione, ma rimane appunto una speranza, destinata inesorabilmente a restare tale e venire delusa.ù
Durante i festeggiamenti della sera del 15 luglio 2018, nello stadio olimpico Lužniki di Mosca, c’è un ragazzo che si distingue dagli altri. Non smania per prendere in mano la coppa e alzarla al cielo. Ma piuttosto aspetta in silenzio il suo turno, quasi cercando di evitare i riflettori mondiali che inevitabilmente quella sera sono anche su di lui. Si tratta di N’Golo Kanté, giocatore chiave nella formazione della Francia vittoriosa della Coppa del Mondo, e uno dei centrocampisti in assoluto più in forma di tutto il torneo.
Nella narrazione calcistica moderna c’è un cortocircuito, e riguarda i calciatori stessi, le loro funzioni sul campo. La retorica ha preso il sopravvento sul racconto del gioco, e lo ha esaltato in maniera esasperata, dimenticandosi di qualcosa. Sentiamo spesso sproloqui a favore dei numeri dieci, dei giocatori più estrosi o dei cecchini d’area di rigore, ma si parla poco dei giocatori dalla mentalità difensiva. È chiaro il perché: hanno una minore attrattiva. In un periodo storico in cui la critica si spacca nell’eterno dualismo tra “giochismo” e “risultatismo”, giocare bene o meno come dilemma amletico, il goal viene sempre giudicato per primo quando si analizza un calciatore, e chi è più invisibile sul campo spesso è dimenticato.