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Autore

Fulvio Scozzafava

Ricerca

La mia ragazza a volte mi sente parlare di roba di cui non ha idea. Ormai lo intuisco quando, in reazione alle mie parole, vedo i suoi occhi guardare in basso, andare da destra a sinistra. Come se riflettessero lo scandagliare del suo cervello alla ricerca di frammenti d’informazione, di connessioni con quella parola o quell’argomento. Quando dalla ricerca non esce niente, la stragrande maggioranza delle volte la giustifico. Logica vuole che, invece, una sparuta minoranza di volte no, non la giustifico. Come si fa a non aver visto The Blues Brothers (per non parlare di Chiedimi se sono felice), per esempio? Come si fa a non essere mai stati a Trieste? Come si fa a non aver mai sentito parlare di Eric Cantona, del suo colletto alzato, del suo calcio volante? Poi non è che me la prendo, piuttosto mi offro di spiegare qualcosa.
Ne hai mai sentito parlare?
– No.

“Mamma, perché a Newcastle le birre volano?”

C’è un genere di video che mi fa godere come un matto.
Una nicchia nella quale per quanto ne so potrei essere solo, arroccato in un feticismo noto principalmente all’algoritmo di YouTube, che infatti non manca di lanciarmi gustose esche alle quali non vedo l’ora di abboccare. Sono i video in cui moltitudini di tifosi inglesi – più dei vari “cugini” del Regno Unito – sono ripresi nel celebrare un qualcosa e nel farlo, per farlo, scagliano in aria la loro birra.

È il giugno 1997 e all’aeroporto di Lisbona c’è un uomo in completo nero, camicia bianca, scarpe di cuoio. Prova a guadagnare aria tormentando la cravatta, cercando di allargarne il nodo, ché lì dentro fa un gran caldo. Nell’attesa di un volo dal Brasile, si sventola col cartello che ha in mano, due nomi scritti sopra. Ciò con cui sta cercando di respirare meglio recita:

Celso das Neves (Cajú),

Anderson Luis de Souza (Deco)

C’è una curiosa costante, in quel della Firenze calcistica. Anno dopo anno, ciclo dopo ciclo, state pur certi che, nei ranghi gigliati, ci dovrà essere almeno un argentino. Una connection che parte piuttosto lontano nel tempo, e che nell’ultimo decennio ha assunto connotati ancor più specifici. Negli ultimi dieci anni, sono infatti ben cinque i difensori argentini che si sono avvicendati – giocando insieme o succedendosi – in maglia viola. In un solco da cui ormai pare inevitabile scostarsi, le varie dirigenze sportive si sono convinte che i profili battenti la bandiera col Sol de Mayo càlzino alla perfezione alle esigenze della Fiorentina.

Ci sono momenti, nella vita di ognuno, in cui il livello evolutivo del nostro cervello ci permette di pensare “Madonna, come passa il tempo”. Che so, rivedi donna la bambina per cui a scuola la tua faccia cambiava colore, virando sul rosso; ti viene detto che la cuginetta che non vedi mai si sta per iscrivere all’università; guardi le foto di un viaggio e non ricordi il nome di un posto di cui ti eri pure sforzato di imparare la corretta pronuncia.

Benevento: cosa vi viene in mente se sentite questa parola? A me, classicista, sovviene che i romani la conoscevano come Maleventum. Un’importante vittoria contro l’ostico Pirro, re dell’Epiro, li invogliò a giocare con la toponomastica, ribattezzandola Beneventum. Non vi fate trarre in inganno: il nome originale, di per sé, non era di cattivo auspicio: probabilmente originava dalla storpiatura operata sul nome greco da parte dei sanniti – che, così come i romani, il greco non lo sapevano.

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