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Eric Cantona spiegato alla mia ragazza

La mia ragazza a volte mi sente parlare di roba di cui non ha idea. Ormai lo intuisco quando, in reazione alle mie parole, vedo i suoi occhi guardare in basso, andare da destra a sinistra. Come se riflettessero lo scandagliare del suo cervello alla ricerca di frammenti d’informazione, di connessioni con quella parola o quell’argomento. Quando dalla ricerca non esce niente, la stragrande maggioranza delle volte la giustifico. Logica vuole che, invece, una sparuta minoranza di volte no, non la giustifico. Come si fa a non aver visto The Blues Brothers (per non parlare di Chiedimi se sono felice), per esempio? Come si fa a non essere mai stati a Trieste? Come si fa a non aver mai sentito parlare di Eric Cantona, del suo colletto alzato, del suo calcio volante? Poi non è che me la prendo, piuttosto mi offro di spiegare qualcosa.
Ne hai mai sentito parlare?
– No.

Da dove si inizia a spiegare Cantona?

E nel raccontarle di Cantona, non sapevo da dove cominciare. Dalla faccia da schiaffi, dalla faccia di chi ti vuole prendere a schiaffi, dal calciatore, da quello che ha scalciato un tifoso, dalla personalità ferocemente orgogliosa e istrionica? La maniera che il mio istinto didattico ha trovato per provare a descrivere Cantona è stata pressappoco questa: “Un forte calciatore francese che ha giocato prevalentemente nel Manchester United e una volta è stato squalificato perché ha menato un tifoso e poi ha fatto una conferenza in cui ha detto… “

Fossi stato tedesco, avrei potuto trasformare quel gruppo di parole in un’unica espressione. Nello stesso tempo in cui lo dicevo, un tarlo morale stava tentando di intaccare il mio legno etico. Stavo provando a restituirne un ritratto andando a toccare i punti salienti della sua carriera in campo? No. E non è ingiusto? D’altronde stiamo parlando di un calciatore. Probabilmente sì ma, in questo caso, se effettivamente si potesse parlare di Cantona solo nel suo rapporto col calcio da calciatore. E invece sentivo che erano proprio quegli episodi che mi aiutavano a proiettare l’eredità più immediatamente percepita del francese con la faccia da brigante, la legacy a cui mi sono appigliato per spiegare alla vittima collaterale del mio sproloquio chi fosse Eric Cantona.

– Sì ma insomma che ha detto nella conferenza? – chiede lei dandomi un colpetto col dorso della mano sopra il gomito, ripescandomi da una sicura spirale di pensieri più o meno connessi tra loro.
–  Diciassette parole, poi si è alzato e se n’è andato.
Sì ma cosa ha detto? – chiede, scandendo le ultime tre parole come se stesse parlando a uno che ci sente poco.

Ormai lo sa, con me ci vuole pazienza, quindi il suo tono era più sul rassegnato che sull’innervosito.
Devi sapere che Eric Cantona è nato a Marsiglia e a Marsiglia il porto è il cuore pulsante…
– Lo so, che credi?
– Puoi immaginare quanto mare ha visto, quanto ne ha respirato, a quanti gabbiani è corso dietro…
Aveva aperto appena la bocca, sospirato.
– Posso immaginare. Ma dov’è che vuoi arrivare?
È così che stava realizzando di aver abboccato, povero pesciolino, all’esca della curiosità.
Va bene, ora provo a spiegarti.
In risposta, un altro sospiro. 

Sin dall’inizio

A Marsiglia Cantona ci nasce, ci cresce, ci torna dopo aver esordito altrove, lontano dai marinai e dalla salsedine. Col suo acquisto i provenzali si ritrovano un portento calcistico, certo, ma anche un carattere piuttosto ingombrante.
Che vuoi dire?
Che Cantona è un po’ una bega.
È l’amico carismatico e divertente da seguire, a cui vuoi bene perché beh, gli vuoi bene, ma che ogni poco ti e si mette nei casini. Che litiga, fa le bizze e fa a botte. Ma con cui vinci. Fa quasi senso vedere la regolarità della relazione fra la sua presenza nei ranghi di una squadra e la capacità di questa di aggiudicarsi un trofeo. Praticamente in ogni stagione giocata, in qualunque squadra, Eric Cantona qualcosa ha vinto. Una coppa, un campionato, a volte entrambi. Le uniche stagioni in cui lui e la sua squadra non hanno vinto nulla sono state la 1987/1988 e la 1994/1995.
Di quest’ultima ricordatene, dopo ci serve.
– Novantacinque, d’accordo

A Marsiglia, dicevamo, fa un po’ il matto. Durante un’amichevole, a gennaio, viene sostituito e si incazza da morire, scaglia il pallone in tribuna e butta la maglia a terra.
Ma è scemo? A gennaio senza maglia?
– E aspetta.

Ripreso dal presidente, va nel suo ufficio e lo mena. Non forte, ma lo mena. Nel mentre trova il tempo per infamare anche l’allenatore della Nazionale, e allora lo mandano a Montpellier. Lì vincerà la Coppa di Francia, ma non è che son tutte rose e fiori. In una squadra dal potenziale epico in cui gioca insieme a Laurent Blanc e Valderrama (- e questi ora chi sono?), una delegazione di compagni prova a farlo ritornare a Marsiglia. Questo succede dopo che attacca una rissa con un compagno, nemmeno con un avversario, e riesce a colpirlo in faccia con un calcio.
Ahia!
– Eh sì, ahia.

Però che ci vuoi fare, Cantona è forte, ed è pur sempre un patrimonio del Marsiglia, che lo richiama alla base. L’annata successiva vince quindi il campionato francese, pur sopportandosi poco con l’allenatore ma insomma, roba che ci può stare. Nel dicembre del 1991, però, arriva il momento di un altro colpo di testa.
Hai mai sentito l’espressione “prendere una cantonata”? Ecco, per farti capire: viene dal suo cognome.
Ma davvero?
-No.
-Stronzo.

Un tifoso con i cartelli di "AAH CANTONA"
OOOOOHHHH AAAAHHHH CANTONAAAA (Foto Ben Radford/Getty Images – OneFootball)

Insomma: in quel dicembre la fa abbastanza grossa. Infuriato per alcune decisioni dell’arbitro, Cantona gli lancia addosso la palla, pur senza possibilità alcuna di fargli male. Sarà la commissione disciplinare a dire a quanto ammonta la punizione. Cantona quindi va davanti ai membri giudicanti. Dice che ha riconosciuto che ha agito in maniera molto poco furba, ma che è stato mosso dalla percezione di una profonda ingiustizia. Quando uscirà di lì, la sua squalifica sarà di tre mesi.
Perché mai?
– Perché quando gli hanno comunicato che lo avrebbero squalificato per un mese, ha dato a tutti degli idioti.
– Ah. Bene.

Lascio, torno

Lui di questa squalifica si risente molto. Tanto che, il giorno dopo, annuncia il suo ritiro dal calcio. A venticinque anni. E smette sul serio. Ora, quanta esagerazione c’è in questa decisione? La stampa francese si divide tra chi riconosce in lui alti ideali e chi lo stigmatizza. Lui nel mentre si dedica alla sua passione primigenia: l’arte. A quanto pare visita mostre, dipinge. Torna un po’ bambino insomma.

Poi però a gennaio arriva una chiamata dall’Inghilterra, da Sheffield, lui risponde. Allo Sheffield Wednesday gli propongono un provino, lui accetta e lo supera. Più che dal calcio in generale, il ritiro di Cantona si palesava così come una presa di distanze dal sistema calcistico francese. Vorrebbero fargli fare un’altra settimana di prova, ma a questo punto Cantona dice “No” (presumibilmente senza aggiungere “grazie”) e accetta invece l’offerta del Leeds, in ballo per i primi posti.

Cantona fa presto a proiettarsi nelle simpatie dei tifosi e ad imporsi nelle gerarchie offensive della squadra. Grande e grosso, con una postura di base che gli proiettava il petto all’infuori come mai visto a nessun altro, con un gabbiano al posto delle sopracciglia, Cantona a Leeds vince il campionato, e, con una sua tripletta, pure un altro trofeo.
Dai.
“Dai” che? Ti avevo detto che ha vinto quasi sempre.
No. La cosa delle sopracciglia: sei scemo. Però fammi vedere una foto.

Eric Cantona con la maglia del Leeds
-Oddio, in effetti… (Foto Ben Radford/Getty Images – OneFootball)

King Eric

Queste vittorie dimostrano a tutti che Cantona, il francese Cantona, non ha patito il salto oltremanica, nel brutto, sporco e cattivo calcio inglese. Nel dicembre 1993 lo compra il Manchester United. È proprio nella parabola quinquennale di Manchester che Cantona esprime il suo picco calcistico: tecnico e arrogante, travolgente e di classe. Lì diventa King Eric.

E capisci bene che per farsi dare del “King”, in Inghilterra, ce ne vuole dico alzando le sopracciglia e allargando le mani, perorando la mia tesi anche a livello fisico.
Sì sì, deve aver fatto davvero grandi cose  mi dice annuendo. Capisco che mi sta dando corda e ragione perché è così che bisogna fare coi grulli. Come darle torto. 

Al Manchester United, Eric Cantona tesse la tela del suo mito, costruisce e cristallizza l’immagine che ci viene tramandata. Lo sguardo da cattivo dei film, la fronte aggrottata, la maglia rosso fuoco. La numero 7 dello United. E poi quel colletto sempre alzato, inamidato chissà quanto e da chissà cosa per restare su nonostante le piogge e il fango, nonostante l’Inghilterra.
Il colletto? In una maglia da calcio?
Davvero. Direi che i colletti hanno contribuito a segnare la cifra stilistica del calcio degli anni ‘90, per poi scomparire.
– Vorrei anche vedere. Scomodissimi per giocare, no?
C’è di peggio.

Eric Cantona zittisce il pubblico con la maglia dei Red Devils
Stile di un’altra epoca (Foto: Anton Want/Allsport/Getty Images – OneFootball)

Nelle prime due stagioni a Manchester segna oltre trenta gol, aiutando la squadra a vincere per due volte di seguito la Premier League, più qualche coppa. Nel 1993 vince il premio come miglior giocatore del campionato, nonostante le 4 espulsioni in stagione. Cantona lo conosce bene questo suo lato, dice che cerca di lavorarci. Con parole sue:

Non posso avere la passione che ho, una specie di fuoco che chiede di uscire, senza che questo fuoco a volte faccia danni.

Eh, infatti. Qualcuno si brucia, no?
Sei sveglia, – le dico, indicandola ritmicamente col dito. – E infatti a una certa si brucia lui. È il 25 gennaio del ‘95…

DEL NOVANTACINQUE.
Aaaah sì, giusto! Novantacinque, ora me lo ricordo. È quando non vince, vero?
Le sorrido mentre le dico brava.

Quel che ci ricordiamo di Cantona

Quella stagione lo United – due campionati di fila vinti – se la sta giocando contro i Blackburn Rovers. Il 25 gennaio del ‘95 va a Londra, in casa del Crystal Palace. Una marcatura bella stretta da parte del suo diretto avversario e l’apparente insensibilità dell’arbitro nei suoi confronti, lo portano a un fallo plateale sul difensore. Espulsione, lui che si avvia camminando verso gli spogliatoi, scene già viste. Passa vicino agli spalti, si è ripiegato il colletto, “scortato” da un magazziniere. Sente qualcosa, si ferma, punta qualcuno. Sguscia via dal magazziniere, fa due passi correndo verso i tifosi e poi si lancia in un calcio volante verso uno di questi.
Ma come?
Ti giuro! Però, se vuoi ridere, il magazziniere è stato da lì soprannominato “Vaselina”. Ma quant’è bello lo humour inglese, quel saper prendere in giro…
Sì sì bellissimo. Senti, tra l’altro tra poco dovrei andare a lavoro… Ce la fai?
Ci provo.

Una mossa da kung-fu verso uno che si era fatto tutti gli spalti per dirgli che era un figlio di puttana, un francese di merda che doveva tornare nel suo paese, ecc. Poi, ciondolante sui cartelloni, un altro calcio, stavolta alla cieca, che manca poco prende una signora tutta sgomenta lì a mezzo metro. E quando si rialza un dritto col destro, mentre l’altro arretra. Si capisce subito che è un momento segnante; poi diverrà iconico. È la rottura della “quarta parete” dello stadio, quella coi tifosi, avversari e non. Non è come esultare o infamarsi con una folla, non è immergersi in un flusso: è un fatto privato

Ovviamente è un gesto che ha delle conseguenze. Dopo un discorso comunque surreale davanti alla commissione, in cui chiede scusa ai compagni, alla società e a una prostituta mai esistita, la squalifica che riceve è di nove mesi, e pure un po’ di giorni di prigione.
Eh forse aveva esagerato. Ma hai detto “una prostituta”?
Sì. Ma sei di furia, te lo spiego un’altra volta.

Gli viene commutata la pena in ore di lavori socialmente utili all’udienza d’appello e, dopo, sono tutti lì per sentire che ha da dire. Dopo diversi giorni di silenzio, infatti, Cantona ha indetto una conferenza stampa in un hotel.
La conferenza stampa delle diciassette parole che ti dicevo prima. The King deve parlare.
E io devo andare.
Ok ok.

Eric Cantona scortato nel giorno dell'udienza
Il giorno dell’udienza e della conferenza (Foto Gerry Penny/Getty Images – OneFootball)

Quando i gabbiani

È vestito bene, al contrario di precedenti apparizioni. Si sistema a sedere tra alcuni dirigenti del club, prende il bicchiere d’acqua in mano, silenzio tutt’attorno. 

“When the seagulls…” (Quando i gabbiani) prende il bicchiere e beve un sorso, o finge di farlo, “…follow the trawler…” (seguono il peschereccio) si appoggia sullo schienale della sedia “…is because they think sardines will be thrown into the sea” (è perché pensano che presto verranno buttate a mare delle sardine). Ringrazia e se ne va.

Alcuni giornalisti che hanno compreso le sue parole scoppiano a ridere, quelli venuti dalla Francia chiedono di ripeterlo nella loro lingua. Rincorrendosi fra i bisbigli dei giornalisti che se le stanno annotando, quelle parole sono ormai consegnate alla storia.
Non ho capito cosa c’entrano i gabbiani e il peschereccio e le sardinedice lei, strizzando appena gli occhi. Rispondo con un sorriso, allargando le braccia e stringo la testa nelle spalle, scuotendola.

Con Cantona squalificato, il Manchester United perde il campionato a favore del Blackburn Rovers. Nel biennio successivo alla squalifica, Cantona e il Manchester United vinceranno altri due campionati e ancora qualche coppa. The King abdica ufficialmente alla fine della sua ultima vittoriosa stagione, nel 1997. Si ritira a 30 anni, lasciando scioccati i suoi tifosi. Aveva perso la passione, quel fuoco dentro, dice. Che giochi a calcio a fare se non ce l’hai?

Il Re sta sul trono (Foto Mike Cooper/Getty Images – OneFootball)

Senti peschereccio, io devo andare. Bel tipino questo Cantona, la prossima volta mi ripeti una cosa o due. Un bacio dopo, si era fatta già più lontana. Fa qualche passo, poi si gira su se stessa e, alzando la voce per coprire la distanza, dice:
– Secondo me con quell’intervista voleva prendere tutti per il culo.
E allora io:
Ma lo sai anche secondo me?

 

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