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VIE DEL CALCIO

Vie del Calcio: Benevento

Benevento: cosa vi viene in mente se sentite questa parola? A me, classicista, sovviene che i romani la conoscevano come Maleventum. Un’importante vittoria contro l’ostico Pirro, re dell’Epiro, li invogliò a giocare con la toponomastica, ribattezzandola Beneventum. Non vi fate trarre in inganno: il nome originale, di per sé, non era di cattivo auspicio: probabilmente originava dalla storpiatura operata sul nome greco da parte dei sanniti – che, così come i romani, il greco non lo sapevano.

Benevento vista dall’alto (Foto: Il Vaglio)

Dice, “Ma che c’azzeccano i greci?”. Ebbene, sembra che le lontani origini della città siano da ricercare proprio tra emigranti dell’Ellade, forse persino fra i più illustri. A Benevento, direi che quantomeno ci credono: il cinghiale che scorrazza al centro dello stemma della città è infatti il “cinghiale calidonio”, enorme bestia inviata da Ares per classiche questioni di gelosia e voti infranti. Dopo una battuta di caccia a cui partecipò la crema degli eroi greci, fu Meleagro ad ucciderlo e a farlo a pezzi. Le zanne vennero ereditate dal nipote Diomede, che le portò con sé persino a Troia per poi, nel suo peregrinare, giungere nei luoghi giusti per fondare la città, nel suolo della quale si dice siano sepolte. Che questa storia sia altamente attendibile, ovviamente, non aspettatevelo. Si può però dire che, per come sono sempre stati pugnaci, orgogliosi, impavidi, ai popoli sanniti l’anima del cinghiale si addice molto bene.

I romani, dicevamo. Beneventum ebbe vita da gran città, fiorendo nelle attività produttive e nel commercio, ritrovandosi strategicamente piazzata allo snodo della via Appia (Roma-Brindisi). Durante l’impero – dall’88 d.C. in poi -, il multiculturalismo dovuto all’immensità dei territori si faceva sentire in svariati modi. I beneventani, ad esempio, nel tempio a lei dedicato adoravano l’egizia Iside, dea – tra le altre cose – della magia e dell’occulto. Il legame di città e cittadini con il culto di Iside è probabilmente tra i fattori alla base dell’humus culturale che permise a vari elementi di paganesimo di perdurare nei secoli, tra cui quelli che vedono coinvolte le streghe. Qualunque cosa se ne pensi a riguardo, le vicende che legano Benevento alle streghe hanno vita lunga.

Il noce di Benevento

Vi devo subito dare una brutta sorpresa: questo albero di noce non c’è più. Ce ne sono sicuramente molti altri, ma sull’ubicazione esatta dell’originale c’è dibattito. Dovunque fosse, è stato un luogo importante per la reputazione di Città delle Streghe che si attribuisce a Benevento. Una reputazione di cui la città si fregia e fa sfoggio, come dimostrano lo stemma del Benevento Calcio e il nome stesso di uno dei suoi prodotti più famosi. E allora, mi son detto, vediamo di saperne qualcosa in più.

Fu solo nel tardo impero romano che i beneventani si convertirono al cristianesimo. Caduto l’impero romano, i Longobardi invasero l’Italia e crearono, nel 576 d.C., il Ducato di Benevento, tra i più importanti dell’Italia Meridionale. E, ovviamente, arrivarono col loro carico di riti pagani da svolgere. Si intrattenevano nei pressi del fiume Sabato, attorno a un maestoso albero di noce, celebrando rituali per Odino.

I cristiani, probabilmente, collegarono questi cerimoniali dai ritmi forsennati e urla ferine alle già esistenti credenze riguardanti le streghe, il diavolo, e i loro Sabba. Pare che al famigerato noce di Benevento, le streghe di tutto il mondo conosciuto arrivassero volando sulle loro scope di saggina, dopo essersi cosparse le ascelle con un liquido dalle dubbie origini, recitando: 

‘Nguento ‘nguento, mànname a lu nocio ‘e Beneviente, sott’a ll’acqua e sotto ô viento, sotto â ogne maletiempo.

Ovviamente le preoccupazioni dei cristiani vennero ascoltate dall’istituzione a cui facevano affidamento e fu così che, per debellare le streghe, intervenne persino San Barbato vescovo, che abbatté il noce. Caduti i longobardi, Benevento si affidò al papato per essere autonoma dal Regno di Napoli. Federico II di Svevia prese bene questa vicenda: arrivò da Napoli e rase al suolo la città. Benevento si sottomise allora al giogo papale, che la tenne sotto la sua protezione e il suo potere per sette secoli, fino a Garibaldi.

San Barbato abbatte il noce
San Barbato che abbatte il noce (Foto: Wikipedia)

Durante il Medioevo, la Chiesa non si dedicò con particolare fervore a combattere la stregoneria, considerata alla stregua di una superstizione. Ci fu però un “balzo” culturale che, nel XV secolo, portò alla caccia alle streghe in tutta Europa. Nella città del noce furono più di 200 i processi tenuti contro le streghe in città, e i roghi non mancarono di divampare.

Non so se lo sapevate, ma esistono streghe e streghe, con conoscenze, poteri, abitudini, caratteri diversi. A Benevento le streghe più famose erano le janare. Scivolavano dentro la porta – ianua, in latino – dell’abitazione dei malcapitati, col preavviso di una brezza gelida, rubando i bambini e rendendoli storpi. Oppure visitavano le stalle, prendendo le giumente e cavalcandole per tutta la notte, facendole crepare per sfinimento.

È da un po’ di tempo che non vengono riportate apparizioni di streghe e janare. Forse le scope contemporanee, di volgare plastica, non hanno gli stessi poteri di quelle di saggina: non sono adatte al volo, non possono trasportare al noce. Se dobbiamo ricercare l’ultima strega, forse dovremmo andare in Piazza Stazione. La troveremmo nascosta nei sotterranei della ditta Alberti, dove prepara intrugli di 76 erbe, in base ad una ricetta segreta, per fabbricare il liquore Strega, con la cui delizia può indurre in tentazione di gola. E tutti sappiamo che la gola è strumento del demonio.

Arco di Traiano

Scoprire Benevento significa soprattutto rendersi consapevole della sua varietà culturale, legata a doppio filo a storie di lunghi domini di genti molto diverse. Icona della città è l’Arco di Traiano, eretto per celebrare l’apertura della via Traiana, costruita tra Benevento e Brindisi per ottimizzare i collegamenti rispetto alla lunga via Appia. Le storie raffigurate dalle scene sono quelle tipiche degli imperatori romani, così umili e modesti: sulla facciata interna regnano pace e provvidenza, mentre su quella esterna, la guerra e le imprese “griffate” Traiano, come la conquista della Mesopotamia e della Germania.

Arco Traiano Benevento
L’Arco di Traiano (Foto: Bisanzio)

Quando i romani caddero, l’arco cambiò destinazione d’uso: i longobardi lo usarono come porta della città, inglobandolo nelle mura, ancora oggi parzialmente visibili. Per un migliaio d’anni non cambiò niente. Poi nel 1850 Papa Pio IX, scandalizzato dalla visione di un reperto romano soffocato da edifici e residui di mura antiche, ordinò di fare tabula rasa tutt’attorno, allo scopo di valorizzare l’Arco. Ecco perché, oggi, Benevento si ritrova una piazza con l’Arco isolato.

Chiesa di Santa Sofia

Magari a sentire questo nome vi sembrerà d’essere a Istanbul, a guardare il Bosforo luccicare, a lasciarsi sconvolgere il naso dalle spezie del Gran Bazar. E invece siete nel centro storico di Benevento. Mica male, in ogni caso. 

La chiesa di Santa Sofia rappresenta uno dei simboli più affascinanti del passato di Benevento. Narra di quando il Sannio era il centro di un complesso e articolato sistema di potere che mirava a fondere le virtù della romanità col savoir-faire bellico dei popoli venuti da Nord. Centro di culto e di potere, rappresentò e tuttora rappresenta la presenza dei longobardi in Italia. La chiesa e quella che fu l’abbazia annessa rappresentano una delle gemme più belle e importanti della Longobardia minore e sono state inserite nel patrimonio Unesco nel percorso “I Longobardi in Italia: i luoghi del potere”.

Venne edificata nel 760, voluta da Arechi II. La pianta centrale si rifà a quella della “sorella maggiore” di Istanbul ma, varcata la sobria soglia, si apre un mondo di originalità. Al centro sei colonne, pare prelevate dall’antico Tempio di Iside, sono disposte ai vertici di un esagono e collegate da archi che sostengono la cupola. Gravemente danneggiata dopo alcuni terremoti, fu ricostruita con criteri fedeli più ai gusti dell’epoca che agli intenti di Arechi II, e la pianta divenne, così, circolare dall’originale forma a stella, che è stata però mantenuta sui muri laterali. 

Chiesa Santa Sofia Benevento
La Chiesa di Santa Sofia (Foto: Wikipedia)

Stadio Ciro Vigorito

“Scusate ma u’stadio addo sta?”. “Abbasc’e Palazzine”. “Dove?”. “Abbasc’e Palazzine!”.

Così inizia il video di “Abbasc’e Palazzine” di 3Dta, che incastrano barre sugli usi e costumi del Rione Libertà, quartiere popolare di Benevento, sede dello stadio “Ciro Vigorito”. Con una regia dall’atmosfera à la Fa’ la cosa giusta di Spike Lee, questi wagliù decantano l’amore per il proprio quartiere, svelando come lo stadio sia al tempo stesso punto di riferimento e inglobato in un contesto urbano e sociale – le palazzine appunto – più estesa. 

Il Vigorito dipinto di giallorosso (Foto: Francesco Pecoraro/Getty Images – OneFootball)

L’attuale nome dello stadio è stato scelto nel 2010 per celebrare la memoria dell’ex dirigente dei giallorossi, nonché fratello dell’attuale presidente Oreste Vigorito. La gestione dei Vigorito è iniziata nel 2006, ed è fuori di dubbio che le capacità finanziarie degli imprenditori dell’eolico abbiano permesso al Benevento di arrivare dalla Serie C2 alla Serie A in poco più di dieci anni. Dal 1929 al 2016, Benevento conosce solo le categorie di C e D, assaporando anche il fu campionato Interregionale a causa di inadempienze finanziarie. Poi, da allora, un pazzo lustro in cui il Benevento è assurto alla ribalta per aver infranto record a cui tutti gli altri avevano solo pensato di avvicinarsi. Proveremo ad procedere con ordine.

Partiamo dal 2016, appunto, quando Gaetano Auteri guida i suoi al primo posto del Girone C di Lega Pro, e quindi a quell’anticamera del Paradiso chiamata serie B. Viene allestita una squadra ricca di talento, che raggiunge un quinto posto e quindi i playoff. Ora: nel calcio italiano a nessuna squadra era mai riuscita la promozione in Serie A da neopromossa ed esordiente assoluta in Serie B. Perciò figuratevi che festa è stata quando, con il tocco sotto porta di Pușcaș, ha piegato il Carpi in finale (“Uuuuh, che macello” il commento mio amico Angelo, interpellato a proposito dell’evento).

Storia per storia – devono aver pensato in Sannio -, che si provi a scriverla anche in A. E, in un certo senso, ci sono riusciti. I giallorossi, guidati da Baroni, accumularono 14 sconfitte consecutive, accaparrandosi un record non così agognato. In un rincorrersi di situazioni estreme, non poteva mancare clamore nel modo in cui la striscia si interruppe. L’avvitamento aereo del portiere Brignoli, all’ultimo minuto, è una di quelle assurde, rare perle che il calcio regala. Non me ne vogliano gli amici del Milan, ma lo stavo ascoltando alla radio, e risi tantissimo. Seguirono una sfavillante campagna acquisti di riparazione nel segno del panic buying, l’ingaggio sulla panchina di De Zerbi, il ventesimo posto finale.

Benevento Serie A
Finalmente Serie A (Foto: Francesco Pecoraro/Getty Images for Lega Serie B – OneFootball)

È quindi ora di tornare in B, ma poco male, anzi: Pippo Inzaghi guida i suoi a una stagione mai vista in cadetteria. La concorrenza viene polverizzata con gli 86 punti conquistati (record nella Serie B a 20 squadre), la promozione viene festeggiata con 7 giornate d’anticipo (eh sì: altro primato). La seconda stagione di Serie A – quella corrente – ha già preso tutt’un altro corso e, rispetto alla Cenerentola che fu due anni or sono, il Benevento è ormai da considerarsi una squadra in grado di competere per la salvezza, più o meno tranquilla. Merito della caparbietà progettuale? Merito dell’ambiente coeso e sereno? Merito delle streghe? 

Hortus Conclusus

Abbiamo visto come a Benevento si respirino storie di mondi che non credevamo fossero arrivati fin qui. Abbiamo scoperto che sanniti, romani, longobardi e fattucchiere hanno plasmato sia il genotipo culturale della città, nonché la sua rappresentazione fisica attuale. Ma Benevento è uno di quei posti che sa – o ha imparato – che crogiolarsi nel passato non è una strategia lungimirante. Per fortuna c’è chi guarda sempre un po’ più in là, e anche chi gli dà retta.

Hortus Conclusus Benevento
L’Hortus Conclusus (Foto: Italian Ways)

Uno dei cittadini più illustri del Sannio porta il nome di Mimmo Paladino, considerato uno dei punti di riferimento nella corrente artistica della Transavanguardia. Questa – cito perché, anche se mi piacerebbe, questo non è esattamente il mio campo – si pone come “movimento di transizione, di nomadismo culturale e recupero della pittura, attraverso un ritorno a materiali e tecniche pittoriche tradizionali, con un recupero di motivi e forme del passato”. La presenza di Paladino a Benevento si sostanzia soprattutto nell’Hortus Conclusus, installazione permanente ospitata sin dal 1992 all’interno del Convento di San Domenico. Nell’orto del monastero sono disseminate le opere dell’artista che, in linea col suo stile, sono concepite per illustrare la storia della città. 

Ho scelto questo come luogo conclusivo di questa nostra tappa, “sacrificando” altre – più illustri – opere del passato beneventano – scusami Teatro Romano, perdonatemi Mura longobarde -, perché credo che per una città e i suoi cittadini sia importante poter rielaborare quello che sanno e percepiscono di sé e del proprio posto nel mondo. Possedere gli strumenti per comprendere e interpretare da dove si viene, a che punto si è, dove si vuole andare.

L’Hortus Conclusus, opera di un figlio del Sannio, si pone proprio questo oneroso ma cruciale compito. Sintetizzare il passaggio e il lascito dei vari popoli e delle varie culture che hanno reso Benevento la realtà che conosciamo, o che, magari, vorrete o vi capiterà di conoscere.

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