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CALCIO ITALIANO

Quando la difesa della Fiorentina parla argentino

C’è una curiosa costante, in quel della Firenze calcistica. Anno dopo anno, ciclo dopo ciclo, state pur certi che, nei ranghi gigliati, ci dovrà essere almeno un argentino. Una connection che parte piuttosto lontano nel tempo, e che nell’ultimo decennio ha assunto connotati ancor più specifici. Negli ultimi dieci anni, sono infatti ben cinque i difensori argentini che si sono avvicendati – giocando insieme o succedendosi – in maglia viola. In un solco da cui ormai pare inevitabile scostarsi, le varie dirigenze sportive si sono convinte che i profili battenti la bandiera col Sol de Mayo càlzino alla perfezione alle esigenze della Fiorentina.

Certo, forse la spiegazione va ricercata nel fatto che a guidare i mercati, dai Della Valle in poi, siano stati due soli personaggi. Corvino venne infatti sostituito nel 2012 da Pradè, che nel 2016 fece spazio al ritorno di Corvino il quale, dopo tre anni, ha ceduto nuovamente il timone a Pradè, che al mercato mio padre comprò. 

Quest’ultimo (Pradè, non mio papà) si è dimostrato di gran lunga più votato a seguire la traccia sudamericana, mentre chi conosce un minimo il pasciuto dirigente leccese sa della sua predilezione quasi fanatica per il talento proveniente dai Balcani e dintorni. Se Corvino ha infatti portato in rosa l’attuale capitano Germán Pezzella, a Pradè si devono gli avventi di Gonzalo Rodríguez, Roncaglia, Basanta e, ultimo in ordine cronologico, Martínez Quarta. Se ancora foste così naïf da considerarla pura coincidenza, basti dire che a partire da questa stagione Pradè avrà accanto a sé Nicolás Burdisso, ora uomo-mercato ma prima difensore centrale. Argentino, s’intende.

Dove tutto ebbe inizio: Daniel Passarella

Daniel Passarella
El primero con la Fiorentina (Foto: Imago Images – OneFootball)

Tutti gli esempi sopracitati hanno un illustre predecessore comune. Nell’estate dell’82, decise infatti di accettare la corte della Fiorentina Daniel Passarella, Gran Capitano dell’Albiceleste vincitrice del discusso Mondiale ’78. L’apodo di Caudillo spiega sin troppo bene le qualità di leadership, ma non quelle più prettamente tecniche. Basti pensare che Passarella ha realizzato 178 reti fra club e nazionale, che ne fanno il secondo difensore della storia del calcio in termini di realizzazioni dietro Ronald Koeman. 

A Firenze resta quattro stagioni in cui ha tempo di far innamorare la città del suo repertorio. Guida la difesa con cipiglio militare e un’aggressività spesso fuori scala, mentre la sua abilità nel dirigere il pallone nella porta avversaria si affina di anno in anno. Al termine delle 139 partite in maglia viola, Passarella avrà segnato 35 reti. Con quel suo mancino secco ma garbatissimo sui calci da fermo, innescato da una scintilla di follia nei suoi tentativi da lontano. Ma anche saltando meglio e più ferocemente degli altri in selve di giocatori più alti, lui che nelle foto ufficiali si metteva in punta di piedi per arrivare a un qualcosa in più dei 174 cm che madre Natura gli aveva donato. 

Nella sua stagione finale arriva alla quota monstre di 11 reti nel solo campionato, superando così il precedente primato di Facchetti all’Inter, stabilito nel ’66/‘67. Il record verrà ritoccato nel 2000/01 da Marco Materazzi, capace di segnare 12 gol con il Perugia. In rapporti ormai logori con la famiglia Pontello, Passarella verrà ceduto all’Inter nell’estate del 1986. Pochi mesi prima, in un clima di alta tensione nella tifoseria dovuto allo scarso utilizzo di un crepuscolare Antognoni, l’argentino aveva preso le difese dell’allenatore Aldo Agroppi, aggredito da sei scemi dopo l’allenamento. I suoi ceffoni a destra e manca misero in fuga il manipolo. Sì Daniel, andiamo a fare a botte insieme.

Gonzalo Rodriguez

Rodriguez festeggia in Juventus-Fiorentina
Ro(ck)driguez (Foto: Pierpaolo Piciucco/Imago Images – OneFootball)

All’ultima giornata della stagione della Liga 2011/2012 – quella dei 50 gol di Messi e i 46 di Ronaldo, per intendersi -, il Villarreal conosce l’amarissimo gusto di una retrocessione totalmente inaspettata. Infarcito di giocatori talentuosi, il Submarino Amarillo diventa come un recipiente di miele con gli orsi attorno. Pradè, alla ricerca di gente dalla pulizia tecnica adeguata per sostenere l’idea calcistica di Montella, ci pesca a piene mani. Arrivano a Firenze Borja Valero e, appunto, Gonzalo Rodríguez, ai quali a gennaio si aggiungerà Pepito Rossi.

Immediatamente riconosciuto come perno e leader della linea difensiva sia da Montella che da Paulo Sousa, nella sua quinquennale esperienza verrà affiancato principalmente da Savic e Astori. Sarà un lustro felice per la Fiorentina, capace di proporre un gioco moderno e di ben figurare a più riprese anche a giro per l’Europa. Di riflesso, è un lustro felice anche per El Mariscal, uno a cui non dispiace affatto andare a far qualche salto in area avversaria. Nello staff di Montella c’è Gianni Vio, mitologico specialista dei calci piazzati, che trova un finalizzatore aggiunto in queste situazioni. Incaricato anche di battere i rigori, Gonzalo confeziona 6 gol nell’annata d’esordio, per poi mantenere buone medie col picco del 2014/2015, dove in 43 presenze stagionali gonfia la rete per otto volte. 

Quasi tutti i suoi 25 gol vengono festeggiati con la signature celebration della schitarrata, in piena sintonia con l’ambiente rock del Franchi quando è pieno perché felice, felice perché pieno. In un periodo in cui la società ha potuto puntare, attraverso la squadra, a riempire il distacco emotivo con la città dopo alcune malinconiche stagioni, Gonzalo Rodriguez è stato uno dei cuori pulsanti di un ritorno su alti livelli competitivi e di entusiasmo. A mani basse uno dei giocatori più rappresentativi dell’ultimo ventennio viola, come testimoniato anche dalla scelta dei tifosi di schierarlo nell’undici ideale del decennio.

German Pezzella

German Pezzella
Capitano (Foto: Franco Romano/Imago Images – OneFootball)

Per uno che va, uno che viene. Salutato Gonzalo Rodríguez, la Fiorentina volge nuovamente lo sguardo al campionato spagnolo. Dal lavoro di setaccio esce il nome di Germán Pezzella, possente e reattivo centrale in forza al Betis. Sin dall’inizio si impone al fianco di Astori nella creatura di Pioli, e le sue prestazioni gli fanno guadagnare l’esordio con la sua Nazionale, sempre e solo sfiorato negli anni precedenti. Condividerà assieme al resto della squadra la drammaticità e assurdità degli ultimi mesi di stagione 2017/2018, confermandosi punto di riferimento per la squadra. 

La fascia dedicata al fu capitano passerà proprio sul braccio sinistro di Pezzella dalla stagione successiva, a conferma della centralità carismatica raggiunta in poco tempo dal nativo di Bahia Blanca. La faccenda è che, nell’ultimo triennio, la Fiorentina ha tutt’altro che brillato. Di conseguenza anche Pezzella – che con Milenkovic compone comunque uno dei tandem più collaudati e interessanti dell’intera Serie A – ha talvolta vacillato.

Se si toglie la campagna iachiniana post-Covid, nella stagione appena trascorsa le amnesie del capitano si sono viste e sentite in maniera marcata, anche perché alternate con angosciante regolarità a quelle del compare serbo. Per la prima volta dal 2016/2017 – stagione chiusa però con 60 punti -, la Fiorentina è infatti tornata a subire più di 50 gol (59 per la precisione). Una statistica che, non bilanciata adeguatamente da prestazioni offensive collettive adeguate (grazie San Dušan da Belgrado), ha fatto annusare a più riprese miasmi di baratro.

Tali mancanze hanno riguardato l’intero ventaglio delle qualità che hanno reso Pezzella centrale nel progetto viola. Dalla fase d’impostazione – a dirla tutta già inferiore rispetto a quella di Rodríguez – alle letture, dalle marcature al comando della linea. Proprio ora che la sua carriera ha raggiunto una caratura internazionale, sarebbe un peccato cominciasse la de-escalation. Il contratto in scadenza nel 2022 puzza di cessione estiva, ma a Firenze l’unica cosa certa è che un si sa mai.

Lucas Martinez Quarta

Martinez Quarta con la Fiorentina
All’improvviso, Martinez Quarta (Foto: Giuseppe Maffia/Imago Images – OneFootball)

Esatto: sembra proprio che ci si sia voluti portare avanti. Nella coda del calciomercato estivo 2020 arriva a Firenze, con un diretto da Buenos Aires sponda River Plate, Lucas Martínez Quarta. L’operazione è stata un tantino frettolosamente accostata a quella che vide Passarella giungere in viola, ma la fiducia nell’investimento effettuato continua a essere tanta.

Già nel giro dell’Albiceleste al momento dell’acquisto, i suoi primi approcci con il campionato italiano sono stati onestamente rivedibili. All’esordio con l’Udinese una marcatura all’acqua di rose su Okaka, mentre nella giornata successiva, alla prima da titolare, un rosso diretto di quelli vecchio stile, fatti d’irruenza dura e pura. Dopo una “pausa” di due mesi imposta da Prandelli, è stato schierato spesso e volentieri da titolare come terzo centrale.

Complice un’interpretazione moderna del ruolo, nella Fiorentina gli sono state anche assegnate responsabilità offensive, o forse è stato lui a prendersele. Resta il fatto che a Firenze l’eccitazione è salita velocemente a causa delle sue capacità tecniche, non eccelse ma comunque discrete, ma soprattutto per il suo giocar grintoso, con quella gamba che, azzeccando o sbagliando, non viene mai tirata indietro. 

Tignoso come pochi, non è intimorito dai duelli fisici né dall’assumersi rischi, difensivi o offensivi che siano. Non un gran velocista, compensa con capacità di letture discrete e quelli che paiono ampi margini di miglioramento. Probabilmente uno dei pochi punti fermi della Fiorentina del futuro, qualunque futuro aspetti i viola.

Facundo Roncaglia

Facundo Roncaglia in maglia Fiorentina
Mitologia Roncagliana alla Fiorentina (Foto: Cordon Press Miguelez/Imago Images – OneFootball)

Ecco a voi uno dei personaggi che più hanno stuzzicato il multiforme ingegno dei fiorentini nell’ultimo, dolceamaro, decennio. Il suo arrivo aggratis dal Boca Juniors nella rivoluzionaria estate 2012 non era rubricabile tra quelli più altisonanti ma, fin dal tradizionale ritiro di Moena, i tifosi lo eleggono a beniamino.

In tempo zero le sue poche smancerie nei contrasti e alcune sue spigliate folate offensive calamitano l’attenzione di tifosi che molto esigono anche dal carattere dei giocatori stessi. La sua difesa ruvida e primordiale innesca un meccanismo di cieca devozione nella curva gigliata, probabilmente riportata ad un sentimento quasi bambinesco del giocare a calcio, quando volavano pedate e nessuno se ne fregava più di tanto. 

Per capirne l’impatto, basti pensare che la pagina Facebook “Quando Facundo Roncaglia” è riuscita a pubblicare un libro (“In principio era Facundo”) con la raccolta degli aforismi dedicati all’argentino dai tifosi fiorentini. La falsariga era quella – un tantinello boomerdelle battute su Chuck Norris e i “superpoteri” attribuitigli. E quindi “Quando Facundo venne partorito, non fu il medico a dare due schiaffetti alla creatura, ma il bimbo a dare due manate a lui”, oppure “Quando Facundo scambia la maglia con l’avversario, la sua dopo tre giorni gliela riportano lavata e stirata”, e altre mille amenità. 

Dopo una prima stagione su ottimi livelli, la seconda è titubante. Soprattutto a un certo punto Roncaglia mal sopportava chi entrava nella sua area di rigore, e allora accadeva che lo tirava giù, apparentemente infischiandosene di quel contrappasso chiamato penalty. Queste sue défaillances, oltre a costargli la titolarità, spinsero la dirigenza a cederlo in prestito al Genoa, da dove tornò nella stagione successiva. Impiegato spesso e volentieri da Paulo Sousa nella sua prima semi-gloriosa annata, saluterà però la città nell’estate 2016, direzione Celta Vigo. In città ci sono ancora pizze col suo nome.

Jose Maria Basanta

Basanta festeggia contro la Roma
In rete all’Olimpico (Foto: Imago Images – OneFootball)

El Chema significa “La Bestia” e boh, vedete voi se sareste contenti vi dessero questo soprannome. Occhi incastonati a fondo nelle orbite, mascella squadrata e spalle larghe, José Maria Basanta ha vissuto un solo anno in viola, l’ultimo di Montella, lasciando comunque un discreto segno. Soprattutto in Europa, nella campagna europea che vide la Fiorentina arrendersi in semifinale al Sevilla, Basanta si distinse per le reti segnate all’ormai scomparso White Hart Lane e all’Olimpico contro la Roma, nell’incredibile 0-3 interamente maturato nei primi 21 minuti.

L’insediamento di Paulo Sousa lo porta a tornare al Monterrey perché, a quanto pare, il tecnico portoghese non aveva grandi intenzioni di puntare su di lui. Col suo addio, la Fiorentina si ritroverà numericamente a corto di centrali difensivi per tutta la stagione 2015/2016, esponendosi anche al pubblico ludibrio nel mercato invernale, quando succede il patatrac.

Bonus track: E alla fine (non) arriva Mamma(na)

Mammana in maglia Lione
Alla fine, alla Fiorentina, non è arrivato (Foto: Imago Images – OneFootball)

Avete presente l’intervista di Spalletti che in un post-partita da allenatore dell’Inter, interpellato sul mercato di gennaio, esclama, con fare da stand-up comedian,

E lo sanno tutti! La mi’ mamma, 80 anni, sa che mi manca un centrale!

Ecco: Paulo Sousa, nel gennaio 2016, non aveva nemmeno bisogno di esternarlo. 

Come detto, l’addio di Basanta aveva lasciato sin dall’estate una casella scoperta nello scacchiere difensivo, una falla evidente da dover tappare in tutti i modi. Il tecnico portoghese aveva condotto la squadra in terza posizione al termine del girone d’andata, ed era lecito attendersi che quest’inerzia sarebbe stata accompagnata da rinforzi adeguati. Il mercato è nelle mani di Pradè che -ormai che ve lo dico a fare- si fa attrarre ancora una volta dai richiami gauchos. Manco a dirlo, anche stavolta l’obiettivo gioca nel River Plate. 

Non ha ancora 20 anni, ma l’etere si riempie di elogi quando se ne parla. Emanuel Mammana è dato a un passo dalla Viola per un mese intero, mancano sempre i classici dettagli da limare, burocrazia spicciola. La morale della favola, se già non la sapete, potete immaginarvela. In una di quelle acrobazie di mercato che tanto bene i fiorentini hanno imparato a conoscere, all’ultimo giorno utile succede un casino e salta tutto, col presidente del River infuriato. 

E magari fosse finita qui: la parte più gustosa della storia è ovviamente la sua coda. In pieno panic buying la dirigenza gigliata vira decisa su Benalouane, in forza al Leicester di Ranieri che vincerà la Premier League. Infortunato sin dal suo arrivo, il tunisino non scenderà nemmeno un secondo con indosso la maglia viola. E Mammana? Andrà al Lione, poi allo Zenit, poi un prestito al Sochi. Insomma, in parabola discendente a 25 anni. Chissà se Paulo Sousa, vedendo dov’è ora, ha un po’ meno rimorsi – e Pradè si sente più lungimirante -.

Questione di…?

Senza scomodare Montuori o Batistuta o Bertoni, abbiamo visto come negli ultimi tempi Firenze sia stata destinazione di difensori argentini che hanno in generale ben figurato, nelle loro sgambate al Franchi. Il fresco acquisto di Nico González, il più oneroso della storia gigliata, rimarca anzitutto il feticismo di Pradè nei confronti dei giocatori argentini. Altri argentini recenti – come Bolatti, Zárate, Simeone – hanno faticato di più e lasciato di meno rispetto ai personaggi che abbiamo passato in rassegna, nonostante aspettative più alte o esborsi maggiori. 

La ragione per cui, quindi, i difensori argentini a Firenze trovino terreno piuttosto fertile, rimane per me un mistero. Non ho mai troppo sopportato la narrazione che accomuna i giocatori di un paese per caratteristiche intangibili o per mentalità (sì, mi riferisco a chi si crogiola nella Garra charrúa), ma sicuramente sbaglio io. 

Ci sono caratteristiche di gioco che si sviluppano di più in determinati contesti che in altri, incentivate dalla ripetizione e dall’interazione dei propri mezzi con l’ambiente circostante – il contesto, gli avversari -, ma non è perché uno nasce in Argentina e fa il difensore allora dev’essere per forza tosto, bravo nell’anticipo, carismatico, forte di testa. Ad ognuno il suo, no? E allora magari tocca dare i meriti a chi sa cercare e individuare i giocatori con le caratteristiche giuste, adatte alla filosofia di gioco della squadra e alla cultura dell’ambiente. 

Poi oh, che vi devo dire? Se argentino, meglio.

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