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Borussia Dortmund, episodio 2: L’efficienza della linea verde

Quando nell’autunno del 2012 il Borussia Dortmund e il Manchester City, entrambi detentrici dei propri titoli nazionali, si trovarono di fronte nei gironi della Uefa Champions League fecero piuttosto scalpore le dichiarazioni del CEO dei gialloneri. Hans-Joachim Watzke disse, senza troppi peli sulla lingua, che il modo in cui il Manchester City si finanziava non poteva essere accettato e, conseguenzialmente, quel format avrebbe portato all’implosione del sistema del fair-play-finanziario con relativo malcontento di tutte le altre squadre. All’epoca fu una voce piuttosto fuori dal coro. Erano anni in cui ancora non si capivano bene gli effetti che il Fair Play finanziario potesse avere sul calcio e si veniva da due epoche (anni 90 e anni 00) in cui era normale vedere un mecenate investire a più non posso nel proprio club.

È quantomeno curioso leggere con la consapevolezza odierna le stesse dichiarazioni. Dopo il tentato golpe della SuperLega con le dichiarazioni dei club storici; dopo anni di concorrenza contro gli sceicchi, si sono resi conto di come questo sistema sia stato drogato dal loro ingresso e di come la strada per competere con loro sia irta e piena di insidie, tecniche quanto finanziarie. Senza entrare troppo nel merito della scelta di provare a togliere una parte dello spettacolo che tutti conosciamo, c’erano ( e ci sono) delle basi di verità nelle parole di Agnelli o Perez.

Watzke invece aveva già individuato quale potesse essere un modello, se non competitivo al massimo, quantomeno sostenibile sul lungo periodo, senza perdere troppo appeal. I suoi credo sono addirittura messi nero su bianco sul sito della squadra tedesca e hanno costituito i dogmi degli ultimi 15 anni di calcio in Westfalia. La frase senza dubbio più significativa è

Il Borussia Dortmund è guidato dal principio di massimizzare il successo sportivo senza accumulare nuovi debiti.

 

 Hans-Joachim Watzke Hans-Joachim Watzke (Photo by Maja Hitij/Getty Images – OneFootball)

Riabilitare, efficientare, stabilirsi

Dopo i ruggenti anni ’90, in cui il Borussia Dortmund si era affermato come superpotenza a livello europeo e mondiale, con la vittoria di vari campionati, una Uefa Champions League e una Coppa Intercontinentale, i gialloneri hanno avuto un periodo di transizione piuttosto burrascoso a cavallo del nuovo millennio. Tralasciando l’isolato campionato 2001-2002, conclusosi in gloria solo grazie al suicidio del Bayer Leverkusen, i risultati dal 1999 al 2006, sono stati un vero disastro. Concomitante al tracollo tecnico, quello finanziario. Senza risultati, con un modello non facilmente sostenibile sul lungo periodo, a fine 2005 sembrava inevitabile la bancarotta. A salvare il club, insieme all’apporto fondamentale della Signal Iduna, azienda tedesca nel campo assicurativo e finanziario, è stato proprio Watzke, insieme all’attuale presidente Reinhard Rauball.

Dall’arrivo della pesante sponsorizzazione dell’assicurazione tedesca e dei due sopracitati, il modello BvB è diventato una scuola di pensiero, prima in Germania e poi in tutta Europa. Il modello prevede dei pilastri su cui far poggiare la gestione dell’azienda: partite, diritti tv, pubblicità, merchandising e trasferimenti.

In particolare l’ultimo punto, i trasferimenti, è particolarmente evidente a tutti gli appassionati. Il Borussia Dortmund si prefigge una linea verde, di giovani calciatori, una direzione strategica imprescindibile per continuare il proprio operato. I gialloneri vogliono costruire la propria spina dorsale proprio con i giovani talenti, cercando di competere con colossi (come il Bayern in patria, o i già citati sceicchi in Europa) senza usare tutti i liquidi immessi direttamente dalle loro stesse tasche. La professionalità e la creatività sono i dogmi su cui si basa questo tipo di scelta.

Va da sé che questa strada è difficile paghi subito alti dividendi. Infatti appena entrata la nuova dirigenza per i primi tre-quattro anni è proseguita la striscia di risultati mediocri, senza entrare neanche in Europa. Ma con l’ingaggio di calciatori all’epoca semi-sconosciuti come Hummels, Lewandowski o Kagawa e l’avvento di Jurgen Klopp nel 2008, la musica cominciò a cambiare. Dapprima il BvB è riuscito a conquistare il pass per l’Europa League, poi grazie all’arrivo di altri calciatori del livello di Gotze e Reus, a vincere nuovamente la Bundesliga dopo dieci anni dal precedente successo. E solo due anni più tardi addirittura a disputare una finale di Champions League, contro i rivali del Bayern Monaco.

Klopp al Borussia Dortmund Jurgen Klopp, ovvero quando credi davvero nelle tue convinzioni, prendi anche l’allenatore del retrocesso Mainz. (Photo by Clint Hughes/Getty Images-OneFootball)

La meglio gioventù

Ma per essere sempre sul pezzo ed avere ogni anno una squadra competitiva, il Borussia ha una ricetta composta da diversi ingredienti. Innanzitutto la VB Fußballakademie GmbH, un academy di livello assoluto con delle infrastrutture eccellenti atte al benessere dei giovani calciatori, spesso prelevati alle soglie dei 10-11 anni e già inquadrati nell’ottica del calcio professionistico. Da lì, sono infatti usciti nomi del livello di Mario Gotze prima o del portento classe 2004 Youssouf Mokouko ora. Calciatori in grado non solo di creare valore tecnico per la squadra in prima battuta, ma anche di essere degli asset facilmente monetizzabili subito dopo.

In collaborazione costante con l’akademie i gialloneri vantano anche una fittissima rete di scouting; infatti anche se non prodotti del settore giovanile, ragazzi di 18 anni cresciuti altrove, che hanno giocato in seconda serie o nei campionati minori vengono reclutati subito, bruciando la concorrenza e perciò ammortizzando di molto le spese. Per citare qualche nome che ha fatto questo percorso basta pensare a: Lewandowski prelevato dal Legia Varsavia, Sancho dalla squadra B del Manchester City o Jude Bellingham. Calciatori che salvo imprevedibili vicende di mercato – come i casi Lewandowski o Gotze – decuplicheranno il loro valore.

Proprio nell’ultima finestra di mercato infatti, per risanare un po’ il bilancio affaticato dalla pandemia di COVID-19, il Borussia Dortmund ha ceduto Sancho al Manchester United alla cifra record di 85 milioni di euro con una plusvalenza da sogno che ha subito ammortizzato le perdite generali, in particolare del botteghino. Già, perché proprio il botteghino, già citato sopra nella voce “partite” costituisce un’altra importantissima fonte di guadagno per i gialloneri, che ogni anno costantemente si classificano al primo posto della graduatoria per presenze allo stadio in Germania, facendo registrare incassi record. I tifosi si sentono (e lo sono) messi al centro del progetto anche economicamente, vedono i soldi che usano per entrare allo stadio diventare parte del sogno di una squadra giovane, forte e sostenibile.

Tifosi del Borussia Dortmund “Il muro giallo” del Signal Iduna Park. Uno dei punti di forza per la squadra, quanto per gli introiti societari. (Photo by Lars Baron/Getty Images-OneFootball)

La scuola del “modello  Borussia Dortmund”

Questo modo di fare calcio anche ad altissimi livelli è stato fonte di ispirazione per tanti. In Germania (a dir la verità in tutto il Mondo) il Lipsia – quindi la RedBull – segue da vicino questo modello: nonostante la proprietà abbia tutte le carte in regola per agire diversamente anche il colosso dell’energy-drink segue il credo dei gialloneri. Squadre sempre molto giovani, tecnici in rampa di lancio ma raramente già affermati, un continuo incassare cifre spaventose per reinvestire senza mai indebitarsi, mettere il tifoso al centro tramite stadio e merchandising.

O per un esempio ancora più “vicino” ai nostri lidi anche lo stesso Milan. I rossoneri in mano a Gazidis sembrano avere incarnato perfettamente i diktat che albergano in Westfalia. Monte ingaggi ben oculato con ritocchi di contratto calibrati, squadra molto giovane e attenta alle occasioni in giro per l’Europa, un settore giovanile in continua crescita ed espansione su cui si investe anche economicamente, il tifoso visto come un aiuto economico da mettere al centro. Così il Milan nel giro di due anni è passato dal non-giocare l’Europa League ad essere primo in campionato, con una delle migliori partenze mai viste su suolo italico.

Ma c’è di più. Infatti oltre ad essere loro stessi un’azienda perfettamente funzionante ed efficiente, questo tipo di squadre vengono viste anche come un ottimo passaggio intermedio tra la piccolissima realtà e la super big con i fior di quattrini. Basti pensare ad Haaland: il (futuro) fuoriclasse norvegese era ambito già da diversi top club (Manchester United, Real Madrid) ma ha preferito la tappa intermedia di Dortmund per continuare il suo strabiliante percorso di crescita e – a quanto pare – sta avendo più che ragione.

Haaland in azione contro il Besiktas Erling Haaland in azione contro il Besiktas. Il norvegese è l’emblema di come il circolo virtuoso intrapreso dai gialloneri è potenzialmente infinito. (Photo by Alex Grimm/Getty Images-OneFootball)

Proprio grazie a questa filosofia è difficile vedere la fine di questo periodo ad alti livelli del BvB. Nessuno è incedibile, ma chiunque verrà ceduto partirà per una cifra che lo stato maggiore del club reputi congrua. Nessuno andrà mai a prendere per il collo i tedeschi insomma. E quando qualcuno andrà via, dovesse anche essere il migliore – vedi Haaland – c’è già qualcun altro pronto a sostituirlo: o già in squadra (Malen) o nelle giovanili (Moukouko) o in giro per il Mondo, pronto a farsi trovare dallo scouting e a non far rimpiangere (troppo) chi c’era prima. E se state pensando che Haaland sia insostituibile, immaginate di essere nell’estate 2014. Quanti di voi avrebbero pensato che nel giro di cinque anni dalla partenza di Lewandowski  il (probabile) numero 9 più forte del Mondo avrebbe militato nel Borussia Dortmund?

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