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Borussia Dortmund, episodio 1: la storia

Casualmente quando si finisce a parlare di Germania, il discorso finisce inevitabilmente attorno alle birre. Il quadrato nordeuropeo Danimarca – Belgio – Polonia – Germania regala del resto sempre grandi soddisfazioni agli amanti della bevanda. Discretamente economica, piuttosto facile da bere e fondamentalmente parte della cultura tedesca come il vino per noi mediterranei. È un caso fino ad un certo punto che, un gruppo di ben 40 persone del Catholic Holy Trinity di Flurstrasse in rotta con il parroco, fondò nel 1909 il Borussia Dortmund. Borussia come il nome di un birrificio (probabilmente già in disuso) che si trovava in Steiger Strasse.

Detto del nome, condiviso tra l’altro con il Monchengladbach che abita ad un centinaio di km dal Westfalen Stadion, va spiegata anche la prima partita della storia dei biancoblu (non ancora gialloneri, attenzione). Assomiglia da molto vicino alla storia del club nel secolo successivo, fatta di gioie e fragorose cadute ad un ritmo totalmente spiegazzato. Weissen Wiese è lo stadio, avversari i concittadini del VfB Dortmund. Partita vinta 1-0, goal di tale Wienke, del quale non esistono praticamente tracce se non nel sito ufficiale del club, e partita annullata subito dopo in una maniera clamorosamente old fashioned. I giocatori del VfB fanno notare all’arbitro come due porte siano di misura diversa. Molto bene, si prende un metro e si verifica. L’arbitro va a casa di un agricoltore che abita vicino al campo a prendere una fettuccia, torna e misura. Una delle due porte è più piccola di ben 22 centimetri, partita cancellata e tutti e casa.

When you walk through a storm, hold your head up high

Come detto, gioie e guai, ma con un istinto per l’avanguardia. Per esempio, la storia del gialloneri è andata a tanto così dal chiudersi mestamente nel 1927. Heinz Schwaben, amministratore del club, mette su un aggressivo piano di crescita sportiva finanziato da un prestito di 12000 marchi. L’idea? Creare una rosa competitiva, vincere, portare più tifosi allo stadio ed autoalimentare questo circolo virtuoso. Possiamo considerarlo come uno dei primi veri investimenti nel calcio con lo scopo di creare un modello di società che si sostenesse vincendo, non certo distante dai canoni attuali ma che, per un contesto ancora poco organizzato e più simile al dilettantismo che ai pro, è un salto di prospettiva difficile da maneggiare.

Non è andata infatti esattamente così, anzi. August Busse, membro del board, è chiamato a testimoniare sulla situazione finanziaria del club, sull’orlo della bancarotta. Il prestito di Schwaben viene usato per sistemare lo stadio, il Weisser Wiese ora rinominato “Borussia Sports Elite”, e successivamente la squadra. Il rischio di bancarotta si palesa abbastanza in fretta. I risultati in campo non arrivano, i tifosi si allontanano dallo stadio ed il club rischia prima l’esclusione dalla “Ruhr League”, poi la totale chiusura. Divenuta la questione di dominio pubblico, Schwaben lascia la presidenza, non prima però di aver messo mano al portafoglio e pagato di tasca sua i 12000 marchi del prestito. Faccenda risolta, che sia di monito per il futuro.

Settant’anni dopo queste memorie aspre come una Berliner Weisse tornano prepotentemente di attualità. Lo spettro del fallimento si ripresenta a fine anni 2000, quando l’inefficiente gestione finanziaria rischia ancora una volta di mandare tutto all’aria. La storia recente del Dortmund sarà totalmente imperniata attorno a questo evento, dal quale verranno fuori le linee guida che porteranno il club ad essere quello che oggi conosciamo. Per adesso, sappiate che la situazione è talmente nera da vedersi essere costretti ad accettare un prestito di 2 milioni di euro addirittura dai rivali del Bayern Monaco.

At the end of a storm, there’s a golden sky

Va detto però, quell’iterazione del Dortmund, seppur costruita mettendo troppo spesso le mani in tasca, ha i suoi crismi di iconicità. Roman Weidenfeller, Andrè Bergdølmo, Christian Worns, Sunday Oliseh, Márcio Amoroso, Tomáš Rosický, Jan Koller tutti insieme nello stesso roster, niente male. Prima della crisi finanziaria, il Meisterschale ha fatto un ultimo viaggio a Dortmund nel 2002, con Matthias Sammer in panchina, superando un altrettanto leggendario Bayer Leverkusen all’ultima giornata. Gioie e dolori dicevamo. La partita finale con il Werder Brema riassume tutto quanto il “drama” attorno ai gialloneri. Amoroso prende una traversa, il Werder passa in vantaggio, Koller pareggia nel secondo tempo. Da lì in poi, Otto Addo colpisce un palo, Tkjikuzu una traversa. Serve Ewerthon, buttato dentro da Sammer attorno al 75′, per spiegare ai compagni come mettere la palla in porta. Dal suo ingresso in campo al 2-1 passano esattamente 49 secondi, quanto basta per incendiare la folla del Westfalenstadion come mai prima di allora.

La prima visita dell’insalatiera risale invece al lontano 1956 con Helmuth Schneider in panchina. Il match decisivo con il Karlshuer potrebbe essere un caso di studio. Tre dei quattro goal portano la firma di Niepieklo, Kelbassa e Preißler. Caso vuole che tutti e tre si chiamano Alfred e giochino sulla linea offensiva. Lo stesso identico 11 – Kwiatkowski, Burgsmüller, Sandmann, Schlebrowski, Michallek, Bracht, Peters, Preißler, Kelbassa, Niepieklo, Kelbassa – bissa la vittoria l’anno seguente. Più avanti nel tempo, il Dortmund sarà la prima squadra tedesca a vincere in Europa, battendo il Liverpool a Glasgow nella finale dell’edizione 65/66 della Coppa delle Coppe per 2-1.

Se vi dovesse capitare di poter vedere dal vivo un BVB-Liverpool, conviene farlo. Le due squadre condividono “You’ll never walk alone” come inno ufficiale, dopo che il gruppo di Dortmund ha inciso a fine anni ’90 una cover del celebre album dei “Gerry and the Pacemakers“. Una delle ultime visite dei Reds a Dortmund risale al 2001. Immaginate Matthias Kartner, cantante dei Pur Harmony, a cantare dal vivo con uno stadio intero a seguirlo a sciarpe sventolate.

Reus esulta con la maglia del Dortmund ad Anfield
L’esultanza per il gol del momentaneo 3-1 firmato da Reus nell’epico 4-3 di Anfield del 2016 (Foto: Clive Brunskill/Getty Images – OneFootball)

Walk on, walk on with hope in your heart

Detto delle gioie, torniamo ai dolori. Il Dortmund 10 anni prima del campionato vinto contro il Leverkusen (meglio, Neverkusen), si fa trovare dalla parte sbagliata della storia. I tifosi aspettano da ben 29 anni il titolo (ricordate il back-to-back con i tre Alfred?) e, all’ultima giornata, le radioline ascoltano in ansia tre campi: Francoforte, Leverkusen ed, appunto, Dortmund. Le tre squadre sono a quota 50 con la differenza reti a mettere in chiaro le questioni. L’Eintracht primo con un saldo positivo di +36 riceve l’Hansa Rostock a serio rischio retrocessione, segue lo Stoccarda a +29 in viaggio verso Leverkusen ed infine, a +18, i gialloneri che accolgono il Duisburg in casa. Chapuisat porta in vantaggio i gialloneri al 10′ e lì si rimane fino alla fine. Occhi puntati a Leverkusen quindi. Martin Kree porta avanti la squadra di casa al 20′, raggiunta solo a due minuti dall’intervallo dal capocannoniere Fritz Walter su rigore. I rossoneri nel frattempo si tirano incredibilmente fuori dalla questione andando sotto 1-0.

Matthias Sammer ed Eike Immel sono lì in campo. Il primo diventerà nel giro di 5 anni una bandiera del Dortmund e alzerà il Pallone d’Oro vestendo una delle maglie più iconiche degli anni ’90, il secondo ha difeso per 247 volte i pali del Westfalenstadion, ed arriverà a Stoccarda dietro il pagamento di 2 milioni di marchi nel 1987, al tempo un record per il ruolo. Immel arriva dove non arrivano i difensori, i difensori arrivano dove non arriva il portiere, i legni della porta tremano un paio di volte. Sammer si fa espellere al 79′ per un brusco fallo su un lanciatissimo Jorginho, lasciando i suoi in 10. Lo Stoccarda continua a crederci, colpisce un palo ed infine, passa all’86esimo con Guido Buchwald che risolve l’affollatissima mischia causata da un calcio d’angolo. La folla di Dortmund, già pronta a festeggiare, si ammutolisce di colpo.

Sammer in veste di allenatore del Dortmund
Appena due anni dopo il ritiro, Sammer diventerà allenatore del Borussia (Foto: Stuart Franklin/Getty Images – OneFootball)

And you’ll never walk alone

Non possiamo parlare del BVB senza nominare Ottmar Hitzfeld e la Champions vinta nel 1996. Matthias Sammer è già nei ranghi, ad affiancare Jurgen Kohler. Reuter e Heinrich occupano le corsie, con Paulo Sousa e Lambert a dirigere in mezzo al campo. Moller, Riedle e Chapuisat completano il terzetto offensivo, con Stefan Klos a guardare tutti dalla linea di porta. Dopo l’upset contro il Manchester United di Alex ferguson (un doppio 1-0), i gialloneri affrontano la Juventus campione uscente. I bianconeri sono favoriti ed iniziano da tali, attaccando nella prima mezz’ora di gioco. L’undici in campo di Lippi spaventerebbe chiunque.

Non poche le modifiche rispetto alla formazione vittoriosa con l’Ajax. Manca Paulo Sousa (che, per l’appunto, è dalla parte di là del campo), c’è uno Zinedine Zidane appena arrivato e Vieri-Boksic occupano il duo offensivo del 4-4-2, con del Piero che subentra al secondo tempo. Tutto ok per la Juve, finché Riedle non decide di dare una scossa alla partita. Al 30′ Lambert raccoglie il risultato di un calcio d’angolo e crossa in area. Riedle anticipa tutti e mette alle spalle di Peruzzi. Cinque minuti dopo, il numero 13 replica di testa da calcio d’angolo. I bianconeri attaccano per tutto l’inizio del secondo tempo, riaprendo i conti proprio con del Piero al 65′. Appena sette minuti dopo, Lars Ricken entra in campo e trova la via della porta dopo appena 30 secondi per il 3-1 finale. Sammer dalla pancina e Ricken in campo poi saranno testimoni oculari del decisivo gol di Ewerthon per la Bundesliga del 2002. Avranno ripensato alla finale di Champions? Probabilmente sì.

Torniamo verso i giorni nostri, alla restaurazione intrapresa da Hans-Joachim Watzke. Il presidente, oltre a rimettere a posto la situazione finanziaria, affida la squadra all’ex allenatore del Mainz, Jurgen Klopp. Gli obiettivi dell’allenatore di Stoccarda sono piuttosto chiari: migliorare il 13esimo posto della stagione precedente con il materiale a disposizione. Klopp si dimostra estremamente abile nel valorizzare i giovani in squadra, creando un sistema di calcio dinamico, proattivo e particolarmente aggressivo in fase di non possesso.

Il 2011 sarà l’anno buono per il sesto Meisterschale in bacheca, la rosa più giovane di sempre a riuscirci. Arrivando agli anni nostri il Dortmund continua a bilanciare competitività e sostenibilità economica, dimostrando un’eccezionale capacità nello scegliere e valorizzare talenti. È mancata solamente l’affermazione in Champions League, vicinissima nel 2013 quando solo un’invenzione di Robben all’89’ risolse la questione a favore del Bayern. Ma finchè ci sono idee chiare ed un metodo di lavoro efficace a metterle in pista, niente è precluso. In ogni caso, la storia insegna che, nel sole e nella tempesta, il muro giallo del Westfalenstadion sarà sempre lì a cantare.

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