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Simone Angeletti

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Il campionato della Salernitana è fondamentalmente montato sui contrasti. Contrasti evidenti, come bianco e nero. Andando in ordine: promozione diretta col secondo posto in Serie B, un mercato estivo abbastanza deficitario, che registra la perdita di alcune colonne della promozione (Casasola, Kiyine e Tutino su tutti) rimpiazzati con gli ultimi scampoli di carriera di Franck Ribéry e poco altro. Poi, la questione di Lotito che ha tenuto in bilico la squadra fino a San Silvestro, risolta in extremis con l’attuale presidente Danilo Iervolino. In pratica, la situazione a Gennaio è parecchio buia, da zombie che cammina a stenti in attesa di essere abbattuto. Intendiamoci, non i ferocissimi zombie notturni di Dying Light, ma più quei simpaticoni di Plants vs Zombies, fastidiosi il giusto. I contrasti tra chi voleva tenere Colantuono e Fabiani, in particolar modo quest’ultimo, il DS della promozione, non certo poco. Dall’altra parte la rivoluzione di Walter Sabatini e Davide Nicola, chiamati ad un’impresa disperata. Se questo è ciò che serve, che vada fatto in fretta che il tempo è poco ed i punti sul tabellone sono 8. Forse facile da dire oggi, con la Salernitana ancora in Serie A, ma quando serve talento subito e possibilmente a poco, allora Sabatini è il DS che vorresti avere al tuo fianco. Dieci sono i giocatori giunti nel mercato di riparazione, tra navigati bucanieri della Serie A (Fazio, Perotti, Radovanović, Verdi) e giovani con qualità da mettere a fuoco. Tra gli ultimi, la chiacchierata di oggi gira attorno ad Ederson dos Santos.

Dobbiamo farci delle domande. Come fa il Bologna a vendere e sostituire difensori come fossero telefonini trovandone sempre uno meglio (o comunque al pari) dell’altro? Com’è possibile che in Belgio è nato un giocatore che ad oggi sembra incamminato sulla strada dell’eredità di Toby Alderweireld e neanche due anni fa è stato sul punto di lasciar perdere il calcio? Non dobbiamo darci una risposta adesso, ma intanto ci basta sapere che Arthur Theate ha a che fare con entrambe.

Next in the line. Dopo la spettacolare vittoria del River, che consolida il lavoro strepitoso del Muñeco Marcelo Gallardo in Argentina, i club europei tornano a fare caccia grossa a Buenos Aires. Julian Alvarez è il “nuovo” nome caldo del mercato alla voce “punte mobili, di gran confidenza con la palla e con una sicurezza nei propri mezzi quasi oltraggiosa”. Non è necessariamente un nome di quest’estate, lo stesso giocatore rimarrà con ogni probabilità ancora per un po’ al Monumental.

Casualmente quando si finisce a parlare di Germania, il discorso finisce inevitabilmente attorno alle birre. Il quadrato nordeuropeo Danimarca – Belgio – Polonia – Germania regala del resto sempre grandi soddisfazioni agli amanti della bevanda. Discretamente economica, piuttosto facile da bere e fondamentalmente parte della cultura tedesca come il vino per noi mediterranei. È un caso fino ad un certo punto che, un gruppo di ben 40 persone del Catholic Holy Trinity di Flurstrasse in rotta con il parroco, fondò nel 1909 il Borussia Dortmund. Borussia come il nome di un birrificio (probabilmente già in disuso) che si trovava in Steiger Strasse.

A meno di un imponente revival della Superlega, difficilmente vedremo in Europa eventi sportivi come gli All-Star Game. Le quattro (facciamo anche cinque) maggiori leghe statunitensi organizzano in maniera estremamente seria quella che fondamentalmente è una scusa per staccare dalla lunga routine della Regular Season. Non abbiamo mai visto qualcosa del genere nel calcio, non esiste di fatto un concetto come questo nel nostro continente. Si punta tutt’oggi, a queste latitudini, sull’eccezionalità dell’espressione del talento, in una scala gerarchia che parte dal basso ed arriva fino in Champions League travalicando i confini nazionali. Differenze che vengono principalmente proprio dall’organizzazione piramidale piuttosto che dal sistema chiuso.

Non succede a tutti i diciassettenni del mondo di tornare in classe un lunedì e ricevere gli applausi dell’intera scuola. A meno che tu non ti chiami Pedro de la Vega e ti sia ritrovato in campo contro il Racing Club de Avellaneda praticamente dal nulla. Non solo, essendo stato il migliore dei suoi e giocando con l’aria e le idee di uno che fa quel mestiere lì da sempre. Non si parla neanche di adattamento, è come se letteralmente sia nato in mezzo ai ritmi del calcio argentino. O ancora meglio, di piegarli al suo volere. Luis Zubeldía ha brutalmente saltato tutti i passaggi con lui, dalle giovanili a titolare nel giro di un giorno. Da quel momento, il contributo di “Pepo” non è mai mancato. Parliamo ancora di un ventenne con tutti i suoi alti e bassi, ma i primi hanno avuto la forza di impressionare il calcio mondiale.

Come un tornado

Al di là dei capelli biondi corti e lunghi, de la Vega assomiglia ad un salto nel passato. Ala destra naturale in partenza, in poco tempo ha ampliato la sua influenza nel gioco del Lanús fino alla fascia opposta ed alla mediana. Bisognoso di associarsi con i compagni, di essere al centro dell’azione per poter creare. Dotato di ottime intuizioni anche senza palla e capace di profondere un grande impegno anche in fase difensiva nonostante un fisico ancora da teenager. Ma le vere qualità di Pepo richiedono un pallone tra i piedi per essere messe in mostra.

La sua prima partita tra i grandi racconta molto su di lui. A fine primo tempo, riceve un pallone largo sulla destra, potrebbe puntare il fondo e crossare, c’è spazio per farlo e del resto calcia quasi indistintamente con entrambi i piedi. Avrebbe anche senso, creare un’opportunità da goal in maniera piuttosto facile per un “osservato speciale” come lui porta un buon compromesso tra efficacia e sicurezza nella giocata. La forza di attrazione che la trequarti ha su di lui prende invece il sopravvento. Controlla con delicatezza e sposta la palla verso l’interno. Renzo Saravia ha, anche giustamente, ragionato in maniera preventiva cercando di chiuderlo verso la linea di fondo ma viene costretto a remare all’indietro. Due tocchi velocissimi di esterno, conta i passi e calcia col destro da fuori area. Il pallone che parte dal suo piede sorprende tutti ma non Gabriel Arias, che con un intervento plastico tira fuori il pallone indirizzato non troppo lontano dall’incrocio dei pali.

Emerge prepotentemente anche la sua tendenza a muoversi all’indietro per facilitare l’uscita di palla e raccordare. Ancora Saravia che lo marca strettissimo, de la Vega riceve il passaggio, assorbe due interventi del terzino del Racing, lo sbilancia sterzando a 180° gradi e riparte a campo libero. Vero che fisicamente deve ancora formarsi del tutto, ma la capacità di sfruttare spalle alla porta interventi così aggressivi non è assolutamente banale.

Pedro de la Vega in azione contro il Venezuela U-20
(Foto: Marcelo Hernandez/Photosport – Imago Images – One Football)

Pedro de la Vega, a caccia del pallone

Chiama e cerca tantissimo la palla, anche scendendo fin sulla linea dei mediani e ripartendo in progressione. Impressiona poi per la gestione degli spazi e dei tempi dell’azione. Non è un giocatore che carica a testa bassa palla al piede, bensì accompagna la sfera con il destro a testa alta in modo da poter decidere la scelta migliore. A volte si butta in mezzo a più difensori fidandosi, forse anche troppo, della sua agilità e del gioco di gambe, in altre, asseconda sovrapposizioni e tagli in profondità. Il Lanús di Zubedia cerca con naturalezza le combinazioni in spazi stretti, situazioni in cui l’apporto di de la Vega è fondamentale.

All’interno del sistema di gioco spicca l’ottima intesa con Nicolás Orsini in particolare. I due hanno infatti imparato in fretta come bilanciare i propri movimenti ed attaccare dinamicamente le difese avversarie. Nel teorico 4-4-2, I movimenti di Orsini verso l’esterno liberano spazio per le conduzioni interne di de la Vega, con Sand che può attaccare l’area ed una mezzala più il terzino destro a dare ampiezza. Non manca sicuramente ambizione nella sua gestione del pallone, sia quando si tratta di servire i compagni (famoso uno suo filtrante telecomandato contro il Boca Juniors) sia nel cercare in prima persona la conclusione. Non privilegia nessuna soluzione specifica da fuori area. Nel non (ancora) esteso campionario dei suoi goal troviamo sia calci a pelo d’erba verso la base del primo palo che tiri a giro.

È pronto per sbarcare in Europa? Sì, ma con calma. Se dovesse essere una questione esclusivamente tecnica, l’importante sarebbe scegliere bene quale maglia andare ad indossare. Se qualcuno lo va a prendere in questa sessione di mercato, lo fa per risparmiare potenzialmente quei 25-30 milioni in più che il costo del cartellino potrebbe presentare tra due anni. Serve però un ambiente che smussi gli spigoli del suo gioco e non richieda subito un contributo da 90 minuti . Giocare in una squadra che attacca in maniera dinamica e verticale farebbe bene al suo gioco, “costringendolo” a limitare quelle occasioni in cui, invece di dare pausa alla manovra, sembra dare proprio lo “stop”. A volte, restituisce l’impressione di voler trovare la giocata perfetta anche a costo di passarne alcune subottimali ma comunque buone. Serve anche un lavoro sul fisico che non lo snaturi ma gli dia gli strumenti, soprattutto dal busto in su, per resistere meglio ai contatti in corsa.

Francisco Pizzini del DyJ contende il pallone a Pedro de la Vega
(Foto: Nicols Aguilera – Imago Images – One Football)

Se non oggi, domani

Il suo nome ed il calciomercato hanno fatto più volte reciproca conoscenza. Molte squadre italiane lo hanno cercato già negli anni passati, partendo dal Genoa (in un affare combinato assieme all’Inter) fino ad Atalanta e Juventus. Provando ad immaginare un suo arrivo domani, la Lazio potrebbe essere una buona meta. I biancocelesti cercheranno sicuramente ali destre sul mercato ed avere un giocatore così da affiancare a Luis Alberto non è affatto una pessima prospettiva. D’altra parte, passare dal Lanús ad una squadra che vuole reinserirsi nel discorso Champions richiederebbe un salto di mentalità non indifferente e non concederebbe i tempi di adattamento necessari. Milan? Sarebbe un’ottima alternativa a Castillejo e Saelemaekers, o anche a Brahim Díaz sulla trequarti, ma vale lo stesso discorso fatto per la squadra di Sarri, in quanto potrebbe non arrivare un contributo dal primo giorno.

Atalanta o Udinese, per motivi diversi, avrebbero più modo di prepararlo gradualmente. Nel primo caso, de la Vega venne già stato accostato alla Dea come cambio di Ilicic due anni fa, idea logica tanto più oggi che non c’è più Gomez. In Friuli invece vi è un posto lasciato aperto da Rodrigo de Paul che il giocatore del Lanùs potrebbe riempire con la promessa di un potenziale offensivo paragonabile a quello dell’ex numero dieci nel giro di 2 o 3 anni. A sua volta anche la Fiorentina avrebbe rappresentato un’ottima occasione, ma l’addio di Gattuso e l’arrivo di Nicolás González hanno chiuso la questione.

C’è di certo che prima o poi lo vedremo in Europa. Le questioni sul suo futuro sono tante, ma non intaccano il suo potenziale da giocatore di élite di questo sport. Un’altra stagione in Argentina può fargli bene prima di venire da questa parte dell’Oceano Atlantico ed aprirsi la strada verso un brillante futuro.

De la Vega in azione contro la Spagna alle Olimpiadi
In attesa di approdare in Europa le Olimpiadi hanno già rappresentato una importante vetrina per l’argentino (Foto: Imago Images – OneFootball)

Questa prima versione di Europei “allargati” non sta regalando sorprese a livello di risultati, anche perché i quattro ripescaggi delle terze hanno salvato il Portogallo, ad esempio. Abbiamo avuto però la possibilità di vedere a Euro 2020 molti più giocatori confrontarsi in un contesto del genere. Gente come Goran Pandev, che ha coronato un sogno inseguito per lungo tempo con la Macedonia del Nord, talenti di livello mondiale fino ad adesso nascosti a questi palcoscenici (Andy Robertson, David Alaba) e nomi che animano la nostra Serie A (Piotr Zieliński, Aleksei Miranchuk, Ruslan Malinovskyi). Anche se la logica del gioco e del torneo prevede la progressiva eliminazione dei partecipanti, qualche giocatore non merita di uscire, quantomeno per il rendimento nei primi 270 minuti.

“Good, better, best, Never let it rest. Until your good is better, and your better is best”. L’idea di evoluzione è incastrata nelle pieghe temporali del calcio, essendo sostanzialmente il motore che manda avanti le ruote della storia. Il calcio ha avuto ed avrà le sue innovazioni che nascono da nuovi strumenti, nuovi giocatori, nuove menti che ragionano dietro a questo sport. Siamo in un momento in cui essere specializzati in una determinata caratteristica è meno conveniente del sapersi muovere in posizioni di campo diverse con tutto il carico di problemi ed opportunità che ne consegue.

Gabriel Heinze da Crespo, El Gringo nello sterminato dizionario degli apodos argentini, è una delle nuove leve tra i mister albiceleste. Una linea verde di tecnici, spesso ex giocatori di altissimo livello (Marcelo Gallardo, Gabriel Milito, Mauricio Pellegrino, Kily González, Fernando Gago, Hernán Crespo) che uniscono i metodi organizzativi europei alle particolari caratteristiche del calcio di casa. Heinze in particolare, si distingue per la meticolosità con cui affronta il suo lavoro, tanto da essere avvicinato a Marcelo Bielsa, uno che pensa calcio a qualsiasi ora del giorno.

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