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Lorenzo Masi

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Ad un anno e mezzo dall’esser diventato l’acquisto più caro della storia dell’Espanyol, Raúl de Tomás Gómez è già entrato nella gloria del club Perico riportandolo in Liga dopo un solo anno di purgatorio in Segunda, diventando il nuovo idolo dopo una stagione in cui ha polverizzato qualsiasi record con la maglia del club catalano. Ma chi è Raul de Tomas e perché a 26 anni, dopo un percorso di tutto rispetto in Liga, ha scelto di ripartire dalla seconda divisione, diventando l’MVP assoluto qualche settimana fa, per rilanciarsi e ritrovare lo smalto delle stagioni precedenti? Un segno di modestia e voglia di sacrificarsi segno delle esperienze vissute durante la sua vita, con un pizzico di vendetta nei confronti di chi forse non aveva creduto in lui in precedenza.

Dopo aver stupito in patria vincendo il campionato nel 2020 con ben 2 mesi d’anticipo, i norvegesi del Bodo/Glimt continuano a navigare con il vento in poppa verso una rotta che sta conducendo, a suon di gol, calcio spettacolare e titoli, una piccola società comunale a diventare una vera e propria corazzata di Eliteserien. Come la corrente di marea che scalfisce le coste della cittadina di Bodø, la Saltstraumen, la realtà del Fotballklubben Bodø/Glimt ha saputo mettere in piedi, con le proprie forze, una struttura capace di competere con squadre del calibro di Rosenborg e Molde, reputate sino a qualche anno fa due entità dal peso sportivo ed economico inarrivabile per un calcio ancora troppo di nicchia come quello norvegese, rompendo il duopolio in vetta durato ben sei anni.

Quando si parla di calcio, e dell’importanza che esso ricopre in tutto il mondo, si evidenzia sempre il carattere extra-frontaliero che può avere non solo per chi lo segue, ma anche per chi lo pratica, soprattutto per aspirare o diventare un professionista. Ma quanto questa frase può definirsi veritiera e quanto invece un atleta deve faticare per riuscire ad imporsi e diventare un giocatore di primissimo livello? Ci insegna qualcosa la particolare parabola di Terem Moffi, attaccante nigeriano del Lorient che compie oggi 22 anni.

Il 29 aprile in Argentina si festeggia il “Dia del Animal”, il giorno dell’animale. Tale festa viene organizzata in segno di commemorazione per la morte dell’avvocato Ignacio Lucas Albarracín, il quale spese tutta la vita per difendere i diritti degli animali. Essendo quello rioplatense un posto ricco di nomignoli e soprannomi distribuiti per qualsiasi personalità, sono da sempre tantissimi i calciatori che si ritrovano ad essere accomunati ad un animale.

Così, in alcune delle formazioni ideali che i vari siti internet si divertivano a stilare proprio in occasione di tale giorno, il soprannome di “Pulga”, ovvero la pulce, non veniva assegnato soltanto a Lionel Messi. Esso veniva piuttosto condiviso, ad ex aequo, con Luis Miguel Rodriguez, non detto “La Pulga”, bensì “El Pulga”. Se fuori dai confini sudamericani il nome del Pulga risuona quasi sconosciuto, in Argentina Rodriguez condivide con i più grandi idoli storici del paese non solo le incredibili gesta in campo, ma anche una buona dose di notorietà che gli attribuisce, di fatto, lo status di icona, a tratti pop ed a tratti figlia della bellissima storia di riscatto dell’ormai 36enne.

Luis Rodriguez, il “Messi” di Tucumán

Il primo dicembre 2018 si giocava il derby di Tucumán tra Atlético e San Martin. Il Pulga, con un gol su calcio di rigore, aveva sbloccato la contesa al Monumental José Fierro. Ciò che più destava l’attenzione, oltre all’importanza dell’incontro di cartello per eccellenza nel nord ovest del paese, era il magnetismo di Rodriguez, una star acclamata e per cui le ovazioni di tutto il pubblico biancoceleste, quello di fede Atlético, si sprecavano. Andando a ripercorrere la carriera del Pulga, oltre ad una breve parentesi nel Newell’s Old Boys, la sua vita è stata consacrata a questi colori per 11 anni, sino al 2019. Un sacrificio ed un lavoro talmente splendido da renderlo, di fatto, il massimo idolo per i tifosi del Decano.

El Pulga Luis Rodriguez
Luis Rodriguez durante Atletico Tucuman-Penarol di Copa Libertadores 2018, il suo primo torneo internazionale. (Foto: Imago Images – One Football)

Nativo di Simoca, una cittadina non lontana proprio dal capoluogo tucumano, Luis Miguel Rodriguez proviene da una famiglia molto umile, composta da 9 fratelli. Nonostante le difficoltà, il supporto di suo padre, che riuscì a comprargli comunque un paio di scarpe da calcio, lo porterà a sfiorare il sogno di diventare un professionista proprio in Italia. Perché a 13 anni il Pulga effettua una prova nell’Arezzo, in quegli anni in Serie B, e poi nelle giovanili dell’Inter per un brevissimo tratto. Un evento che rimase impresso nella memoria del giovane per vari aspetti, non tutti positivi: dall’incredibile quantità di indumenti a cui non era abituato al fatto che, durante la notte, fu portato via dal suo agente.

Oltre alla cocente delusione della partenza anticipata dai nerazzurri, al Pulga andò tutto storto in Europa, tanto da essere costretto a tornare a casa dopo varie peripezie e trasferimenti promessi ma mai realizzatisi. Tornato in Argentina, pur con l’appoggio dei genitori per continuare a credere nel suo sogno, inizia a lavorare come imbianchino, muratore e operaio, giocando a calcio nel tempo libero. La sua strada si incontrerà con quella dell’Atlético solo nel 2007, a 22 candeline già spente. L’anno successivo, grazie ai suoi 20 gol, sarà quello che segnerà la promozione del Decano in prima divisione. Seguiranno giocate incredibili, gol spettacolari, la partecipazione a competizioni internazionali e la consacrazione del Pulga come uno dei migliori giocatori di tutto il paese.

Seppur fisicamente non sia un predestinato, i suoi 167 centimetri lo rendono immarcabile per qualsiasi tipo di difesa. Perché il Pulga è un attaccante d’istinto, dalla falcata cadenzata ad alte frequenze di passi ma potente, che oltre ad essere bravo nel calciare con entrambi i piedi, anche fuori dall’area di rigore, è abile nel dribbling ed ha il gol nel sangue, da qualsiasi posizione. Togliendosi anche qualche soddisfazione di testa, aspetto che lo rende ancor più completo e calcisticamente imprevedibile.

Fuori dal campo, invece, al contrario di tantissimi suoi connazionali usciti da contesti difficili, Rodriguez ha sempre mantenuto un profilo basso, una faccia serena e sempre sorridente ed un’allure da bravo ragazzo, aspetti che lo hanno aiutato a farsi amare indistintamente da tutti i tifosi argentini, che ne hanno da sempre applaudito le gesta in qualsiasi campo. Qualcosa realmente riuscito a pochi.

“Sentimiento Sabalero”

Quando nel 2018 El Pulga Rodriguez lascia a sorpresa la sua Tucumán per trasferirsi, a 34 anni, al Club Atlético Colón, in pochi immaginano quello che succederà di lì a qualche mese. Ovvero una versione ancora migliore dello stesso Pulga, sia sul campo, da attaccante capace di rendersi moderno a seconda del calcio che gli viene chiesto, che sui social, con l’apertura di un profilo Instagram divenuto sin da subito popolare ed ultra seguito.

Citando la famosissima canzone “Soy Sabalero” dei Los Palmeras, una cumbia popolare che incarna tutto lo spirito dei tifosi santafesini del Colón, Rodriguez dimostra di intendersi alla perfezione con il popolo sabalero. Tanto da condurlo a suon di gol alla finale di Copa Sudamericana 2019, persa poi contro gli ecuadoregni dell’Independiente del Valle.

Sembrava l’ennesimo apice, uno dei più complicati da superare, ma si rivelerà invece semplicemente una tappa intermedia in una carriera ricca di scalate incredibili. Perché da quando Eduardo Domínguez è tornato sulla panchina rossonera, il Sabalero è una delle squadre che gioca il miglior calcio del paese, coadiuvato dal talento e dall’estro del Pulga. Come quando, nel novembre 2020, un golazo di Rodriguez da fuori area, scavalcando il portiere con un pallonetto d’esterno destro, farà esclamare al commentatore “pura categoria, pura magia, puro Pulga”.

Perché Luis Miguel è uno di quei calciatori dai gol impensabili, di quelli per cui il pubblico afferma “solo lui avrebbe potuto”. La magia del Pulga, e del suo Colón, sembra continuare anche nel 2021: con una spettacolare campagna in Copa de La Liga, il Sabalero si è classificato al primo posto nel gruppo della Zona A, accedendo alla fase finale perdendo due soli incontri grazie a 7 gol del suo bomber. Mettendosi dietro squadre come River Plate, Racing e San Lorenzo.

A modo suo, con un repertorio di finalizzazioni ampio e versatile, il Pulga ha dimostrato come ci si possa rendere moderni pur restando legati alle proprie caratteristiche intrinseche, di come non si necessiti forzatamente di un fisico da urlo per imporsi ad alti livelli e di come non ci sia età per progredire nella comprensione del gioco. Cercando di rompere, a modo suo, tutti quei luoghi comuni e quegli stereotipi che da un ventennio hanno spesso reso i calciatori dei cloni o delle macchine: non è solo questione di gol e statistiche, ma è anche questione di originalità e semplicità, aspetti che hanno reso Luis Miguel Rodriguez l’idolo e l’icona che è oggi in Argentina.

Il volto buono e positivo di un calcio ed un tifo a volte rabbioso che ha saputo però abbracciare la più comune storia di successo di un operaio, diventato famoso grazie alla sua voglia e tenacia per imporsi nel mondo del calcio. Tanto che anche il Boca Juniors, in cerca di una punta da molto tempo, sembra essersi mosso per cercare di portarlo alla Bombonera. Perché, come dicono in Argentina, El Pulga è uno di quei pochi calciatori che “gioca a calcio per passione, perché ama quello che fa e lo dimostra in ogni partita”.

In Argentina il talento calcistico, inteso come estro e capacità mistica di cambiare il corso delle cose, è sempre stato un qualcosa di democratico. I migliori calciatori dell’Albiceleste hanno sempre rappresentato, in maniera fedele, i tanti volti e le provincie del paese sudamericano. Ciò che invece si è sempre rivelato meno democratico è il potere calcistico, inteso come capacità sportiva, economica, sociale e politica per potersi affermare in maniera importante e vincere titoli.

Nella città di Granada, splendore e bellezza sono un aspetto palesemente visibile ogni giorno: le testimonianze arabe e ciò che la dominazione di Muhammad ibn Nasr ha lasciato al capoluogo andaluso lo hanno reso, negli anni, una pietra miliare del turismo mondiale. Che sia per la particolarità e per le pendenze dei suoi quartieri più storici o per lo strabiliante panorama visibile alle pendici della Sierra Nevada, i granadini, discendenti di quelli che un tempo si facevano chiamare Nasridi, sanno di poter stupire il mondo.

La cittadina cilena di La Cisterna e quella palestinese di Ramallah distano più di 13.000 chilometri: da una parte, un sobborgo di una capitale un tempo fiore all’occhiello di tutto il Sud America, dall’altra una città sui monti della Giudea, spesso terra di conflitti mai realmente terminati. Ciò che divide i due agglomerati sono 19 ore di volo, numerosi scali e differenti contesti socio-economici, culturali e politici. Nonostante tali differenze, La Cisterna e Ramallah costituiscono la base di una delle compagini più uniche, e talvolta controverse, di tutto il panorama calcistico mondiale: il Club Deportivo Palestino. Una società nata sì in Cile, ma con un legame che da più di 80 anni si stringe attorno alla sua terra d’origine, la Palestina. Diventando, nel corso del tempo, la rappresentazione massima di una cultura e di un’appartenenza etnica che ne fanno uno dei club più tifati nel mondo arabo.

23 Luglio 2019: Alessandro Diamanti lascia l’Italia per firmare con il Western United, in Australia. A 35 anni, per l’ex Livorno sarà l’inizio di una delle storie d’amore più belle tra un calciatore straniero ed il suo paese ospitante. Perché Alino, sfruttando un’indole schietta e genuina fuori dal campo ed un estro innato al suo interno per cercare di far crescere il mondo del calcio, comprenderà sin da subito ciò che l’Australia necessitava. Creando poi un rapporto talmente mutuale con il paese ed il movimento che lo ha condotto a diventare un’icona pop a queste latitudini. Permettendo al calcio australiano di migliorarsi in qualità, motivazioni e competitività. Perché, citando lo stesso Diamanti, “ogni match del campionato australiano diventi unico ed importante”.

A pochi giorni da un’importantissima sfida contro il PSV Eindhoven, abbiamo fatto due chiacchiere con Dario Del Fabro, difensore dell’ADO Den Haag in prestito dalla Juventus. Il nativo di Alghero, con una giovane e ricca carriera piena di esperienze europee, ci ha parlato di quali sfide siano il motore per il percorso di un 25enne. Ma anche di come conoscere, vivere e respirare le diverse culture in cui ha vissuto siano stati aspetti chiave per il suo lavoro, assieme alla passione ed al sacrificio quotidiano che gli hanno permesso di costruirsi un percorso anche al di fuori dei nostri confini e della sua amata Sardegna. E se in Scozia dicevano di “non poter mai andar oltre Del Fabro”, con il canto “It’s magic you know, you’ll never past Del Fabro!” che i tifosi gli riservavano, noi ci proviamo con quest’intervista.

È il 27 settembre 2011 ed un sorprendente Trabzonspor affronta la sua prima storica fase a gironi di UEFA Champions League. Nella prima uscita casalinga, all’Hüseyin Avni Aker, arrivano i campioni di Francia del Lille di Rudi Garcia. A bordo campo, a fare il raccattapalle ed ammirare con stupore i suoi idoli, c’è un ragazzino locale che milita nelle giovanili del club. Si chiama Yusuf Yazici, ha 15 anni e non saprà ancora che queste due compagini rappresenteranno un pezzo importante della sua carriera calcistica.

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