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Andrea Codega

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Una delle grandi verità che ci consegna il calcio degli ultimi decenni riguarda l’importanza del centrocampo nell’analisi delle potenzialità di una squadra. Anzi, per dirla in tono sentenzioso: ‘dimmi che centrocampo hai e ti dirò che squadra sei’. Una regola probabilmente non ferrea, con una serie di eccezioni che possono subitaneamente saltare alla mente, ma una tendenza piuttosto confermata da chi sta dominando in questi anni sia la Serie A che il calcio internazionale.

UEFA E FIFA, Aleksander Ceferin e Gianni Infantino. Bene, la foto l’avete vista.
Ora potremmo metterci a parlare delle questioni così tanto dibattute in questi mesi. Potremmo parlare della Superlega, di un progetto fortemente anti-sportivo nella sua struttura ma allo stesso tempo creato con l’intento di aiutare il sistema calcio a risolvere una situazione economica e finanziaria non più sostenibile. Potremmo parlare di come questa insostenibilità, dopo il grido d’allarme della Superlega, venga sbeffeggiata tra grasse risate dal Paris Saint-Germain e dai club di Premier League a dispetto di presunte regolamentazioni, segnalando una disparità rispetto a tutte le altre realtà europee che non può proseguire.

Dalla periferia del rettangolo verde al centro del gioco, nel cuore pulsante del campo: una mutazione calcistica, quella di Rodrigo De Paul a Udine, che va di pari passo con l’attesa e definitiva maturazione del calciatore. Un doppio processo definitivamente completato in questa stagione di Serie A appena conclusasi, che ci ha mostrato la miglior versione del talento argentino. La versione più continua, più qualitativa, più solida e più matura: ora Rodrigo merita la chiamata di un top club, per giocare stabilmente e finalmente, a ventisette anni, nei palcoscenici più rinomati del calcio.

La duttilità sta prendendo il sopravvento a sfavore della specificità. Questa è, probabilmente, una delle tante tendenze che sta mettendo in mostra il calcio moderno: alta intensità, tanta attenzione alla tecnica e alla qualità, ma sempre applicate alla velocità e al dinamismo. Tutte caratteristiche che vanno a caratterizzare le squadre che in questi anni hanno dominato i palcoscenici domestici e, soprattutto, quelli europei.

La pausa Nazionali appena conclusasi è stata una nuova occasione per apprezzare e ammirare il contesto tecnico-tattico costruito da Roberto Mancini, in poco meno di tre anni, con l’Italia. A meno di tre mesi dall’inizio dell’Europeo, ci sono una serie di innumerevoli motivi per essere fiduciosi sul cammino azzurro nella competizione: da quando si è seduto sulla panchina italiana, il CT è riuscito in poco tempo a innestare dei principi di gioco ben chiari e riconoscibili nella truppa azzurra, che è variata piuttosto frequentemente nel corso di questo triennio.

L’assenza di Domenico Berardi contro la Juventus nella sfida consumatasi due giorni fa allo Juventus Stadium – un fatto ovviamente influenzato da contingenze esterne, ma non essendo la prima volta è un avvenimento sempre “chiacchierato” sui social – non può che fungere da momento perfetto per parlare del nativo di Cariati e della sua carriera. Anzi, specifichiamo: della carriera di Berardi e della crescita del Sassuolo fin dal primo anno in Serie A della squadra neroverde, targato 2013/2014.

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