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Shakhtar Donetsk

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Nella faraonica campagna acquisti invernale del Chelsea – ben 178 milioni di euro spesi  per sette calciatori – l’impressione di voler rivoltare la squadra come un calzino è parsa piuttosto evidente. Un po’ per i non esaltanti risultati ottenuti finora, un po’ perché con l’esonero di Tuchel, diversi calciatori confacenti alla filosofia di gioco del tecnico tedesco sono risultati indigesti al nuovo manager, Potter. In Premier questo è possibile: a suon di milioni non si punta a far rendere investimenti del tecnico precedente, ma anzi, si cancella con forza quel passato comprandone degli altri a prezzi ancora più stellari. Probabilmente Potter ha richiesto più di un puntello nel reparto avanzato – a causa della poca stima dimostrata nei confronti di calciatori come Sterling o Aubameyang – ed è stato accontentato. Sono arrivati: Joao Felix in prestito dall’Atletico Madrid, la piccola gemma Madueke dal PSV e infine, dopo un flirt con Leao, la scelta per l’investimento forte è stata su Mudryk. Cosa cercava esattamente Potter? Perché ha virato da Leao all’ucraino?

Ci sono squadre, in questa stagione di competizioni UEFA per club, il cui destino è legato da uno strano filo rosso che poco ha a che vedere con il calcio giocato: la guerra. Sì perché in quella che dovrebbe essere una favola da condividere con i propri tifosi e la propria gente, la possibilità di affrontare compagini di rilievo e di sognare una coppa, quattro società d’Europa sono costrette dall’attualità che le circonda a giocare lontano dalla propria casa. In gergo si definiscono “refugee clubs“, club rifugiati, destinati a una vita in perenne trasferta.

Il passaggio dell’allenatore bresciano agli ucraini dello Shakhtar Donetsk è stato sicuramente tra gli argomenti più caldi nelle settimane subito successive la fine del campionato, dividendo oltretutto l’opinione pubblica tra chi ha guardato in maniera positiva ad una scelta di certo “originale”, e coloro che invece, davanti ad essa, hanno storto il naso. Checché se ne dica, con questa decisione De Zerbi ha tenuto ancora una volta fede alla propria, e personalissima, visione del calcio.

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