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CALCIO ESTERO

Il calcio secondo De Zerbi

Il passaggio dell’allenatore bresciano agli ucraini dello Shakhtar Donetsk è stato sicuramente tra gli argomenti più caldi nelle settimane subito successive la fine del campionato, dividendo oltretutto l’opinione pubblica tra chi ha guardato in maniera positiva ad una scelta di certo “originale”, e coloro che invece, davanti ad essa, hanno storto il naso. Checché se ne dica, con questa decisione De Zerbi ha tenuto ancora una volta fede alla propria, e personalissima, visione del calcio.

Diversità di vedute

È indubbio che negli ultimi anni Roberto De Zerbi sia stato l’allenatore più chiacchierato all’interno del panorama calcistico nostrano, sia per la qualità e la particolarità delle idee di gioco portate avanti, sia per una personalità non esattamente in linea con i canoni attraverso i quali siamo abituati a guardare alla figura dell’allenatore. Composto negli atteggiamenti, pacato quasi in maniera diplomatica, spesso e volentieri senza mai pronunciare una parola fuori posto, disposto a parlare solo dell’unica cosa davvero importante: il campo, dove il tecnico bresciano si è sempre contraddistinto dal resto della massa.

Si inizia a parlare di lui sin dai tempi del Foggia, i più attenti probabilmente lo ricorderanno. Roberto De Zerbi aveva appeso gli scarpini il chiodo già da un po’, quando di anni ne aveva soli 34, complice qualche infortunio di troppo, e magari perché già con la mente a quanto sarebbe dovuto venire dopo. Dopo il ritiro, infatti, aveva immediatamente intrapreso la carriera in panchina con il Dario Boario in Serie D, e dunque al Foggia, appena un anno dopo.

La prima stagione in Puglia passa abbastanza nell’anonimato, con i rossoneri che chiudono il campionato di Lega Pro in settima piazza, servendo piuttosto a preparare il terreno per l’annata successiva, quella che avrebbe portato per la prima volta il suo nome alla ribalta. L’annata è quella del 15/16 e la squadra si distingue sin da inizio campionato – poi chiuso al secondo posto, perdendo solo con il Pisa in finale playoff – per un calcio propositivo e divertente, bello da vedere, le cui stimmate si erano intraviste già nella stagione precedente, ma che ora si mostra nella sua completezza.

I principi alla base sono gli stessi che poi abbiamo avuto modo di conoscere prima a Benevento e poi a Sassuolo. La pressione alta, il possesso palla alla continua ricerca di spazi tra o dietro le linee, il fraseggio negli spazi stretti e le verticalizzazioni sugli esterni, componenti di cui è quasi superfluo ma sempre utile ricordare, con il solito 4-2-3-1 a far da cornice al tutto. A Foggia i paragoni vanno ovviamente a parare con un altro passato da quelle parti, e che di convenzionale invece non ha proprio mai avuto nulla, Zdenek Zeman. D’altronde hanno un punto in comune di certo non banale, quello di far divertire la gente che va allo stadio.

Come detto siamo a cavallo tra il 2015 e il 2016, un momento in cui il calcio italiano (Juventus a parte) fa ancora parecchia fatica, e in cui fatta eccezione per rare realtà (ad esempio l’Empoli di Sarri) si fa fatica a trovare squadre che giochino un calcio davvero piacevole da vedere, e che metta la maniera in cui si vince, e dunque il gioco, al primo posto, ancor prima della vittoria stessa. Ecco perché il nome di De Zerbi inizia a girare sempre con più insistenza ai più svariati livelli. Del resto il diverso non può che incuriosire, e la figura dell’allora tecnico rossonero non ha nulla a che vedere con quanto era consuetudine.

Con il passare degli anni il pensiero dell’allenatore bresciano è andato continuamente evolvendosi – in alcuni casi rischiando anche una temibile estremizzazione -, ma senza mai corrompere i suoi principi basilari. Ideali che lo hanno spinto sempre più verso l’alto, prima nella sfortunata esperienza al Palermo, poi al Benevento e al Sassuolo, con i traguardi raggiunti che non sta certo a me ribadire perché noti a tutti, e ora infine allo Shakhtar Donetsk.

Roberto De Zerbi a Sassuolo
Dove ha plasmato il suo Sassuolo (Foto: Massimo Paolone/LaPresse/Imago Images – OneFootball)

De Zerbi-Shakhtar, il perché di una buona scelta

Di fronte alle indiscrezioni prima, e alla conferma poi, del possibile approdo dell’ormai ex tecnico del Sassuolo a Donetsk in molti hanno storto il naso, magari perché avrebbero voluto vederlo con una big del nostro calcio, o magari semplicemente etichettando il passaggio in Ucraina come una sorta di fuga dalle aspettative create. Altri invece hanno avuto la lucidità di comprendere come lo Shakhtar potesse essere un ambiente più che ospitale per la visione del calcio di De Zerbi – che a sua stessa detta a Sassuolo invece non avrebbe trovato ulteriori margini di ampliamento.

Ed in effetti la filosofia della squadra ucraina è decisamente compatibile, quantomeno sulla carta, con quella del nuovo allenatore. Il club ha infatti intrapreso ormai da anni  un processo di “occidentalizzazione”, se così si può chiamare, che in una prima fase ha coinvolto l’organico della squadra, poi a varie riprese anche la panchina – qualcuno ricorderà anche la seppur breve parentesi in Ucraina di Nevio Scala – e che ha subito una decisiva accelerazione dall’arrivo di Mircea Lucescu nel 2004. Se oggi lo Shakhtar si presenta infatti come una squadra a tinte internazionali, grandissima parte del merito è proprio dell’allenatore romeno, che nella sua esperienza ultradecennale sulla panchina della squadra è riuscito ad ampliare la visione del club, e a incanalare nella giusta maniera la mole di talenti (soprattutto sudamericani) importati dalla dirigenza.

De Zerbi troverà dunque una realtà più che aperta ad accogliere la sua idea di calcio, che gli concederà il giusto tempo perché questa venga messa in pratica. Inoltre l’allenatore italiano troverà a disposizione una rosa con un tasso qualitativo di gran livello, formata in buona parte da elementi congegnali al suo calcio. La squadra ha in particolare dalla metà campo in poi una batteria di calciatori che per caratteristiche tecniche e mentali dovrebbero risultare perfetti ad attuare il calcio portato in dote dal nuovo allenatore. Discorso diverso sarà nel reparto difensivo, dove invece ci sarà da fare degli innesti non tanto sui terzini quanto sui centrali, troppo poco confidenti nel giocare il pallone e costruire manovra dal basso.

Ulteriore incentivo ad aver spinto De Zerbi verso questa scelta sono le differenti prospettive rispetto a quelle che avrebbe avuto prendendo la carica di una delle prime 6/7 compagini del nostro campionato. Innanzitutto avrà modo di lavorare in tranquillità, elemento fondamentale per un progetto come il suo, che comunque ha bisogno di tempistiche medio-lunghe per essere messo in pratica. E come se non bastasse, avrà la possibilità di confrontarsi con i massimi livelli del calcio europeo, dato che (salvo eliminazioni impreviste ai preliminari) lo Shakhtar dovrebbe partecipare alla prossima fase a gironi di Champions League.

La coerenza di De Zerbi

Considerando tutto ciò non si può certo biasimare la decisione dell’allenatore bresciano. Fare la scelta giusta dopo l’esperienza al Sassuolo non era certo cosa facile, e non è detto che lo Shakhtar si rivelerà tale alla fine. Ma è indubbio che, ancora una volta, De Zerbi abbia tenuto fede alla sua linea di pensiero, scegliendo la destinazione che potenzialmente gli avrebbe permesso di esprimere più liberamente e al meglio la sua idea di calcio.

La sfida è ovviamente di quelle importanti, dovesse fallire la sua figura di allenatore – che rimane ancora da consolidare completamente – accuserebbe un ridimensionamento. D’altro canto, in caso di successo si vedrebbe affermato a livello internazionale, e nel caso decidesse di tornare in Italia per allenare una big, lo farebbe da vincitore. Ma anche nell’eventualità in cui volesse provare un’altra avventura, di certo le richieste non mancherebbero. Dunque tutto sommato si può affermare che in questo caso il gioco valga davvero la candela.

Il confronto con una realtà così diversa – non tanto calcisticamente quanto a livello umano – e comunque così importante come quella degli ucraini non sarà roba da poco, soprattutto dopo aver abbandonato quello che oramai era un nido familiare. Quel ch’è certo è che si prospetta un’avventura affascinante, di cui personalmente non vorrò perdere nemmeno un episodio, come fosse una serie tv. Magari un domani verrò smentito, ma per me ci sarà davvero da divertirsi.

Roberto De Zerbi
Una nuova sfida (Foto: Nicol Campo/Imago Images – OneFootball)
Autore

Terzino da paese in campo, fantasista sulla tastiera. Segnato fin da bambino dalle lacrime di Ronaldo del 5 maggio, ha capito subito che la vita da interista sarebbe stata dura. Scandisce il tempo in base alle giornate di campionato, sperando un giorno di poter vivere di calcio e parole.

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