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Come spiegarsi l’inattività di Allegri

È passato più di un anno e mezzo dall’ultima panchina di Massimiliano Allegri. Precisamente la panchina in questione era quella della Juventus e l’ultimo match un anonimo Sampdoria-Juventus di fine maggio. Un quinquennio di enorme successo, in cui la Juventus e il tecnico livornese hanno fatto incetta di vittorie – perlomeno in Italia – e si sono conquistati lo status di big del calcio europeo.

Tuttavia, le schiaccianti vittorie ottenute in ambito nazionale e gli ottimi risultati ottenuti in campo europeo non hanno garantito ad Allegri la chiamata di una big in questo lasso di tempo. Le occasioni non sono certo mancate, visto che in questo periodo si sono liberate a turno panchine come quelle di Barcellona, PSG, Chelsea e Bayern Monaco. Nessuno ha davvero interpellato il tecnico livornese? E, se così fosse, perché? Per cercare di analizzare le motivazioni di questo (probabile) disinteresse di tutti i top club nei confronti di Allegri, bisogna scavare a fondo su entrambi le parti in causa.

Allegri oratore vs Allegri allenatore

Per provare ad analizzare e dunque comprendere a fondo ciò che è Allegri, bisogna praticare una difficile ma attraente distinzione tra come allena e tra come dice di allenare. Tra quello che fa in campo e quello che veicola attraverso interviste ed uscite pubbliche. E soprattutto, per comprendere questa diversità, questa voglia di disegnarsi da vero anti-eroe di un calcio meno edibile a tutti, bisogna andare a ricercare l’origine di questa dicotomia.

Allegri con il trofeo dell’ultimo Scudetto vinto (Foto: Tullio M. Puglia/Getty Images – OneFootball)

Intendiamoci, Allegri già nel 2014 parlava di un modo di allenare molto incentrato su schemi generali, ma che aspettava la linfa dell’estro del singolo per completarsi. Ma ancora non si era espresso in iper-semplificazioni finalizzate a dividere l’opinione pubblica in due: i filosofi – son tutti teorici – e i pratici. Questa polarizzazione è frutto di un duello tecnico (tra la sua Juve e quella di Maurizio Sarri) e dialettico (tra lui e Adani ai microfoni di Sky) ed ha come big bang la stagione 2017/2018. Lo Scudetto più sudato della gestione del livornese a Torino è stato anche quello che ha lasciato più strascichi.

Da quella stagione in poi, bisogna tracciare un solco e ammettere che Allegri si è un po’ lasciato andare più a (comprensibili) scarichi emozionali che a vere proprie interviste. A corroborare questa tesi è l’analisi di partite di tutte le stagioni in bianconero: si può notare come il ventaglio tattico che è riuscito a far esprimere alla squadra nel suo quinquennio sia stato vasto e comprensivo di modi di giocare variegati ed evoluti. 

Nel primo gol della semifinale d’andata della Champions League 2015 – la prima giocata da Allegri sulla panchina della Juventus – è piuttosto chiaro come il tecnico possegga e sappia maneggiare i principi del Juego de Posición.

Va certamente precisato che quella era anche una Juve molto più dotata tecnicamente, specie nella zona nevralgica del campo, rispetto alle versioni successive. Questa precisazione è fondamentale per comprendere la qualità più caratterizzante dell’ex allenatore bianconero: l’ottimizzazione del materiale umano. Allegri, infatti, plasma la squadra sulle intuizioni (o occasioni) di mercato della società. In sede di mercato, più che ricercare caratteristiche, dà indicazione di ricercare punti. Sembra una citazione da “Moneyball” – e lo è -, ma nel suo libro Allegri dice spesso di consultare i numeri dei falli fatti, i duelli aerei vinti o di considerare molto importante il numero di gol nei piedi dei suoi calciatori. Attraverso questi si arriva a vincere nel modo a lui più congeniale.

Un calcio fraseggiato come nella semifinale sopracitata, oppure un calcio più diretto e verticale che usa l’intuizione di Dybala come pietra angolare. La stagione 2016/2017 – che con gli innesti di Higuain e Pjanic doveva poggiarsi sulla sicurezza del centrocampo a 3 – è un altro paradigma della bravura di Allegri che, a gennaio, intuisce che ci vuole un gioco più diretto, un centrocampo più dinamico e la possibilità di creare e moltiplicare palloni puliti per Higuain diversificando le situazioni. Da qui nascono Mandzukic ala sinistra e Pjanic cinco.

Ma ci sarebbero tante partite, tanti momenti, tante competizioni da citare per rendere giustizia al lavoro fatto dall’ex mister bianconero. L’aggettivo che sicuramente calza più a pennello per definire il tecnico toscano è pragmatico. Ma una volta trovatosi un avversario fortemente attaccato a principi di gioco codificati e difficilmente modificabili, anziché cercare un dialogo con gli addetti ai lavori – o in generale con tutti i calciofili -, ha preferito chiudersi a riccio. In frasi semplicistiche e dirette, atte solo ad attaccare e a parlare di vittorie come unica cosa che move il sole e le altre stelle.

Ingaggiare Allegri: sì, ma quale?

In economia, domanda e offerta intendono l’acquisto e la vendita di beni o servizi. Per permettere a chi è in cerca di occupazione di trovare più facilmente un lavoro sono state create piattaforme come Linkedin, dove, chi ha determinate abilità, può mostrarle e mettersi in contatto con tutte le primarie realtà aziendali nazionali e internazionali. Ecco, adesso fate riferimento a quanto detto in questo piccolo excursus di carattere economico-giuslavoristico e inserite i nomi al punto giusto. Perché i datori di lavoro, cioè coloro che necessitano della prestazione, sono in questo caso le società (le big europee), mentre chi offre la prestazione è in questo caso Massimiliano Allegri.

Ma, come su Linkedin si sta attenti a cosa inserire nella bio, a scegliere la foto giusta e il formato giusto del proprio CV, il tecnico livornese non si è accorto che la sua dialettica, il suo modo di raccontarsi come portatore del calcio pane&salame lo ha reso poco appetibile. Perché? Perché un grande club, anche per questioni prettamente di immagine, vuole affidarsi ad allenatori bravi sì – e questo Allegri lo è di sicuro -, ma anche con una forte identità. Un’identità non rinnegabile. La questione è sottile, perché potrebbe passare per un rifiuto alla flessibilità e al pragmatismo. Potrebbe anche reggere come tesi se il PSG non avesse ingaggiato Pochettino, tecnico con principi di calcio assolutamente proattivi ma molto malleabili e flessibili. Invece, specie all’estero, l’Allegri allenatore è diventato la stessa persona dell’Allegri personaggio. Lui stesso ha svalutato la sua bravura, banalizzandola.

Allegri in conferenza stampa (Foto: Emmanuel Dunand/AFP via Getty Images – OneFootball)

Bisogna anche mettersi nei panni dei proprietari delle squadre che a turno hanno liberato la panchina. Cosa ne pensereste di affidare i vostri capitali in mano a qualcuno che – con un piglio a tratti luddista – dice le cose si trovano, si toccano, non importa essere troppo elettronici“? Oppure che ha affermato a più riprese che la parte tattica offensiva non vada allenata, perché deriva dall’intuizione e dalla genialità del singolo? Perché nella prima frase Allegri ci spiega che le valanghe di soldi che ogni società spende per avere tecnologia all’avanguardia non siano ben spesi.

Nella sua idea, basta avere un allenatore (o uno staff) con l’occhio giusto: una qualità intangibile. E chi spende capitali vorrebbe che questa tipologia di variabili si possa ridurre per avere un risultato più sicuro, anche in uno sport a basso punteggio e quindi imprevedibili di per sé come il calcio. Nella seconda c’è quasi l’ammissione di un qualcosa dove la maggior parte dei suoi colleghi lavorano e che lui dice di non fare. Contraddizioni enormi, soprattutto guardando le partite delle sue squadre: Allegri vuole sì che al calciatore sia lasciata una parte creativa e intuitiva, ma come corollario di un gioco tattico fallito o ben disinnescato dagli avversari.

Un’altra chance italiana?

Per ovvi motivi anche logistici – traduzione e contestualizzazione delle interviste – la situazione in Italia è un po’ diversa. Qui Allegri ha sicuramente ancora moltissimi estimatori. Dopo lo sfogo di Conte post-finale di Europa League si era parlato di Inter, dopo il litigio tra Fonseca e Dzeko di un incontro tra Thiago Pinto e il tecnico livornese, così come spopolano in rete teorie che lo rivorrebbero anche alla guida della stessa Juventus in caso di dipartita di Pirlo. Ma una volta tornato ad allenare in Italia, per rendersi nuovamente appetibile all’estero, è fondamentale che Allegri riabiliti la sua immagine davanti ai microfoni e sulla carta stampata. Non dovrà solo migliorare nella gestione delle energie psico-fisiche della squadra – vero tallone d’Achille di almeno due sue grandi compagini (Milan 2011/2012 e Juventus 2018/2019). Non dovrà solo dimostrare (di nuovo) di essere in grado di portare la squadra oltre i limiti della precedente gestione, come fatto con la dimensione europea della Juve 2014/2015.

Allegri
Qui nel ritorno contro l’Atletico Madrid, una delle sue imprese più epiche, firmata da un’intuizione geniale come Emre Can braccetto di sinistra del 3-5-2 (Foto: Marco Bertorello/AFP via Getty Images – OneFootball)

Alle vittorie – che indubbiamente come detto da Guardiola dipendono anche dalla qualità dei singoli – dovrà affiancare anche una certa sensibilità nel porsi con gli addetti ai lavori. Il risultato non dovrà essere accantonato, Allegri già oggi meriterebbe una panchina prestigiosa, ma per arrivare veramente a (ri)salire in sella dovrà riuscire a farsi apprezzare per quello che è sempre stato, non per come si è disegnato. Un allenatore pragmatico, ma non per questo poco attento ai particolari o poco avvezzo ad usare sistemi di gioco complessi e variegati.

4 Commenti

  1. Matteo Casartelli Reply

    Facilissimo da spiegare.. è semplicemente scarso.. la juve gliel’ha lasciata Conte.. al Milan è riuscito a far perdere un scudetto a Ibrahimovic (cosa mai successa fino ad allora).. Allegri è SCARSO

    • Matteo Speziale Reply

      Ciao Matteo mi sembra un pochino audace definirlo scarso. Sicuramente ha delle criticità (come tutti) ma ha anche ottenuto risultati molto importanti. Aldilà dei 5 scudetti vinti con la Juve(i quali non sono comunque trascurabili), al contrario di Conte, ha spinto una squadra pressoché identica alla finale di UCL e si è arresa ad un Barcellona fortissimo solo in finale. In più “perdere lo scudetto a Ibra” mi sembra una leggera banalizzazione: il Milan è incappato in una stagione molto sfortunata quell’anno tra infortuni ed episodi particolari e ha trovato di fronte una Juve che giocava un calcio arioso e brillante con diversi giocatori in annata di grazia e senza l’impiccio delle coppe. Ti ringrazio lo stesso per il commento, il confronto è sempre motivante per la crescita. Spero continuerai a seguire i nostri articoli, a presto

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