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AMARCORD

Quando lo Zambia riscrisse la propria storia

Questa è la storia di una squadra che ha sempre dovuto combattere per farsi valere. Una formazione che fin dalla sua nascita è stata considerata la sfavorita, quella che doveva sfruttare il proprio coraggio e la propria passione per sopperire alle possibilità limitate. Una combinazione di caratteristiche che le hanno permesso di sopravvivere all’inferno per poi riuscire a toccare il cielo con un dito a distanza di parecchi anni. Una nazionale che ha il numero 18 nel proprio destino e che ha scritto la propria storia come se fosse una narrazione fatta di eventi irripetibili. Questa è la storia dello Zambia: i Proiettili di rame guidati alla vittoria da Hervé Renard nella Coppa d’Africa 2012.

Zambia: 1964-1993

La nazionale zambiana esordisce nel 1964 e nel giro di dieci anni ottiene i primi risultati importanti. Nella Coppa d’Africa disputata in Egitto nel 1974 arriva in finale, perdendo contro lo Zaire. Nel 1982, durante l’edizione della competizione continentale organizzata in Libia, raggiunge la semifinale e vince la finale per il terzo posto contro l’Algeria. Quattro anni dopo, lo Zambia viene messo sulla mappa internazionale. Sono le Olimpiadi di Seul, i Chipolopolo arrivano fino ai quarti di finale, venendo poi eliminati dalla Germania Ovest. Le prestazioni degli zambiani rimangono impresse negli occhi dei presenti in Corea del Sud e di coloro che si trovavano davanti alla tv. A risaltare tra tutte le partite c’è l’incredibile 4-0 rifilato all’Italia durante la fase a gironi, con una tripletta del calciatore zambiano più forte di sempre: Kalusha Bwalya.

Nella Coppa d’Africa del 1990, lo Zambia va KO in semifinale contro la Nigeria, vincendo poi la finale per il terzo posto contro il Senegal. Due anni dopo, la Costa d’Avorio (vincitrice del torneo) interrompe il cammino degli zambiani ai quarti di finale della Coppa d’Africa disputata in Senegal. I Proiettili di rame continuano a seguire il loro cammino fatto di obiettivi biennali nel tentativo di inserirsi tra le nazioni africane più forti, ma con un occhio puntato anche oltre i confini del proprio continente. Se nel 1988 l’obiettivo erano le Olimpiadi di Seul, nel 1994 gli sforzi sono concentrati sul disputare i Mondiali statunitensi. Durante la prima fase di qualificazione alla competizione, lo Zambia dimostra di essere in palla. Primo posto nel proprio girone con tre vittorie e una sconfitta. Si va a Dakar, in programma c’è la prima partita della seconda fase di qualificazione per USA ’94.

27 aprile 1993. Lusaka, Zambia. Il De Havilland Canada DHC-5 Buffalo dell’aeronautica militare zambiana è pronto a trasportare la squadra in Senegal. L’equipaggio del velivolo è reduce da un viaggio alle Mauritius per una precedente partita dello Zambia. Sono previsti tre scali per il rifornimento: Brazzaville in Congo; Libreville in Gabon e Abidjan in Costa d’Avorio.

L’aereo atterra in Congo per la prima sosta ma i piloti riscontrano dei problemi al motore. Il volo però riparte e continua fino allo scalo in Gabon. A Libreville i problemi si fanno più evidenti, tanto che la sosta per il rifornimento causa un ritardo di quasi due ore sulla tabella di marcia. Le lancette dell’orologio segnano le 22:45, l’aereo può ripartire. Qualche minuto dopo il decollo, il motore sinistro esplode. Chi stava cercando di riposare, si sveglia di soprassalto. Chi, invece, non stava dormendo, va nel panico. Il pilota non è nelle condizioni psicofisiche per guidare il velivolo e la strumentazione di bordo non gli offre il supporto adeguato. Nota l’incendio al motore ma, invece che spegnere il propulsore danneggiato, spegne l’altro. L’aereo entra in stallo. Perde immediatamente potenza e precipita. Una palla di fuoco punta verso l’Oceano Atlantico, a circa 500 metri al largo di Libreville. L’impatto è di una violenza disumana. L’aereo in fiamme si disintegra istantaneamente al contatto con l’acqua, mentre per i passeggeri non c’è niente da fare.

“L’orrore! L’orrore”. Queste parole sono state pronunciate dal Signor Kurtz all’interno di Cuore di Tenebra – scritto da Joseph Conrad – ma possono essere state dette anche da chi si trovava sulla terraferma e assisteva allo scenario catastrofico che l’oceano avvolto nell’oscurità presentava di fronte ai loro occhi. L’orrore raccontato da Conrad è però diverso da quello vissuto dalle persone presenti sulle rive dell’Atlantico in quella terribile notte di aprile. Un groviglio di metallo inabissato nel mare che ricorda quanto la portata di disastri del genere possa lasciare impotente un essere umano. 30 morti, nessun sopravvissuto. 18 calciatori, 4 membri dello staff tecnico, l’intero equipaggio e altre 3 persone (un giornalista, un dipendente pubblico e il presidente della federazione zambiana). Il calcio zambiano non esiste più, è stato cancellato. Il dramma di una squadra diventa quello di una nazione intera. Ci sarà bisogno di ricostruire da zero, ci sarà bisogno di rinascere.

La rinascita dei Chipolopolo

Dopo un disastro del genere, non esiste una minima possibilità che lo Zambia possa partecipare nuovamente a una competizione ufficiale in breve tempo. Ma gli dei del calcio sanno essere bizzosi e decidono di stravolgere ogni aspettativa. Nel giro di pochi mesi, rinascono i Proiettili di rame. Non riuscendo a centrare la qualificazione ai Mondiali di USA ’94, l’obiettivo è la Coppa d’Africa dello stesso anno in Tunisia. La squadra viene costruita intorno ai sopravvissuti all’incidente (i fratelli Kalusha e Johnson Bwalya, oltre a Charles Musonda che non si trovavano sull’aereo al momento della tragedia), recuperando giovani calciatori da far crescere in fretta sotto la guida del danese Roald Poulsen (offerto dalla Danimarca come appoggio strutturale). Avviene l’incredibile. Poulsen organizza una formazione che gioca un calcio offensivo e spensierato, riuscendo a trascinare la squadra fino alla finale. Lo Zambia è la rivelazione del torneo ma viene sconfitto in finale dalla Nigeria. Nonostante il risultato deludente, i Chipolopolo vengono accolti al rientro a casa come eroi nazionali.

Gli anni successivi sono delle montagne russe in fatto di performance. Alcuni buoni risultati tra il 1994 e il 1996, poi la crisi decennale iniziata nel 1998. Nel 2008 arriva sulla scena un uomo che sembra più un attore che un allenatore. È un francese che trasuda carisma e che sostiene i suoi giocatori a bordo campo con un numero di decibel abbastanza alto da riuscire a farsi sentire pure a casa propria in Francia. La sua idea di calcio è plasmata sui calciatori a disposizione. Un concetto è fondamentale: il gruppo è più importante del singolo. Per una nazionale in piena fase di rinascita, è un concetto importantissimo da tenere a mente. Il condottiero si chiama Hervé Renard e guida la squadra fino al 2010, riuscendo a portarla ai quarti di finale della Coppa d’Africa di quell’anno (eliminata ai rigori dalla Nigeria).

Dopo una pausa di un anno, Renard torna alla guida dello Zambia per la Coppa d’Africa 2012. Il 4-4-2 semplice e ordinato, fondato sulle idee dell’allenatore, garantisce i risultati sperati sin dalle qualificazioni. Quattro vittorie, un pareggio e una sconfitta che si traducono in primo posto nel gruppo C (composto anche da Libia, Mozambico e Isole Comore). Lo Zambia strappa il pass per la competizione continentale. È nel gruppo A, con Guinea Equatoriale, Senegal e Libia.

L’avventura inizia subito con una vittoria per 2-1 contro il Senegal. Poi il pareggio 2-2 contro la Libia, in una partita giocata nell’acquitrino dell’Estadio de Bata che ha messo in grossa difficoltà la compagine allenata da Renard. Con la vittoria per 1-0 contro la Guinea Equatoriale, lo Zambia certifica la qualificazione alla fase ad eliminazione diretta. Nei quarti di finale, gli zambiani dominano contro il Sudan: 3-0. Si va in semifinale. È una partita molto difficile per i Chipolopolo, il Ghana sembra essere più forte.

Dopo pochi minuti, le Stelle nere rischiano di passare in vantaggio grazie a un calcio di rigore, ma il portiere Mweene para il tiro di Asamoah Gyan. Lo Zambia reagisce e va vicino a segnare, ma i ghanesi sono superiori dal punto di vista del gioco. Renard spinge però i suoi a crederci, nonostante le difficoltà.

Hervé Renard
Hervé Renard (Foto: Christian Liewig/PanoramiC via Imago – OneFootball)

77° minuto: gli equilibri saltano per aria improvvisamente. La difesa ghanese sbaglia un rinvio, il pallone viene intercettato da Chansa che serve subito Mayuka al limite dell’area di rigore. L’attaccante zambiano protegge spalle alla porta e calcia a giro senza praticamente guardare. La palla punta verso l’angolino, tocca il palo e finisce in rete. È 1-0 per lo Zambia. Incredibile. Il Ghana si riversa in attacco per cercare di pareggiare. Un mischione laocoontico nell’area di rigore avversaria durante gli ultimi minuti della partita rischia di mandare dal cardiologo i tifosi zambiani, ma la difesa riesce a respingere il pericolo. Missione compiuta: i Proiettili di rame vanno in finale.

La sfida contro il destino

12 febbraio 2012. Stade d’Angondje, Libreville (Gabon). Zambia – Costa d’Avorio. È uno scontro tra talento e organizzazione. La Costa d’Avorio col suo 4-3-3/4-2-3-1 che si fonda sul pilastro centrale formato da Kolo Touré in difesa, il fratello Yaya a centrocampo e Drogba come centravanti; lo Zambia con il suo 4-4-2 ordinato ed essenziale. Il gruppo guidato da Renard gioca facendo di necessità virtù. Privilegia una rigida organizzazione in entrambe le fasi di gioco, cercando di sfruttare i calci piazzati in attacco e puntando sulla densità nella zona centrale del campo in difesa. Questa scelta costringe gli ivoriani a un possesso palla sterile che si sviluppa in orizzontale, in quanto presi alla sprovvista dall’intensità organizzata degli zambiani. Solo Yaya Touré riesce a smarcarsi grazie al suo continuo movimento in verticale tra centrocampo e attacco, creando pericoli alla retroguardia zambiana. I ritmi compassati vanno bene ai Proiettili di rame ma non alla Costa d’Avorio, che ha sempre proposto un gioco veloce durante il torneo.

Al 70′, cambiano gli equilibri. Gervinho converge da destra verso il centro, entrando in area di rigore. Punta la difesa schierata, trovando uno spiraglio tra il terzino sinistro e il centrale difensivo ma viene travolto alle spalle dall’arrivo in ritardo del centrocampista Chansa. L’arbitro non può far altro che fischiare il calcio di rigore. Sul dischetto: Didier Drogba, uno che sei anni prima aveva già sbagliato un calcio di rigore durante la finale (poi persa) contro l’Egitto. Drogba si ripete anche stavolta, calciando il pallone sopra la traversa.

Si resta sullo 0-0. Renard inizia a crederci sempre di più, urla dalla panchina le disposizioni tattiche per rinforzare ulteriormente la zona centrale del campo in fase difensiva e per attaccare sugli esterni in quella offensiva. La partita sembra essersi sbloccata. La Costa d’Avorio cerca di trovare qualche soluzione nuova in avanti ma senza successo. Lo Zambia, forse rinvigorito dal pericolo scampato, rischia di segnare nei minuti di recupero. Kolo Touré cancella il tiro in area di rigore di Mayuka con un intervento provvidenziale.

Resiste il pareggio a reti bianche. Si va ai tempi supplementari. In questi 30 minuti di gioco entrambe le squadre attaccano con poca lucidità e con un’evidente carenza di idee. Gli ivoriani alternano i tiri dalla distanza ai lanci lunghi in area di rigore per Drogba e Bony. Gli zambiani, invece, puntano sull’intesa in velocità dei fratelli Katongo che costruiscono una mastodontica occasione da gol sciupata al 95′. Lo Zambia è andato a pochi centimetri da una vittoria insperata ma, evidentemente, la sofferenza è nel DNA di questa nazione. Al termine dei 120 minuti, arriva inesorabilmente il momento della lotteria dei calci di rigore.

Christopher Katongo dello Zambia
Christopher Katongo marcato da Siaka Tiéné (Foto: Christian Liewig/PanoramiC via Imago – OneFootball)

I primi quattro rigori vengono trasformati da entrambe le squadre. I giocatori della Costa d’Avorio patiscono la tensione, quelli dello Zambia cantano e pregano con un filo immaginario che unisce le panchine al cerchio di centrocampo. Sul punteggio di 2-2, tocca a Sol Bamba. L’ivoriano calcia male e il suo tiro viene parato da Mweene. Gli zambiani esultano, ma l’assistente richiama subito l’attenzione dell’arbitro. Il portiere non aveva i piedi sulla linea al momento del tiro, il calcio di rigore dev’essere ripetuto. Bamba cambia idea rispetto al tentativo precedente e sceglie la strada più sicura: una bomba centrale sotto la traversa. Non sbaglia. 3-2. Le due squadre segnano tutti i calci di rigori della serie. Addirittura, Mweene spiazza con una tranquillità esemplare il collega Barry, segnando la rete del 5-5. La tensione cresce esponenzialmente. Si va ad oltranza, chi sbaglia va a casa.

La serie riprende senza errori dal dischetto. Sul punteggio di 7-7 c’è poco da programmare, ogni tiro potrebbe essere quello decisivo. I calciatori vengono scelti al momento in base alla loro condizione psicofisica. Per la Costa d’Avorio si avvicina all’area di rigore Kolo Touré. In teoria, ci sarebbe dovuto andare Gervinho ma, nonostante le grida dell’allenatore, ha preferito non assumersi la responsabilità del tiro dagli 11 metri. Touré prende una rincorsa chilometrica, ma si fa parare il rigore da Mweene. Per lo Zambia è l’occasione della vita. I giocatori in panchina e nel cerchio di centrocampo sono in estasi, continuano a pregare e cantare. Si presenta sul dischetto Kalaba. Il numero 17 però spedisce il pallone nell’Oceano Atlantico. Si resta sul 7-7, entrambe le squadre si sono giocate il proprio jolly.

Lo Zambia
I calciatori dello Zambia in preghiera durante i calci di rigore (Foto: Christian Liewig/PanoramiC via Imago – OneFootball)

Ora Gervinho non può più tirarsi indietro, deve calciare per forza. Drogba concentra in pochi secondi il discorso motivazionale della vita, ma la faccia di Gervinho non esprime sicurezza. Nel frattempo, il dischetto del rigore sembra una pista di motocross ma Gervinho non presta attenzione a questo dettaglio. Prende la rincorsa e calcia, aprendo il piattone. La palla cambia traiettoria a causa delle zolle sull’erba e finisce fuori. Rigore sbagliato e punteggio che rimane in bilico. Per lo Zambia il rigorista è Sunzu. Ha incanalato le preghiere dalla panchina e ha portato con sé i canti dal cerchio di centrocampo all’area di rigore. L’ansia e la tensione sono devastanti in quegli istanti.

Visto il momento, il pallone ha il peso specifico di una palla medica, ma a Sunzu non importa. Continua a cantare mentre sistema il pallone sul dischetto martoriato dai precedenti tiri. Smette di cantare solamente quando parte la rincorsa. È in un altro stato mentale, è sospinto da una nazione intera. Non si rende nemmeno conto delle zolle intorno alla sfera. Il pallone è l’inchiostro, il suo piede destro è la penna, il terreno di gioco è un foglio verde su cui scrivere la storia. L’immagine visualizzata nella mente di Sunzu (e di tutti gli zambiani) si trova di fronte di fronte ai suoi occhi: è un oggetto sferico di colore giallo che gonfia la rete. Il destino sembra ribellarsi contro il desiderio di una nazione, Sunzu scivola ma calcia comunque bene, spiazzando Barry. 8-7: lo Zambia è campione d’Africa 2012.

La festa dei campioni
La gioia dei Chipolopolo (Foto: Christian Liewig/PanoramiC via Imago – OneFootball)

Sono stati necessari 18 rigori, 18 come gli anni di distanza dal tragico evento del 1993 e 18 come il numero di giocatori scomparsi nel disastro aereo avvenuto non molto distante dallo Stade d’Angondje di Libreville. Lo Zambia ha riscritto la propria storia nel modo più inaspettato, rinascendo nel luogo in cui è stato precedentemente annientato dal fato.

Autore

Cagliaritano, classe '95. Appassionato di calcio, motorsport, basket e sport d'azione. Sempre pronto a parlare seriamente di cose stupide (e viceversa).

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