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What If? Sampdoria-Barcellona del 1992

Come sarebbe andata la finale di Champions tra Sampdoria e Barcellona del 1992 se Koeman non avesse segnato quel calcio di punizione?

Il 19 maggio 1991 sembrava destinato a essere il giorno più felice nella vita di un tifoso della Sampdoria. Il giorno dello storico scudetto, di quel 3-0 al Lecce che ha regalato la gioia del tricolore a quella marea di tifosi blucerchiati. Assiepati sugli spalti del Ferraris. Assembrati per le vie di Genova. Tutti col cuore pieno di gioia, finalmente.

Nessuno, in quel giorno di festa, avrebbe pensato con tutta probabilità di poter vivere un altro giorno così felice. Per di più a distanza di praticamente appena un anno. Eppure, 366 giorni dopo quei tifosi che quel 19 maggio del 1991 festeggiavano senza freni la conquista del tricolore, ora attendono con ansia che la loro Sampdoria scenda in campo per giocarsi la finale di Coppa dei Campioni. È il 20 maggio 1992, la squadra blucerchiata sta per calcare il terreno di giocare per sfidare il Barcellona nell’atto conclusivo della competizione più prestigiosa che esista nel calcio.

Il cammino della Sampdoria

La vittoria del tricolore nel 1991 era valsa, naturalmente, la qualificazione alla Coppa dei Campioni dell’anno successivo per la Sampdoria. La prima nella storia del club blucerchiato. Il cammino della squadra allenata da Vujadin Boskov è stato eccezionale: in rapida successione, i blucerchiati si sono liberati di Rosenborg e Honved, prima di vincere il girone davanti a Stella Rossa, Anderlecht e Panathinaikos e approdare così alla finalissima di Wembley.

Di fronte alla Sampdoria, ci sarà il Barcellona, guidato dalla leggenda Johan Cruijff e in piena ascesa, una squadra pronta a segnare per sempre il mondo del calcio. L’approdo dell’olandese in panchina ha rivoluzionato il club blaugrana, che veniva da un periodo della propria storia vissuto in chiaroscuro. Dalla fine degli anni ’90, però, ha avuto inizio la rinascita dei catalani, che al momento della sfida con la Sampdoria a Londra sono una squadra ricca di stelle. Un vero e proprio dream team.

Andoni Zubizzaretta tra i pali, Ronald Koeman leader difensivo, il talento e la pragmaticità di Micahel Laudrup e Pep Guardiola a centrocampo e soprattutto la classe di Hristo Stoichkov lì davanti. La Sampdoria risponde col suo solito 4-4-2, con la coppia composta da Mancini e Vialli a cercare di far male alla difesa blaugrana.

Stoichkov in azione con la maglia del Barcellona. (Foto: Shaun Botterill/Getty Images – One Football)

Il match

L’atmosfera a Wembley è trepidante e solenne. Nessuna delle due squadre ha mai vinto una Coppa dei Campioni e, anche se la storia dirà il contrario, almeno per il Barcellona, quella sera è percepita come l’occasione della vita da entrambe le parti. La Sampdoria è consapevole di essere all’apice di un ciclo che sarà difficilmente ripetibile, il Barcellona probabilmente non ha ancora coscienza del ruolo che è destinato a rivestire nel futuro del calcio.

Le due squadre scendono in campo e, al fischio del tedesco Aron Schmidhuber, prende il via la sfida. Una gara che segue un copione fisso e prevedibile: il Barcellona tiene in mano il pallino del gioco, la Sampdoria prova a colpire con le proprie folate offensive in ripartenza. Il match va su dei binari talmente prestabiliti che non riesce a sbloccarsi, resta sul filo di un equilibrio che sembra scritto nelle stelle. E sembra inscalfibile.

Finiscono così i 90 minuti regolamentari. Il risultato è fermo sullo 0-0. Anche i primi 15 dei supplementari scorrono via, si entra nell’ultimo quarto d’ora, col traguardo dei rigori che si fa sempre più vicino. Un sussulto, però, arriva a circa 10 minuti dalla fine del match. Al 112’ il Barcellona si guadagna un calcio di punizione da posizione molto interessante. Sul pallone si avvicina Ronald Koeman. L’olandese posiziona la sfera, sistema quei ciuffi d’erba che fanno da contorno alla rotondità del pallone, prende un grosso sospiro e abbassa la testa.

Qualche passo indietro per prendere la rincorsa. In porta, Pagliuca è nervoso, sistema la barriera, si sbraccia e cerca di esorcizzare quel pericolo imminente. I tifosi doriani trattengono il fiato, quelli catalani incrociano le dita. L’arbitro fischia, Koeman parte e tira una sassata che, di un nulla, si deposita al lato del palo della porta difesa da Pagliuca.

I tifosi doriani, ormai in sofferenza da apnea, possono tornare a respirare. Ma solo per altri otto minuti: alla fine del secondo tempo supplementare, il risultato è ancora 0-0. Il triplice fischio di Schmidhuber annuncia l’arrivo dei fatidici calci di rigore.

Pagliuca con la maglia della Sampdoria
Il portiere della Sampdoria Gianluca Pagliuca. (Foto: Ben Radford/Getty Images – One Football)

Ultimi istanti verso la gloria

Tutto è destinato a risolversi con i tiri dagli undici metri dunque. Le due squadre si riuniscono, i giocatori si caricano, gli allenatori stilano le preziose liste dei tiratori. Poi i due capitani si avvicinano all’arbitro. C’è l’estrazione. Comincia il Barcellona.

Senza paura, Koeman realizza il primo calcio di rigore della sequenza, spiazzando Pagliuca. Stessa cosa fa Cerezo, che ristabilisce subito quell’equilibrio che ormai quella sfida sembra pretendere con rigore sacrale. I rigoristi sono impeccabili, Barcellona e Sampdoria segnano i successivi tre calci di rigore a testa, poi però arriva la svolta inattesa.

Il quinto rigore blaugrana spetta a Michael Laudrup, che spara il pallone in curva. La disperazione si disegna sul volto del danese, il 1992 decisamente non è destinato a essere il suo anno. Un sorridente Pagliuca lascia il posto tra i pali a un preoccupatissimo Andoni Zubizzarreta, che si posiziona sulla linea di porta e attende l’arrivo di Roberto Mancini, con in mano un pallone che pesa quanto il destino.

Il destino di scrivere la storia, di cambiare per sempre la propria vita. Un anno prima era stato l’eroe dello storico scudetto, ora può esserlo di un trionfo ancora più leggendario. Il Mancio mantiene una calma gelida, prova a estraniarsi da tutto quel rumore di fondo che lo circonda. Dai compagni in febbrile attesa a centrocampo, dai tifosi blucerchiati con gli occhi colmi di speranza, e da quegli spagnoli che tremano di paura di fronte a lui. Mancini piazza il pallone sul dischetto, attende il fischio. E va.

Il rigore è perfetto: il pallone va a sinistra, Zubizarreta, impotente, si accascia sulla sua destra. Mancini si volta indietro e vede sopraggiungere una marea bianca, l’onda dei compagni che corrono ad abbracciarlo. Che lo travolgono. Il rigore di Mancini segna la fine di quella lunghissima sfida: la Sampdoria è campione d’Europa.

Il trionfo della Sampdoria

Quella scritta la notte del 20 maggio 1992 è una storia pazzesca. A un anno di distanza dallo storico scudetto, la Sampdoria vince anche la Coppa dei Campioni. Un successo straordinario, inimmaginabile, destinato a diventare leggenda. Il Barcellona esce sconfitto da quella gara, ma la storia consacrerà comunque i blaugrana come una delle squadre destinate a diventare tra le più forti al mondo. Bisognerà solo attendere un po’ di più per vedere i risultati. Il lavoro di Cruijff pianterà dei germogli che sbocceranno e produrranno una bellezza che, quella notte, è difficilmente immaginabile.

Diverso il destino della Sampdoria, la cui traiettoria, giunta all’apice, è destinata a discendere. È l’inevitabile legge della fisica. I doriani non ripeteranno più, nemmeno lontanamente, i risultati di quegli anni. Già a partire dall’anno seguente, i risultati sono molto diversi:  i doriani chiudono ili campionato con un anonimo settimo posto, che non vale l’accesso alle coppe europee.

Piano piano la squadra si disgrega, con le partenze dei protagonisti di quel grande trionfo e l’addio del leader, Vujadin Boskov, che rimane un anno dopo il successo europeo, ma poi decide di lasciare Genova nell’estate 1993. I fasti di quei successi diventano una memoria difficile da rivivere, ma poco importa perché solo il ricordo di quella notte a Wembley basterà a riempire i cuori dei tifosi blucerchiati.

L’omaggio dei tifosi doriani al tecnico che li ha condotti al trionfo: Vujadin Boskov.
(Photo by Marco Luzzani/Getty Images – One Football)

Il destino di Gianluca Vialli

La notte di Wembley cambia anche la storia di un uomo simbolo di quella grande Sampdoria: Gianluca Vialli. L’attaccante non ha preso parte alla lotteria dei rigori contro il Barcellona, sostituito al 100’ da Renato Buso. Il suo apporto alla causa doriana in quegli anni è però stato enorme e quella vittoria ha consacrato l’azzurro come uno degli attaccanti più forti del mondo, in coppia con la sua metà calcistica: Roberto Mancini.

Durante l’anno, si era parlato spesso di un passaggio di Vialli alla Juventus: sembrava tutto fatto, ma il trionfo europeo ha portato ad un incredibile dietrofront, con l’attaccante che decide di rimanere a Genova col sogno di vivere ancora notti così. Sogno destinato però a rimanere tale, col treno Juventus che, una volta passato, non fermerà più in stazione.

Vialli però non se ne cura, perché dopo quel trionfo a Londra, alla fine del 1992 arriva anche un incredibile successo a livello personale: l’attaccante doriano arriva primo nella classifica del pallone d’oro, precedendo il milanista Marco Van Basten e il compagno Roberto Mancini. Un trionfo che legittima quegli anni pazzeschi alla Sampdoria, ma che rappresenta un po’ anche il canto del cigno dell’attaccante, che rimarrà bloccato in una squadra che progressivamente vedrà calare il proprio rendimento, nemmeno sfiorando mai più quelle vette conquistate agli inizi degli anni ’90.

La notte di Wembley è il punto più alto della storia della Sampdoria, ma anche l’inizio di una discesa che sarà inesorabile e implacabile. Tremendamente continua. Però, quella gioia dopo il rigore di Roberto Mancini, quel sollievo dopo la punizione di Koeman, quell’incredulità per un successo nemmeno vagamente immaginato rimangono le fotografie più belle della vita di ogni tifoso doriano.

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Autore

Romano, follemente innamorato della città eterna. Cresciuto col pallone in testa, da che ho memoria ho cercato di raccontarlo in tutte le sue sfaccettature.

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