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CALCIO ESTERO EXTRA-CAMPO

La recitazione perbenista di Guardiola

A dare una definizione, un significato o, ancora meglio, un ritratto di Josep Guardiola ci ha pensato il campo. Centrocampista apprezzabile, poi allenatore eccelso. Discepolo di Cruijff, quindi ambasciatore del calcio totale.

Trofei, conquiste, record e domini. Barcellona, Bayern Monaco e Manchester City. Superfluo citare il suo palmarès e la continua influenza irradiata sui colleghi. Nonostante questo, Guardiola si scopre uomo fragile, capace di crollare da un momento all’altro come un palazzo barocco privo di fondamenta salde. Il volto di Guardiola si mostra beffardo, ma è in realtà incapace di frenare il Llobregat, quel fiume di sentimenti che imperversano nel suo animo quanto nella sua amata Catalogna.

Guardiola è vittima della sua emotività teatrale, accompagnata egregiamente da parole pronte a frantumarsi sul microfono come acqua su scogli. Sorridente e scherzoso, l’allenatore iberico è tremendamente perfetto nella sua comunicazione e fin troppo equo nel concedere un elogio a chiunque. È come se davanti le telecamere Guardiola indossasse tuniche d’oro e la sua pelle fosse patinata come quella di un nobile di casata.

Tutto questo fino al momento in cui non si volta il suo dipinto, perché il personaggio infinitamente perbenista che lo ha animato fino a oggi tenta di occultare qualche scheletro nell’armadio. Se spogliato del velluto della sua toga, l’oscurità è padrona della figura di Josep Guardiola.

Ad aiutarci a mostrare il retro di questo quadro ambiguamente impeccabile saranno i suoi vecchi calciatori, divenuti avversari e poi nemici rancorosi. Josep Guardiola i Sala raccontato da chi non lo ha mai perdonato.

Josep Guardiola durante una conferenza stampa per conto del Barcellona
Guardiola in conferenza stampa (Foto: Josep Lago/AFP/GettyImages – OneFootball)

Triplete, dissidi e duelli infiniti

Guardiola e il Barcellona, a dir poco una poesia. Pep è stato probabilmente la miglior interpretazione della filosofia blaugrana. Més que un club perché identità, rappresentazione della Catalogna e dei catalani – e non c’è allenatore migliore di lui per incarnarne in tutto e per tutto corpo e spirito. Apice irripetibile della sua carriera, costellata da due triplete e l’ultimazione del falso nueve, espediente tattico destinato a rivoluzionare il gioco del calcio.

Primi successi e prime ombre. A cavallo dei due triplete conquistati nel 2009 e nel 2011, il tecnico catalano insiste nell’allontanamento di Samuel Eto’o dal Barcellona. Il camerunense si accasa nell’Inter di José Mourinho, mentre percorre il percorso inverso Zlatan Ibrahimović. La storia dirà Inter campione d’Europa e Barcellona sconfitto in semifinale proprio dai nerazzurri. Assisteremo a un Ibrahimović sofferente – e insofferente – e a un Eto’o più che mai decisivo, nonché all’inizio del duello eterno fra il tecnico catalano e lo Special One. Tre personaggi, tre nemesi di Guardiola.

A Samuel Eto’o non è mai andato giù il trattamento subito dal catalano. Autentico eroe nella finale contro il Manchester United a Roma, il rapporto fra i due non è mai decollato: «non ha avuto il coraggio di dirmi le cose in faccia» racconta il camerunense, privato della maglia numero nove da Guardiola stesso e consegnata a Thierry Henry. Una mossa vigliacca, priva di confronti e chiarimenti in prima persona, spaventosamente cinica nel perseguire la sua volontà – la cessione di Eto’o.

Inoltre, l’eroe nerazzurro svela come Guardiola non l’abbia salutato nel tunnel d’ingresso in campo durante la semifinale tra Inter e Barcellona, stretta di mano prontamente fatta invece quando è stato ripreso dalle televisioni. Un atteggiamento coscientemente ipocrita, atto a mantenere la sua immagine immacolata. Poi gli equivoci tattici: «Pep voleva darmi lezioni su come attaccare quando lui era un centrocampista, e nemmeno un grande giocatore

Tatticismi ferrei che nemmeno Zlatan Ibrahimović ha apprezzato particolarmente. La stagione blaugrana dello svedese è ricordata soprattutto per gli attriti con Guardiola, raccontati da lui stesso nella sua autobiografia e nelle interviste negli anni a seguire. Definisce Xavi, Iniesta e Messi dei sottomessi, o più propriamente degli «scolaretti» obbedienti, unico tipo di personalità ammesse per condividere lo spogliatoio con Guardiola: e in effetti, il catalano ha sempre affrontato diversi problemi con le personalità d’acciaio incontrate nel suo percorso da allenatore.

Sicuramente domare l’ego di Ibra non è semplice, e il concorso di colpa fra i due è combattuto e difficile da definire nella sua interezza. Tuttavia abbiamo modo di confermare la versione di Eto’o, che racconta di un Guardiola sfuggente nel momento del confronto diretto e a suo agio nell’agire dietro le quinte e di nascosto, lontano parente del viso benevolo prestato a pubblico e giornalisti.

A rincarare la dose è Mino Raiola, agente proprio del gigante svedese. «Ignorò Ibrahimović e non si permise di salutarlo. Come uomo vale zero».

Guardiola sostituisce Ibrahimović
Attorno Guardiola e Ibrahimović tutto era gelato, anche il rumore (Foto: Lluis Gene/AFP via Getty Images – OneFootball)

Un’altra stoccata arriva da chi non ti aspetti: Bojan Krkic, stellina mai esplosa e implosa sotto il paragone con Lionel Messi. Lo spagnolo non ha parole dolci per il suo ex-allenatore, con cui non si siederebbe nemmeno per un caffè e spiega che «quando in uno spogliatoio non funziona il collettivo, ma solo certe individualità, non è semplice per nessuno». Lo spagnolo rivendica forse una gestione non eccelsa da parte del tecnico, anche se la carriera conseguita non sembra avergli dato ragion di lamentela.

Guardiola non guarda in faccia nessuno

Mia San Mia, o dell’identità e appartenenza come orgoglio e rivendicazione sugli altri. Nucleo concettuale del mondo Bayern Monaco, esso si scontra con il voler fare di Guardiola, dittatore da riconoscere nel club per poter instaurare il suo totalitarismo sul campionato. È questo probabilmente che ha creato difficoltà nel matrimonio fra i bavaresi e il catalano.

Tragica è stata la convivenza con Mario Mandžukić: l’attaccante croato afferma di un Guardiola irrispettoso nei suoi confronti, capace addirittura di ostacolare la sua corsa al titolo di capocannoniere di Bundesliga. Lasciato inspiegabilmente in panchina per tutta l’ultima parte di campionato, si dimostra metodo per spingere alla sua cessione senza alcun chiarimento faccia a faccia, poi concretizzata nell’estate seguente con l’approdo all’Atletico Madrid.

Anche Mario Götze si unisce al coro anti-guardiolista. L’eroe tedesco del mondiale di Brasile 2014 pone a confronto l’allenatore spagnolo con il savoir-faire di Jürgen Klopp, di altro livello rispetto alla tenebrosità di Guardiola che «manca di empatia e pensa esclusivamente al calcio giocato». Dello stesso avviso anche Xherdan Shaqiri, che ammette la bravura immensa del tecnico spagnolo, ma non perdona la sua assenza di chiarezza comunicativa poiché «non spiega le sue scelte».

Anche Franck Ribéry ha qualcosa da ridire: «si spendono troppe parole per un gioco semplice come il calcio» – afferma il francese – «Guardiola è ancora un allenatore troppo giovane, manca di esperienza».

Non solo calciatori, ma anche membri dello staff. È il caso di Hans-Wilhelm Müller-Wohlfahrt, medico sociale storico del Bayern Monaco. Considerato fra i migliori nella sua mansione, con il tecnico catalano è avvenuto uno degli screzi più rumorosi della sua permanenza in Baviera.

Una situazione descritta dal medico stesso nella sua autobiografia. Guardiola si mostra fin da subito scettico sui metodi applicati da Müller-Wohlfahrt, e il tecnico arriva a redigere da sé il programma atletico della squadra; il rapporto fra i due crolla totalmente nel momento in cui l’ex blaugrana accusa il tedesco di essere la causa della sconfitta con il Porto in Champions League.

Privato della propria autorità e senza alcuna fiducia alcuna riposta nel suo operato, Müller-Wohlfahrt decide dunque di dimettersi dopo trentott’anni di servizio.

Penso che Pep sia una persona con bassa autostima e che faccia di tutto per nasconderlo agli altri. Sembra che viva nella paura costante non tanto di essere sconfitto, ma di perdere potere e autorità.

«Pensava di sapere tutto e meglio», «ogni volta che volevo parlargli si girava immediatamente e si allontanava». Il ritratto di Guardiola assume sempre più le forme del ghibellin fuggiasco, più per paranoia e codardia che per reale esilio politico dantesco.

Guardiola fotografato pensieroso
Cosa succede a Guardiola quando si spengono le luci dei riflettori? (Foto: Alex Livesey/Getty Images – OneFootball)

Il Manchester City fra serenità e razzismo

Infine Manchester, quella celeste e dei noisy neighbours. Guardiola citizen per stritolare la Premier League e agguantare la Champions League, comune ossessione per entrambe le parti: una maledizione per Pep lontano da La Rambla, un’assenza sempre più pesante per il Manchester City divenuto gigante d’Europa.

Nella città dei fratelli Gallagher Pep ha trovato la sua comfort zone, in primis dal calciomercato. Numerose richieste e spese al limite del possibile hanno attirato su di sé diverse polemiche, rispedite ai mittenti – più o meno – con trofei e record frantumati.

Ma, ancora una volta, le ombre incombono sul capo di Guardiola. Non si tratta né del Manchester United né del Liverpool, bensì di un’autentica leggenda del City, Yaya Touré.

Al Barcellona avrebbe mai potuto trattare così uno come Iniesta? Così ho iniziato a chiedermi se il problema non fosse il colore della mia pelle.
Noi africani non siamo trattati come gli altri da Guardiola, ho visto questo suo atteggiamento ovunque sia andato ad allenare.

Con l’accusa di razzismo, la rottura con il centrocampista ivoriano è probabilmente la più grave della sua carriera. «Era crudele, è come se avesse cercato in ogni modo di rovinare la mia ultima stagione al City» afferma Yaya Touré, il cui agente arriva anche a maledirlo: «Guardiola può avere tutti i soldi che vuole per il mercato, ma non vincerà più la Champions League». Forse abbiamo una spiegazione per i suicidi tattici avvenuti contro il Lione e il Chelsea negli ultimi anni.

In ogni caso, Guardiola se la cava definendo Yaya Touré un bugiardo. Seguiranno poi delle scuse e dei tentativi di riconciliazione da parte dell’ivoriano nei confronti di Guardiola e del Manchester City, ma il resto della vicenda è soltanto silenzio.

Il più recente teatro di polemiche è con Sergio Agüero. L’ultima stagione dell’argentino con la maglia del City non è stata esaltante, frenata da infortuni e da nuove idee tattiche di Guardiola. Dopo l’ultima doppietta come addio al pubblico dell’Etihad Stadium, la commozione si impossessa di Pep che mostra lacrime e dolore di fronte ai microfoni. Autentiche? Secondo il padre dell’attaccante sembrerebbe proprio di no: «non ci ha mai trattato bene, né a me, né a lui, né ai suoi fratelli.»

Stride il «we cannot replace him» bagnato dal pianto da televisione: come può Guardiola sostenere una cosa del genere quando è riuscito a rimontare clamorosamente una Premier League e a ottenere una storica finale di Champions League senza l’utilizzo di Agüero, e in generale, di una punta di ruolo?

Non saranno certamente questi spettri a intaccare il Guardiola allenatore, già mito e leggenda di questo sport. Sulla sincerità della persona Guardiola, invece, è doveroso compiere qualche riflessione: ma a incrociare quegli occhi vispi ed enigmatici, ci convinceremo che al piattume di un lago preferiamo sempre il fragore impetuoso di un fiume, in questo caso il Llobregat, vitalità della Catalogna e anima di Josep Guardiola.

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Scritto con inchiostro blu.

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