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CALCIO ITALIANO

La stagione della Juventus non dovrebbe stupire

A sei giornate dalla fine del campionato, la Juventus vincitrice degli ultimi 9 scudetti è impelagata nella lotta per un posto nella prossima Champions League, a soli 2 punti di margine sul Napoli quinto. La squadra di Andrea Pirlo ha vissuto una stagione altalenante, i cui bassi sono coincisi con sanguinosi punti persi contro squadre della parte destra della classifica, che a conti fatti potrebbero costar caro.

Vedere la Juventus cercare faticosamente di tirarsi fuori dalle sabbie mobili di una battaglia che mieterà almeno due vittime celebri è straniante: la squadra che nell’ultimo decennio ci aveva abituato a vincere campionati con il pilota automatico che d’improvviso ci mostra tutti i suoi demoni e si riscopre fragile, distratta, discontinua. Eppure le avvisaglie che ciò potesse accadere erano evidenti sin dalla scorsa estate, quando la società aveva deciso di sposare un nuovo progetto tecnico dando il benservito a Maurizio Sarri. Badate bene, non ho menzionato la scelta di affidare la squadra ad un allenatore esordiente, bensì quella di avventurarsi in terre inesplorate, senza però avere il tempo per equipaggiarsi.

Ambizione non fa rima con tempo

Vi porto un dato a suo modo molto esplicativo: ad inizio campionato solo cinque squadre avevano cambiato allenatore rispetto alla fine del precedente, optando tutte per un cambio di filosofia di gioco piuttosto radicale. 32 giornate dopo, di questi cinque allenatori solo Pirlo è ancora al timone della squadra che gli era stata affidata in autunno. Il Torino ha visto le idee di Giampaolo sbriciolarsi dinanzi ad una rosa completamente disfunzionale, Liverani si è rivelato inadatto a compiere la rivoluzione voluta da Carli e Krause, Di Francesco ha condotto l’ambizioso Cagliari di Giulini negli Inferi, mentre Maran si è iscritto alla lista di allenatori silurati da Preziosi.

Pirlo, seppur camminando da mesi sull’orlo di burrone, con essi non condivide un licenziamento nel curriculum, ma un’altra cosa sì: la mancanza di tempo. Il naturale accavallamento dei due campionati ha ridotto al minimo i tempi della preparazione estiva, mentre la sessione di mercato concentrata in un solo mese e terminata dopo 3 giornate di campionato disputate ha gambizzato i buoni propositi dei nuovi tecnici.

Un Andrea Pirlo a dir poco sconsolato
Complesso valutare questa prima stagione di Pirlo in panchina (Foto: Stefano Nicoli/LaPresse/Imago Images – OneFootball)

Il tecnico bresciano, dal canto suo – a posteriori possiamo dire poco furbamente -, si è avventurato in una proposta tecnica intrigante ma che necessitava (e necessita) molto lavoro sul campo per portare riscontri positivi. Il complesso scaglionamento in fase offensivo e il cervellotico riassestamento in fase difensiva hanno creato non pochi grattacapi alla squadra, che ancora oggi convive con problemi irrisolti. Pirlo ha insistito molto sul tasto del poco tempo a disposizione per lavorare, allargando il discorso anche alla conoscenza dei giocatori stessi:

Ne stavo parlando con i miei collaboratori riguardando la partita d’andata e abbiamo visto che non mandavamo a saltare McKennie sui calci d’angolo o facevamo battere a Kulusevski i piazzati, quindi non conoscendo bene i calciatori non potevamo ancora sapere dove metterli e cosa fosse meglio da fare per loro. Col tempo abbiamo scoperto che Kulusevski non è un grandissimo calciatore di calci d’angolo e che McKennie è molto bravo ad andare a saltare, ma senza amichevoli sono cose che devi provare in partita.

Questa dichiarazione, rilasciata nella conferenza stampa precedente alla gara di ritorno con la Roma, evidenzia come per un allenatore, oltre al lavoro tecnico-tattico di squadra, sia necessario avere il tempo per sezionare i nuovi innesti, soprattutto se giovani e con poche partite tra i professionisti alle spalle. Tutte considerazioni su cui, forse per eccessivo autocompiacimento, la dirigenza della Juventus ha sorvolato.

Il nodo centrocampo per la Juventus

Nove anni sono tanti, tantissimi. Mentre la Juventus alzava al cielo il primo dei suoi nove scudetti, L’arte di vincere (Moneyball), un’opera che oggi definiamo un riferimento storico per chi vuole approcciarsi al mondo delle statistiche applicate allo sport, concorreva per l’Oscar come miglior film. Il mondo cambia in nove anni: in Italia si sono succeduti sei Presidenti del Consiglio, mentre il calcio ha visto nella tecnologia un nuovo fattore esterno aggiungersi al canovaccio di una partita.

In un’epoca di mutamenti continui, una sola cosa è rimasta inalterata: la squadra campione d’Italia. Questa tirannia ha conferito un’aura mistica all’ambiente Juventus, una sensazione che il fallimento non solo non fosse contemplato, ma che oltre i cancelli della Continassa il concetto di errore non esistesse proprio. La crescita incontrollata di questo fenomeno – a cui come slogan darei “La Juventus vincerebbe il campionato anche con la seconda squadra” – ha portato gran parte dei tifosi, addetti ai lavori o chicchessia a mostrarsi reticenti nel commentare negativamente una qualsiasi mossa dei bianconeri, finendo per ignorare il lento logoramento che ha permesso alle rivali in campionato di assottigliare il gap e ai top club europei di prendere il largo.

La dirigenza bianconera a confronto
La dirigenza bianconera a confronto (Foto: Paola Garbuio/LaPresse/Imago Images – OneFootball)

L’ultima versione di questa tendenza è la magnificazione dell’organico a disposizione di Andrea Pirlo. Quello che viene descritto come un enorme calderone da cui pescare soluzioni di ogni tipo, da diversi anni palesa evidenti lacune ad oggi ancora irrisolte. Le strategie di mercato incentrate più sulla ricerca di occasioni che sulla valutazione di profili adatti ad un ipotetico stile di gioco, soprattutto nel quinquennio allegriano, hanno gradualmente accentuato le disfunzionalità della rosa. Se questo per un allenatore abituato a plasmare la squadra in base alle caratteristiche dei giocatori non era un problema, per tecnici con una precisa ideologia di gioco si è trasformato in un problema.

Potremmo soffermarci sulla mancanza di un terzino sinistro di riserva, ma l’elefante nella stanza quando si parla della Juventus è il centrocampo. Tra le sei squadre che ad oggi si giocano l’accesso in Champions League, nessuno ha un centrocampo peggio assemblato di quello della Juventus. Difatti, se per centrocampo si intende la zona di campo in cui tutto prende forma, alla Juventus manca chi, banalmente, si assuma questa responsabilità.

L’assenza di un regista è un problema endemico che tra riadattamenti forzati o scelte poco brillanti si ripete da quando lo stesso Pirlo lasciò la Juventus per accasarsi a New York. Guardando allo spettro di possibilità a disposizione, Bentancur, per diversi anni descritto come un progetto di regista, sta gradualmente risolvendo l’equivoco sulle sue caratteristiche. L’abilità nel coprire ampi spazi con e senza palla e le buone capacità nei fondamentali difensivi lo rendono un ottimo interditore in un centrocampo a due, a cui però non si può chiedere con continuità di dare geometrie alla squadra.

Rabiot, per rendimento il miglior centrocampista in rosa, è un calciatore poco più che sufficiente nella distribuzione del pallone, e che si trova a suo agio quando può far mulinare le gambe in conduzione o lavorare come incursore. Ad Arthur invece è stata affibbiata la scomoda etichetta di regista, quando a Barcellona le migliori prestazioni le ha fornite affiancato da un costruttore puro come Sergio Busquets. Insomma, pensare una squadra che ambisce a riempire la trequarti offensiva di uomini senza avere a disposizione qualcuno che li serva con naturalezza è come progettare un grattacielo di cento piani senza metterci l’ascensore.

A questa carenza si aggiunge la macchia più grande sull’operato dei dirigenti bianconeri in materia di centrocampo: l’investimento su Aaron Ramsey. Quella che doveva essere una mezzala in grado di districarsi in spazi ristretti con qualità per poi riempire l’area sapientemente ha mostrato la versione peggiore di sé: quella di un giocatore arrivato precocemente a fine corsa. Viene quasi da sorridere a pensare che la Juventus abbia individuato in Ramsey l’erede tattico di Khedira, ritrovandosi un giocatore con gli stessi limiti atletici e fisici del tedesco.

Una Juventus a corto di risorse

La tragedia Ramsey introduce un altro tema scottante: quello della profondità. La gara persa contro l’Atalanta ci ha dato la spinta definitiva verso un mondo in cui i rapporti di forza del nostro campionato sono cambiati. Mentre i bergamaschi scatenavano la propria potenza di fuoco facendo subentrare Malinovskyi, Ilicic, Pasalic e lasciando in panchina Miranchuk e Lammers, Pirlo, orfano di Ronaldo, aveva il solo Kulusevski come risorsa offensiva da giocarsi a gara in corso.

Senza tener conto dei problemi fisici di Dybala, l’immobilismo nel mercato invernale ha privato la Juventus di un’eventuale soluzione in più da giocarsi nelle situazioni di emergenza. Il mese di gennaio è stato un susseguirsi di voci secondo cui la Juventus era in procinto di completare il reparto offensivo con una prima punta, ma poi si è virato verso una soluzione fatta in casa. Difatti per diverse settimane al fianco di Ronaldo è stato adattato Kulusevski, un giocatore dall’indole associativa confinato a giocare come riferimento centrale. Lo stesso Kulusevski si è lamentato dei vari cambi di ruolo ed è evidente come questi ne abbiano alterato il regolare percorso di crescita.

Dejan Kulusevski è lo specchio della Juventus
Dejan Kulusevski sta vivendo un’annata complicata (Foto: Simon Hastegard/Imago Images – OneFootball)

In una stagione in cui il Milan sembra colpito dal malocchio, il Napoli ha perso più attaccanti che partite e la Roma non ha quasi mai avuto a disposizione la difesa titolare, anche la Juventus si è ritrovata con l’acqua alla gola. La squadra che nell’ultimo decennio aveva nella profondità della rosa il cuore pulsante del suo vantaggio competitivo costretta a riadattamenti su riadattamenti. Penso a Danilo a centrocampo o al jolly Bernardeschi riadattato in giro per il campo e il cui tentativo di rianimazione è passato anche dal ruolo di terzino sinistro. Attenzione, al completo quello della Juventus resta un organico molto competitivo, forse ancora il migliore della Serie A, ma lo scarto con squadre come Inter, Atalanta e Napoli è ormai ridotto al minimo. Di conseguenza, vederla combattere spalla a spalla contro due di loro rientra nell’ordine naturale delle cose.

Non solo un responsabile

Giunto a questo punto del pezzo, posso togliermi la maschera e dichiarare di far parte di quel gruppo di persone – ma potrei anche essere il solo – a cui non va troppo giù il trattamento riservato ad Andrea Pirlo. Seppur in modo talvolta confusionario, questo progetto tecnico ha dato l’impressione di avere margini di miglioramento notevoli. Mentre lo stesso Pirlo di essere un tecnico con delle idee interessanti a cui andrebbe dato tempo di fiorire.

Nell’altalena di valutazioni che ne hanno accompagnato il primo anno in bianconero, è sempre mancato equilibrio. Si è passati da lunedì in cui si pensava fosse sbarcato in Italia un alieno pronto a rivoluzionare il calcio, ad altri in cui sulla panchina della Juventus sedeva l’ultimo degli scemi. Collocandosi nel mezzo si può dire che Pirlo abbia imboccato la strada più complessa per far fruttare una rosa lacunosa e in alcuni elementi over-valutata.

Nessuno può sapere cosa baleni nella testa dei dirigenti della Juventus. Forse la testa di Pirlo è già piantata su una picca, oppure l’intenzione è quella di confermarlo a prescindere o magari, come appare più probabile, ogni decisione è stata rinviata a fine stagione. Ripeto: non lo sappiamo. Ciò che invece so è che, se l’anno prossimo i tifosi bianconeri dovessero avere i martedì e i mercoledì liberi, il colpevole non andrà ricercato solo nell’esordiente seduto in panchina.

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In un'altra vita trequartista mancino, in un'altra ancora tennista con il rovescio ad una mano. In questa scrivo il più possibile

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