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Import-export di talenti: Italia e Inghilterra a confronto

Il triplice fischio di Italia-Macedonia ha dato il via al grande processo al calcio italiano. Sul banco degli imputati sono finiti tutti, non solo Roberto Mancini e i suoi convocati. Alle squadre di Serie A, ad esempio, è stata rimproverata la scelta di non puntare sui giovani talenti made in Italy. Il vizio condiviso anche a livello giovanile è quello di non investire per coltivare i calciatori azzurri, ma andare a pescare qua e là da altre nazioni, ancora meglio se a buon mercato. Una strategia discutibile che ha palesemente impoverito il nostro movimento, eppure fa gola ad altre federazioni.

Da anni il calcio inglese è al top mondiale. Storicamente la nazionale dei tre leoni fa fatica a sollevare trofei, ma non a rimpolpare la rosa con giovani promesse sempre all’altezza. Nonostante le loro academy funzionino così bene, la Brexit ha spinto i club di Premier League a metterle in dubbio. Perché? Di sicuro sono più efficienti di quelle italiane, ma non dal punto di vista economico-strategico. Chi ha pane non ha denti…

La Brexit allontana i talenti

Che la Brexit avrebbe condotto verso nuovi scenari l’economia interna ed esterna del Regno Unito era chiaro già dal primo giorno di negoziati. Da febbraio 2020 questi scenari si sono fatti realtà, con onori e oneri. Anche il calcio, che neanche a dirlo è uno dei settori più floridi Oltremanica (7.6 miliardi di sterline generate nella stagione della Brexit, nonostante la pandemia), ha dovuto adattarsi a questo cambiamento. Alla distanza, alcuni nodi vengono al pettine ed è proprio colpa delle nuove limitazioni che si sono abbattute in modo particolare sulla gestione dei settori giovanili.

Dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, come da regolamento FIFA ai top club inglesi è stato impedito di mettere sotto contratto calciatori stranieri di età inferiore ai 18 anni. Tutti gli altri Paesi UE possono invece offrire senza nessuno vincolo contratti ai minorenni che abbiano raggiunto almeno i 16 anni. Tutto ciò rappresenta un grande svantaggio per le venti di Premier (e non solo) nella corsa ai più interessanti prospetti del panorama continentale. Non si tratta solamente di un danno sportivo. Economicamente parlando, assicurarsi un wonderkid a un prezzo ragionevole se non a parametro zero prima dei 18 anni vuol dire essere nella posizione di scegliere: tenerselo stretto o scatenare aste di mercato, generare un incasso degno di nota e registrare plusvalenze record.

Non è un segreto che il Manchester United si sia lasciato stregare dalle qualità del quindicenne polacco Karol Borys. Come detto, però, nessuna squadra inglese può effettuare operazioni di questo tipo. Ai Red Devils non resta che sperare che nessun dirigente di altre big europee vada a bussare alla porta dello Slask Wroclaw per chiedere il ragazzo, almeno fino al 28 settembre 2024 quando compirà 18 anni. Le probabilità di beffa tendono al 100%, come nel caso di Rayane Bounida (16 anni), stellina belga che si unirà in estate all’Ajax. È per questo che ora si cerca un compromesso: anche solo un paio di slot per calciatori minorenni stranieri potrebbero fare la differenza.

L’altra faccia della medaglia

Le società italiane dunque hanno una libertà di manovra che spesso diamo per scontato. La stanno sfruttando? Sì e no. Sarebbe più corretto dire che ne stanno abusando. In una situazione ideale gli osservatori andrebbero a cercare al di fuori dei nostri confini solo quei profili dal futuro assicurato da inserire in rose prevalentemente composte da giovani italiani. Tuttavia, i fuoriclasse da prendere a tutti i costi sono pochi, molto spesso finiscono in altre nazioni e ci si accontenta di calciatori nella media. Scommettere su un giocatore ogni tanto non può essere un male. Se però la regola diventa costruire roster partendo proprio da scommesse allora le cose cambiano. Ed è quello a cui assistiamo di stagione in stagione, con la quota azzurra che di riflesso cala anche in Serie A.

Per spiegare perché in Italia ci si comporta così torniamo a fare, nuovamente, discorsi finanziari. Mantenendo fermo il focus sulle giovanili, acquistare un calciatore nel mercato interno può essere davvero molto oneroso. Questa tendenza a tenere i prezzi alti ha generato un processo persuasivo culminato nella convinzione che convenga guardare altrove, dove le pretese economiche sono più alla portata. All’apparenza e in confronto al mercato italiano, sono tutti affari. Così in un solo anno gli stranieri che giocano nel campionato Primavera sono passati dal 29% del totale (197 su 679) al 34% (181 su 536).

Sempre meno spazio per i talenti italiani.
La percentuale di stranieri in Primavera 1 non era mai stata così alta come in questa stagione (Fonte: Transfermarkt)

Che fine fanno i talenti italiani?

Il Lecce è la squadra con più calciatori non italiani in rosa tra quelle iscritte alla Primavera 1 2021/22: 21. In occasione di Lecce-Pescara, 31^ giornata, i salentini sono scesi in campo con dieci calciatori stranieri e un solo italiano (la punta classe 2004 Giulio Carrozzo). Ventiquattro ore più tardi a Nyon, in finale di UEFA Youth League, Cher Ndour è l’unico italiano tra le file della sua squadra. L’unica sostanziosa differenza è che lui gioca per il Benfica nella più prestigiosa competizione di categoria e non per il Lecce nel nostro campionato nazionale. E questa non vuole essere una battuta, ma come può una squadra italiana non riuscire a schierare più giocatori italiani rispetto a una squadra portoghese? Il paragone è forzato, ma può aiutare a comprendere il problema.

Cher Ndour, fresco campione d'Europa con il Benfica, è uno dei talenti più interessanti per la nazionale del futuro
Cher Ndour, fresco campione d’Europa con il Benfica, è uno dei talenti più interessanti per la nazionale del futuro (Foto: Valerio Pennicino/Getty Images – OneFootball)

Cresciuto tra Brescia e Atalanta, Ndour ha scelto il Benfica per proseguire la sua carriera. Una scelta coraggiosa, ma meno di quanto si possa pensare. Molto più irrazionale sarebbe stato rimanere in Italia ad aspettare la manna dal cielo. È vero che a Bergamo si stanno dimostrando particolarmente bravi a tirar su e piazzare nuovi talenti, ma il contesto come abbiamo visto non è dei migliori. Meglio cercare fortuna altrove, dove nello sviluppo dei giovani credono veramente.

Ndour non è di certo il primo. L’attuale trascinatore della nazionale U19 Wilfried Gnonto ha salutato l’Inter nell’estate del 2020 per passare allo Zurigo, un club che gli ha permesso di entrare sin da subito nel giro della prima squadra nonostante al tempo non avesse ancora compiuto 18 anni. E ricordiamo tra gli altri anche Gianluca Scamacca, esploso definitivamente in questa stagione col Sassuolo, che ha alle spalle un’esperienza di due anni al PSV. A volte queste avventure sono necessarie, specialmente quando un’intero movimento sembra essere strutturato per remare contro l’inserimento dei talenti nel calcio che conta. E una situazione del genere ha un peso sulla psiche dei nostri ragazzi:

Nicolato non ha tutti i torti quando dice che qui si fa fatica a dar fiducia ai giovani, perché anche noi lo sentiamo e lo vediamo. Spero che col tempo le cose cambino.
Nicolò Fagioli

Non facciamo brillare i nostri occhi davanti ai capolavori di programmazione dell’Ajax, del Chelsea o de La Masia a Barcellona se poi non siamo disposti a replicare quei modelli.

Autore

Viterbese classe ’99, muove i primi passi con ai piedi un pallone e, neanche a dirlo, se ne innamora. Quando il calcio giocato smette di dare speranze, ci pensa giornalismo sportivo a farlo sognare. E se si fosse trattato di campo, essere riserva di lusso lo avrebbe fatto rosicare… alla tastiera non potrà che essere un valore aggiunto.

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