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Icone: Dejan Savicevic, il Genio

Da bambini sogniamo un po’ tutti di fare il calciatore: siamo lì, tra la poltrona e il tavolo, a giocare con una una palla di gommapiuma finché non rompiamo il souvenir che lo zio aveva portato alla mamma da qualche posto sperduto in giro per il mondo. Ma a noi in quel momento interessa solo realizzare il gol della vita, disegnando una parabola degna di Dejan Savicevic. Che bello sarebbe ripetere le sue imprese… Chissà com’è giocarsi una finale di Coppa dei Campioni, vincerla e farlo per ben due volte con due squadre diverse. Tutti vorrebbero essere come lui, o no?

E chissà che sensazione fa, invece, veder morire il Paese nel quale sei nato. Tra un dribbling e l’altro si nasconde la vita difficile di Dejo, che poi è quella di tutti gli abitanti dei Balcani. Con il racconto di oggi torniamo indietro nel tempo e ci sporchiamo col sangue di quelli che una volta si chiamavano tra loro “fratelli”. Non potevamo limitarci solo ed esclusivamente al calcio: c’è di mezzo un qualcosa di troppo, ma veramente troppo più grande.

Tra calcio e guerra

Dejan Savicevic nasce il 15 settembre 1966 a Titograd, la capitale montenegrina che oggi conosciamo con il nome Podgorica. A quei tempi il Montenegro era una repubblica socialista federata alla Jugoslavia, così come Slovenia, Croazia, Serbia, Macedonia e Bosnia-Erzegovina. Dal secondo dopo guerra era gestita dal maresciallo Josip Broz Tito, eroe della resistenza e padre del socialismo jugoslavo. Facile, a questo punto, capire a chi debba il nome la città di Titograd. Per le sue strade segnate dalla Seconda Guerra Mondiale dove riecheggiavano tutti i bombardamenti subiti, il piccolo Dejo girava sempre in compagnia di un pallone. Tappa fissa era lo Stadio pod Goricom, non troppo più anziano di lui e casa della squadra della città: il Budućnost. Ed è proprio su quel prato verde che all’età di 16 anni fa il suo debutto tra i grandi. Vuoi per la precocità del ragazzo, vuoi per il livello medio-basso della squadra, Savicevic non passa troppa tempo in panchina prima di diventare titolare inamovibile. In totale segna 35 reti per i biancoblu, un bel bottino e un biglietto da visita perfetto per le grandi del Paese.

La Stella Rossa di Belgrado non è la prima a mettergli gli occhi addosso, ma è quella che lo vuole con più forza. Nel 1988 lo preleva dal Budućnost e lo trapianta in una realtà completamente differente, nulla a che vedere con Titograd. I responsabili dell’area tecnica Vladimir Cvetković e Dragan Džajić avevano allestito la squadra squadra più forte che si fosse mai vista in Jugoslavia, con l’obiettivo di consolidare il dominio in campionato e puntare all’affermazione anche in campo europeo. La rosa è un carrarmato, il portiere Stevan Stojanović il suo capitano e Dejo l’ennesimo cannone pronto a far fuoco sulle difese avversarie. Eppure nella sua prima stagione a Belgrado non riesce a portare a casa nessun titolo: il Partizan si aggiudica la coppa nazionale, mentre il Vojvodina vince la Prva Liga chiudendo a +3 proprio sulla Stella Rossa.

Intanto, sul piano politico, qualcosa si muove. Tito è morto nel 1980 e la Repubblica è in crisi: il maresciallo era l’unica figura in grado di tenere a bada gli Stati membri, profondamente differenti sotto ogni punto di vista. La caduta del Muro di Berlino (1989) dà coraggio a Slovenia e Croazia che portano avanti campagne indipendentiste. È l’inizio della fine per la Jugoslavia. Ovviamente, in un contesto del genere prolifera l’odio e si perde il conto dei disordini sociali. L’ennesimo pretesto per creare scompiglio arriva il 13 maggio 1990

A distanza di una settimana dalla vittoria dell’Unione Democratica Croata di Franjo Tuđman alle elezioni politiche in Croazia, al Maksimir di Zagabria va in scena Dinamo Zagabria-Stella Rossa. Il gruppo ultras dei serbi, i Delije, partì per la trasferta con l’intento di punire i ribelli croati. Già nel pre-partita si rese protagonista di atti vandalici, ma non fu nulla in confronto a quello che fece all’interno dello stadio: le squadre non poterono nemmeno battere il calcio d’inizio perché il campo si trasformò in trincea, scenario del caos più totale tra lacrimogeni, coltelli, manganelli e cannoni ad acqua. Una delle pagine più buie del calcio jugoslavo. Mentre l’asso della Dinamo Zvonimir Boban colpiva con un calcio un poliziotto e Savicevic veniva scortato negli spogliatoi dai dirigenti, i tifosi biancorossi urlavano al cielo:

Zagabria è Serbia! Uccideremo Tuđman!

Tornando al calcio, la squadra di Belgrado metabolizza la stagione al di sotto delle aspettative e riparte con ancora più fame di prima. Dal ’90 al ’92 vince tre campionati e una coppa nazionale. La soddisfazione più grande di quel periodo d’oro arriva, però, in campo internazionale. Nella stagione 1990-91, dopo aver liquidato il Bayern Monaco in semifinale, Savicevic e i suoi affrontano l’Olympique Marsiglia in finale di Coppa dei Campioni. Lo 0-0 iniziale regge fino al triplice fischio, tempi supplementari compresi, poi i francesi cedono il passo ai calci di rigore. Per quanto possa sembrare assurdo oggi, la Stella Rossa era sul tetto d’Europa. Anzi, l’intera Jugoslavia lo era. Anche qui si vede il potenziale di questo sport: un Paese sconvolto dalla guerra civile mette da parte le ostilità per una sera, si veste di bianco e di rosso e fa il tifo per un’unica squadra che lo farà entrare nella storia del calcio.

Stella Rossa 1991 - Foto Jacques Demarthon Patrick Hertzog AFP via Getty Images OneFootball
Stella Rossa campione d’Europa 1991 (Foto: Jacques Demarthon, Patrick Hertzog/AFP via Getty Images
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La vittoria in Coppa dei Campioni portò in dote la partecipazione alla Coppa Intercontinentale. Sebbene in quel di Tokyo Dejo rimedi un cartellino rosso al 42′, i suoi compagni superano in scioltezza i cileni del Colo Colo (3-0). Errata corrige: Stella Rossa sul tetto del mondo.

Il Genio incompreso

La situazione nei Balcani precipita. Dopo Slovenia e Croazia, anche la Bosnia-Erzegovina e la Macedonia hanno proclamato la propria autonomia e, sebbene Serbia e Montenegro abbiano deciso di continuare insieme sotto il nome di Repubblica Federale di Jugoslavia, il futuro a Belgrado per Savicevic non si prospetta dei migliori… Ma mettiamola così: è tempo di nuove sfide. Nell’estate 1992 si trasferisce in Italia, nel Milan dove dovrà condividere lo spogliatoio con l’ex rivale Boban. I due non la presero sul personale, approfittarono per conoscersi meglio e si riscoprirono. Ultimamente il montenegrino ha confessato:

Io e Boban siamo sempre stati buoni amici. Non parlavamo della guerra, alla fine non era colpa nostra…

Savicevic Milan - Foto Patrick Hertzog AFP via Getty Images OneFootball
Dejan Savicevic in azione con la maglia del Milan (Foto: Patrick Hertzog/AFP via Getty Images – OneFootball)

Il presidente Silvio Berlusconi stravede per lui e sborsa 10 miliardi di lire per convincere i serbi a lasciarlo partire. Di tutt’altra idea è l’allenatore Fabio Capello, che di farlo giocare con continuità proprio non ne vuole sapere. È solo una comparsa nell’ultimo Milan degli olandesi e per questo non si gode fino in fondo la vittoria dello Scudetto ’92-’93. Ceduti Gullit e Rijkaard, sperava di trovare un minutaggio maggiore, ma così non è. Dalla panchina, senza avere neanche un minuto a disposizione per poter aiutare i suoi compagni, Dejo assiste amareggiato alla sconfitta per 3-2 con il San Paolo nell’Intercontinentale del 1993.

Arrivano le vacanze di Natale ma c’è poco da festeggiare. Savicevic borbotta: non vuole più giocare per Capello. La finestra invernale del calciomercato cade a fagiolo, ma Berlusconi tuona:

Tratterremo Savicevic, a costo di compiere sforzi enormi. Ci dispiace non andare a prendere Bokšić o Romario a una cifra relativamente modesta: cinque milioni di dollari. Ma questa è la prova che su Dejan abbiamo scommesso pesante.

Se il cavaliere non si fosse opposto, i milanisti avrebbero tutt’altri ricordi dell’ex Stella Rossa. Il giocatore stesso riconoscerà al presidente di essere stato lungimirante:

Lo staff tecnico era contro di me, sostenevano che non mi fossi integrato, che non parlassi bene la lingua. Se non fosse stato per Berlusconi me ne sarei andato. A lui devo molto. Mi è stato vicino e mi ha aiutato nei momenti difficili.

Un arcobaleno indimenticabile

Se Savicevic e il Milan avessero divorziato, il mondo non avrebbe potuto contemplare uno dei gol più belli nella storia delle finali di Champions League. Si giocava ad Atene, Milan contro Barcellona, e fu semplicemente geniale.

L’illustre firma de La Gazzetta dello Sport Luigi Garlando racconta che i favori del pronostico erano tutti per i catalani, che all’arrivo in aeroporto ridevano e scherzavano puntando il dito verso i rossoneri che avrebbero dovuto fare a meno di Marco Van Basten, Franco Baresi e Billy Costacurta. Ci pensò il karma a far abbassare la cresta agli uomini di Cruijff: a fine primo tempo sono già sotto di due reti, entrambe firmate da Massaro. Ad affondare definitivamente la “Barca” è il più famoso acuto del montenegrino in maglia rossonera. Garlando scrive:

Il Genio numero 10, tutto spostato sulla destra, sparò in cielo un pallone che sfiorò la Luna e ricadde alle spalle del portiere del Barcellona: un arcobaleno indimenticabile.

Ed è bello immaginare che anche Bruno Pizzul, in telecronaca, si sia stropicciato gli occhi prima di riprendere il fiato mozzato e celebrare la giocata che valse il 3-0.

Prima del fischio finale c’è tempo per il gol di Marcel Desailly. Il 4-0 al Barcellona vale la quinta Coppa dei Campioni per il Milan, la seconda in carriera per Dejo. Ora è ufficialmente “il Genio“, una leggenda del club.

Non ero un genio, ero solo un ottimo giocatore. Mi chiamavano così perché facevo cose che gli altri non potevano fare, ma solo perché avevo più fantasia.

La marcia vincente del Diavolo e del Genio non si ferma in Grecia: arrivano altri due successi in Serie A, una Supercoppa Italiana e una Supercoppa UEFA. Dopo tre annate al limite della perfezione, Capello saluta per sedersi sulla panchina del Real Madrid. Finisce un ciclo. Nonostante ciò, Savicevic resta a Milano. La stagione è pessima e sulla panchina si susseguono Oscar Tabarez e Arrigo Sacchi: Supercoppa persa contro la Fiorentina, eliminazione ai quarti di Coppa Italia per mano del Vicenza e 11° posto in campionato (peggior piazzamento dell’Era Berlusconi). Fuori dalle competizioni europee, il Genio incontra Berlusconi e rescinde proprio contratto.

Dopo un breve periodo di inattività, decide di far rientro alla Stella Rossa. Gioca solo tre partite a Belgrado, poi firma con il Rapid Vienna, ultima tappa della sua carriera.

Addio Jugoslavia

Com’è finita la vicenda jugoslava? Penso che questa storia la conoscano già tutti, ma forse in pochi si ricordano della doppia sfida tra Croazia e Jugoslavia del 1999 e del forte valore simbolico di cui si sono vestiti questi incontri. L’urna si era divertita a mettere l’una di fronte all’altra  le due nazionali per le qualificazioni agli Europei d’Olanda del 2000. Sebbene fossimo alla fine del decennio, entrambe portavano rancore: la Jugoslavia era in forte declino a causa della Croazia, in ginocchio per la guerra in Kosovo e i bombardamenti della NATO; la Croazia, invece, riconosceva nella Jugoslavia l’oppressore. Tra andata e ritorno non mancarono dei momenti ad alta tensione.

Nel primo match, quello giocato in Serbia, si spensero improvvisamente i riflettori del Marakana quando il risultato era fermo sullo 0-0 e la ripresa era da poco iniziata. Ecco che spuntano i puntatori a infrarossi. Sono i fucili dei cecchini. I giocatori croati hanno ragionevolmente paura. A quel punto, però, i giocatori della nazionale jugoslava capiscono la situazione e li abbracciano in modo tale da difenderli. Dopo circa tre quarti d’ora riecco la luce. La partita termina con un pareggio a reti bianche.

Se si pensa che il bel gesto degli jugoslavi avrebbe riconciliato gli animi in vista del ritorno, si sbaglia di grosso. Pronti, via: Bokšić porta in vantaggio i padroni di casa, poi un autogol e un colpo di testa di Dejan Stankovic la ribaltano. La partita è tesissima. Quando Robert Jarni si fa sotto centrale serbo Zoran Mirković in seguito ad un contrasto vivace, questo lo colpisce all’altezza dei genitali. Rosso diretto. Stanić fa 2-2, ma non basta. Il risultato premia e qualifica la Jugoslavia. Questa fu anche l’ultima apparizione di Dejan Savicevic in nazionale. All’ultimo respiro si è tolto lo sfizio di mettere in castigo, a modo suo, i ribelli croati. A Zagabria poi, a casa loro…

Savicevic Jugoslavia - Foto Eric Feferberg  AFP via Getty Images OneFootball
Dejan Savicevic durante una conferenza stampa della nazionale jugoslava (Foto: Eric Feferberg/AFP via Getty Images – OneFootball)

L’Europeo del 2000 fu l’ultimo della Jugoslavia. Nel 2003 la Repubblica prende il nome di Unione di Serbia e Montenegro, per poi scindersi nei due stati indipendenti di Serbia e Montenegro nel 2006. Nel 2008 anche il Kosovo si proclamerà la propria autonomia, sollevando forti polemiche in Serbia. Ma che si chiami Jugoslavia o Montenegro, cambia poco: Dejan Savicevic è stato, è e continuerà ad essere per tutti il Genio.

Autore

Viterbese classe ’99, muove i primi passi con ai piedi un pallone e, neanche a dirlo, se ne innamora. Quando il calcio giocato smette di dare speranze, ci pensa giornalismo sportivo a farlo sognare. E se si fosse trattato di campo, essere riserva di lusso lo avrebbe fatto rosicare… alla tastiera non potrà che essere un valore aggiunto.

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