fbpx Riserva Di Lusso
ICONE

Icone: Antonio “Totò” Di Natale

Il protagonista di questo pezzo è alto a malapena 170 centimetri e balla con la numero 10 sulle spalle ma no, non è Lionel Messi. Eppure ha estro, classe, tecnica, rapidità d’esecuzione e tra le tantissime frecce al suo arco vanno segnalate l’umiltà e la fedeltà, valori che fanno di lui un’icona. Signore e signori, oggi si parla di Antonio Di Natale, il Totò di Udine.

Siete mai stati al bivio nella vostra vita? Vi siete mai ritrovati a dover scegliere tra questo o quello? Per Di Natale questa è stata una situazione ricorrente. E se “La vita è la somma di tutte le nostre scelte” (Albert Camus), questo vale anche per la sua stupenda carriera, costruita su tre grandi rifiuti in nome dell’Udinese e della sua famiglia. Zero ripensamenti, d’altronde è così che ha lasciato un segno indelebile nel calcio italiano.

Cuore? No, grazie

Totò Di Natale nasce a Napoli il 13 ottobre 1977 e come tutti i bambini della sua generazione cresce a pane e pallone per le vie della città, sognando Maradona. Quando il Pibe de oro sbarca in Italia lui non ha ancora compiuto 7 anni. A partire da allora ogni domenica è festa, tutti i rioni cantano all’unisono e pregano il loro Dios. Preghiere esaudite: due Scudetti, una Coppa Italia, una Supercoppa Italiana e una Coppa UEFA. Il piccolo Totò vede solo azzurro. Chissà cosa darebbe per vestire quella maglia e fare magie come il suo idolo. A soli 13 anni si trasferisce in Toscana per entrare a far parte dell’Empoli e mettersi al lavoro per diventare un giocatore professionista. Non puoi giocare per il Napoli se prima non sei all’altezza, meglio prepararsi…

Quasi vent’anni dopo il suo addio a casa il puzzle sta per essere ultimato: è titolare in pianta stabile e capitano dell’Udinese, ha alle spalle una buona esperienza con l’Empoli ed è nel giro della nazionale. L’ultimo tassello sarebbe il passaggio alla sua squadra del cuore, ma di finire quel puzzle Totò non se l’è sentita. Perché effettivamente, nell’estate del 2009, il Napoli fa capolino e presenta un’offerta. Sembravano esserci tutti i presupposti, ma contro ogni pronostico la trattativa si arena. I pianeti non erano perfettamente allineati, o meglio, lo sarebbero stati se solo lui avesse voluto. La spiegazione di questo no? Ce la dà direttamente Di Natale:

Amo Napoli, i suoi abitanti e la sua squadra. Ho sempre pensato a come sarebbe stato giocare con gli azzurri. Per me sarebbe stato un peso troppo grande. Qualcuno ha avuto il coraggio di farlo, altri no. Io ho avuto paura di non riuscire a fare ciò che invece ho fatto.

Di Natale e la sua Udinese in trasferta al San Paolo (Foto: Giuseppe Bellini/Getty Images - OneFootball)
Di Natale e la sua Udinese in trasferta al San Paolo (Foto: Giuseppe Bellini/Getty Images – OneFootball)

I partenopei virano sul compagno di reparto di Totò, lo stabiese Fabio Quagliarella: 16 milioni di euro più il cartellino di Maurizio Domizi, affare fatto. Così i due attaccanti si trovano l’uno contro l’altro già in avvio di stagione 2009/10, in quel del San Paolo. Avrebbe potuto vestire d’azzurro quel giorno e, invece, è abbracciato ai suoi compagni in giallo. L’amore per il Napoli resta intrappolato tra un battito e l’altro, proprio all’altezza del petto, mentre quello per l’Udinese sboccia definitivamente. La partita finisce 0-0. Per Totò 90 minuti in campo sotto gli sguardi infastiditi di circa 36 mila tifosi napoletani che faticano a capire il suo rifiuto e iniziano a guardarlo con sospetto, come se non tenesse veramente al Napoli. Sarà una delle sue rarissime apparizioni da quelle parti, visto che – guarda caso – quando si avvicinavano i match contro il Napoli il fisico non reggeva. Una sorta di patto non scritto con la società, confessato a posteriori:

È vero, scansavo il Napoli. Sono stato quasi sempre assente nelle partite contro di loro perché fargli gol era come segnare a mio fratello, meglio evitare.

Malumore del San Paolo a parte, Di Natale è autore di una stagione superlativa. Ora che Quagliarella se n’è andato è più libero di giocare vicino alla porta e in questo ruolo fa lo step definitivo che lo porta alla consacrazione. I numeri parlano chiaro: 29 gol in 35 presenze fanno di lui il capocannoniere della Serie A. I bianconeri chiudono con un tutt’altro che rasserenante 15° posto, ma il patron Pozzo sa di aver trovato in Di Natale il leader imprescindibile della sua squadra e di un’intera tifoseria.

Di Natale in dribbling su Esteban Cambiasso (Foto: Claudio Villa/Getty Images - OneFootball)
Di Natale in dribbling su Esteban Cambiasso (Foto: Claudio Villa/Getty Images – OneFootball)

Blasone? No, grazie

Dopo una stagione del genere è normale avere i riflettori puntati addosso e spesso, quando le cose vanno così, è facile rimanere abbagliati. Non è questo il caso. Nei mesi più caldi del 2010 la Juventus parte all’assalto di Di Natale. La Vecchia Signora non era ancora la squadra schiacciasassi che conosciamo oggi, veniva da un insoddisfacente 7° posto e si apprestava a giocare il suo quarto campionato di A dal post-Calciopoli. Ma la Juve è sempre la Juve, tutti sapevano che non sarebbero trascorsi troppi anni prima di rivederli trionfare. Al capitano dell’Udinese questo non interessa. Beppe Marotta e Fabio Paratici ci provano in tutti i modi, ma alla fine si arrendono e caso vuole che il piano B sia nuovamente Fabio Quagliarella. Su Repubblica, Gabriele Romagnoli sentenzia:

Di Natale è a casa, non se ne andrà mai.

La giocata extra campo fa felici due popoli: da una parte quello friulano, che si tiene stretto il suo campione, dall’altra quello partenopeo, che inizia a rivalutare la cosiddetta napoletanità di Totò.

Quel no alla Juve? Non torno sui miei passi, anzi ne vado fiero. Probabilmente avrei vinto di più, ma ero felice e non avevo motivo di lasciare Udine.

Nella stessa estate torna in panchina un certo Francesco Guidolin, uomo dai grandi valori prima ancora che allenatore di tutto rispetto che era già passato di lì nel 1998/99 quando l’Udinese si giocava la Coppa UEFA. L’obiettivo della società era proprio quello: tornare a sognare la trasferte europee. Nulla di impossibile, ma quantomeno non pronosticabile nel brevissimo periodo. Al diavolo i pronostici…

Di Natale esulta con Guidolin dopo un gol (Foto: Dino Panato/Getty Images - OneFootball)
Di Natale esulta con Guidolin dopo un gol (Foto: Dino Panato/Getty Images – OneFootball)

La partenza non è delle migliori (quattro sconfitte consecutive: Genoa e Juventus in casa, Inter e Bologna in trasferta), ma sulla lunga distanza la squadra aumenta il passo. Continua il periodo magico di Di Natale, che si laurea capocannoniere per il secondo anno consecutivo, ed esplode il talento di Alexis Sanchez, sua spalla ideale in attacco: in due contribuiscono a circa il 62% dei gol dell’Udinese (40 su 65). La clamorosa rimonta li porta addirittura ad immischiarsi nella lotta Scudetto, poi chiudono al 4° posto e si qualificano ai preliminari di UEFA Champions League. È festa grande in città.

Di Natale e Alexis Sanchez festeggiano la qualificazione alla Champions League (Foto: Alberto Lingria/AFP via Getty Images - OneFootball)
Di Natale e Alexis Sanchez festeggiano la qualificazione alla Champions League (Foto: Alberto Lingria/AFP via Getty Images – OneFootball)

L’Udinese di Guidolin ha avuto un solo difetto, ovvero quello di non riuscire mai a superare un turno preliminare nelle competizioni europee: è successo prima con l’Arsenal e con lo Sporting Braga in Champions, poi con lo Slovan Liberec in Europa League. Di Natale si consola con il riconoscimento di bomber più prolifico dopo Messi e Cristiano Ronaldo nel periodo che va dall’estate 2009 al 1 gennaio 2012 con 67 marcature.

A dirla tutta non sono neanche mancate notti magiche in campo europeo, quelle che Totò sognava da tempo per sé e per i suoi tifosi. Come dimenticare il 2-3 ad Anfield Road, la casa del Liverpool. In quel match firmò un gol e servì un assist. Stevie G e compagni al tappeto. Un’impresa storica. In sostanza: poche trasferte, ma buone.

Luis Suarez sconsolato nei minuti finali di Liverpool Udinese 2-3 (Foto: Clive Brunskill/Getty Images - OneFootball)
Luis Suarez sconsolato nei minuti finali di Liverpool Udinese 2-3 (Foto: Clive Brunskill/Getty Images – OneFootball)

Denaro? No, grazie

Di Natale è sulla via del tramonto, sta per calare il buio che fermerà la sua carriera per consegnarla alla leggenda. Ma c’è ancora spazio per un’ultima tentazione: il denaro.

Era il 2012, quando a sei fusi orari di distanza il governo cinese acconsentiva all’aumento degli slot per i calciatori stranieri in tutte quelle squadre che si qualificavano alla massima competizione continentale, dando il via libera ai club di Chinese Super League per spendere e spandere le proprie finanze nel mercato estero. Da quel momento inizia lo shopping compulsivo delle superpotenze economiche cinesi nei campionati occidentali: i calciatori vengono prelevati con la facilità con cui i bambini raccolgono i fiori da un prato. Il Guangzhou Evergrande arriva ad offrirgli un contratto biennale da 10 milioni di euro (un’enormità in confronto agli 1,3 milioni annui che percepisce a Udine). Oltre ad essere un bel fiore, però, Totò aveva anche delle radici ben salde che lo portarono alla decisione finale:

Non posso accettare. Concluderò la mia carriera qui. Non andrei via neppure se mi dovesse chiamare il Real Madrid.

Aver rinunciato ad un portafoglio pesante porta anche delle soddisfazioni. In Udinese-Chievo del 23 novembre 2014 raggiunge il doppio traguardo delle 400 presenze e dei 200 gol in Serie A, quest’ultimo grazie ad un sinistro al volo che supera Albano Bizzarri. Ne farà altri nove, spodestando Roberto Baggio dal 6° posto della classifica marcatori all time della Serie A. Solo Francesco Totti in quello che potremmo chiamare “calcio moderno” (dagli anni ’90 in poi) ha saputo fare di meglio.

Esultanza di Di Natale al 200° centro in Serie A (Foto: Dino Panato/Getty Images - OneFootball)
Esultanza di Di Natale al 200° centro in Serie A (Foto: Dino Panato/Getty Images – OneFootball)

Quel famoso tramonto al quale avevamo già accennato arriva nel maggio 2016. Lo Stadio Friuli, che nel frattempo ha concluso il suo restyling e preso il nome di Dacia Arena, si prepara ad ospitare l’ultima partita di Di Natale. Quell’Udinese-Carpi sarebbe stata l’ultima anche per Pasquale e Domizzi, ma per il popolo bianconero non poteva che essere la serata del 10. Nonostante ciò, tutti e tre partono dalla panchina. Gli emiliani non vengono per fare le comparse: è l’ultima giornata utile per puntare ai tre punti, sperare in un passo falso del Palermo ed evitare la retrocessione. A fine primo tempo sono avanti di due reti.

Friuli in festa per Udinese-Carpi, ultima partita di Di Natale (Foto: Dino Panato/Getty Images - OneFootball)
Friuli in festa per Udinese-Carpi, ultima partita di Di Natale (Foto: Dino Panato/Getty Images – OneFootball)

Minuto 78, si alza la lavagna luminosa del quarto uomo e lo speaker annuncia: “lascia il campo Bruno Fernandes, al suo posto Totò Di Natale”. Le quattro gradinate si rianimano. Sarebbe bastato quello a loro, vederlo solcare il rettangolo di gioco un’ultima volta, ma il destino aveva in mente ben altro finale per questa storia. Neanche un giro di lancette dal suo ingresso ed è subito calcio di rigore per un fallo di Porcari su Widmer. Non sbaglia, è 1-2. Solitamente in questi casi si corre a recuperare il pallone dal sacco per riprendere a giocare al più presto e completare la rimonta. Non andò così. Esplose di gioia, se lo godette, perché effettivamente non c’era domani. Carpe diem. I compagni lo sollevarono da terra e tra il pubblico c’era chi non riuscì a trattenere le lacrime di commozione. Il triplice fischio sancì la sconfitta, ma in fondo non fregava niente a nessuno…

Il fotografo Dino Panato segue come un’ombra Di Natale che si concede ai tifosi, li abbraccia, salta e canta con loro. Ennesima dimostrazione di un amore che non ha mai negato.

La Curva Nord ringrazia e saluta Di Natale (Foto: Dino Panato/Getty Images - OneFootball)
La Curva Nord ringrazia e saluta Di Natale (Foto: Dino Panato/Getty Images – OneFootball)

LEGGI TUTTI I NOSTRE ICONE

Autore

Viterbese classe ’99, muove i primi passi con ai piedi un pallone e, neanche a dirlo, se ne innamora. Quando il calcio giocato smette di dare speranze, ci pensa giornalismo sportivo a farlo sognare. E se si fosse trattato di campo, essere riserva di lusso lo avrebbe fatto rosicare… alla tastiera non potrà che essere un valore aggiunto.

Lascia un commento

Top