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Icone: Andriy Shevchenko, l’Usignolo di Kiev

Dietro ai grandi progressi e ai recenti successi della nazionale ucraina c’è la mano di Andriy Shevchenko. Un ottimo inizio di carriera manageriale per chi l’Olimpo del calcio se l’è già conquistato indossando gli scarpini. Chi ha avuto la fortuna di vederlo in azione lo sa: guai a concedergli quel metro di troppo, era letale da ogni posizione e non c’era differenza tra sinistro e destro.

Impossibile decantare uno per uno i suoi 250 gol, ma se vi va potete seguirci in questo tentativo di rivivere l’Andriy Shevchenko calciatore. Ad esempio: sapevate che da piccolo partecipò ad un unico provino e venne scartato? Allora come è riuscito ad entrare a far parte della Dinamo Kiev? Ok, iniziamo…

Da Chernobyl alle giovanili della Dinamo

Questa storia inizia con una catastrofe, quella che tutti conosciamo come disastro nucleare di Chernobyl. Era il 26 aprile 1986 quando, a causa di una svista durante l’ennesimo test di sicurezza, il reattore RBMK numero 4 della centrale Lenin esplose dando il via ad una reazione a catena. L’INES gli attribuisce il settimo grado di catastroficità: è il più grave incidente della storia in questo settore. Il materiale radioattivo, che prese il sopravvento dapprima sulla centrale e poi sui territori circostanti, mise in fuga 330.000 persone. Tra queste anche la famiglia Shevchenko, che pochi anni prima si era trasferita dalla piccolissima Dvirkivščyna alla capitale Kiev. A soli 9 anni Andriy si ritrova scaraventato lungo la costa del Mar Morto, lontano dalla casa della Dinamo Kiev, squadra per la quale spera di poter giocare un giorno. Questione di tempo, perché limitati i danni della contaminazione farà ritorno a Kiev e si guadagnerà l’opportunità di mostrare il suo talento in un provino. C’è in ballo l’ammissione ad una prestigiosa scuola di Kiev e, come spesso accade in questi casi, le gambe tremano. Al momento della prova di dribbling l’emozione è troppa: il risultato di Andriy non è abbastanza. Peccato, perché in tutto il resto si era dimostrato all’altezza…

Ma come si suol dire, “quando si chiude una porta si apre un portone”. Al provino era presente anche un emissario della Dinamo Kiev. Rimane stregato dai colpi del ragazzino e decide di chiudere un occhio sui risultati della prova di dribbling e gli propone un posto in squadra. Non fu facile convincere il signor Mykola Shevchenko (che avrebbe preferito la carriera militare per suo figlio), ma alla fine Andriy accettò.

Le giovanili della Dinamo non erano affatto sprovviste di campioni: un Olexandr Shovkovskiy in erbe chiudeva la saracinesca in porta, il piccolo Sheva trasformava in oro pressoché ogni pallone che si aggirava nell’area di rigore avversaria. Esordì ben presto con la squadra B e ne divenne il capocannoniere nella stagione quando ancora non aveva spento diciotto candeline. Il passaggio in prima squadra era ormai certo.

Un diamante grezzo nella mani di Lobanovski

Ad appena 18 anni e 13 giorni fa il suo debutto assoluto con la maglia dei biancoazzurri in un 3-1 sullo Shakthar Donetsk. Per il primo gol invece bisogna aspettare il mese di dicembre e la super-sfida al Dnipro (4-2 per la Dinamo Kiev), ma nessuno in Ucraina voleva mettere fretta: Andriy ha un talento che pochi hanno, deve solamente prendersi il suo tempo per sbocciare. Metaforicamente parlando, per sua fortuna nel 1997 torna a Kiev un giardiniere piuttosto bravo.

Il Colonnello Valery Lobanovski era un allenatore riconosciuto a livello mondiale per il lavoro con la Dinamo e con la nazionale dell’URSS. Era un teorico del calcio e all’interno del suo laboratorio aveva dato vita al calcio scientifico che seguiva le orme del calcio totale olandese. In pratica suddivideva il campo in nove quadranti, occupati da quelli che chiamava uomini universali, in grado di ricoprire tutti i ruoli. Fu tra i primissimi a ricorrere all’utilizzo del computer per raccogliere dati su allenamenti e partite e alla video analisi per arginare le tattiche avversarie.

Una vera e propria rivoluzione, eppure fu tragicamente sminuita ad Occidente. Perché? Facile, era una corrente di pensiero proveniente dalla parte “sbagliata” della Cortina di Ferro, dal lato dei comunisti sovietici, il nemico. Ecco che in Italia, ad esempio, si è rimasti fortemente ancorati al catenaccio nonostante si conoscesse il più moderno calcio scientifico. Inoltre i calciatori riuscivano a rendere oltre il 100% delle possibilità sotto la guida di Lobanovski; se ceduti e trapiantati in altre logiche di gioco, tornavano ad essere atleti nella norma e che spesso tradivano le aspettative. Solo uno di loro riuscirà a far bene lontano dalla Dinamo, spero sappiate già di chi stiamo parlando…

Valery Lobanovski - Foto Imago OneFootball
Valery Lobanovski alla guida della nazionale sovietica (Foto: Imago – OneFootball)

Nelle stagioni 1997/98 e 1998/99 Sheva si consacra non solo come futura stella del calcio europeo, ma anche come uno dei migliori realizzatori in circolazione nonostante la giovane età. Segna 16 gol in Champions League tra qualificazioni e fase finale, proclamandosi capocannoniere della competizione in una delle due annate. E come non citare la tripletta al Camp Nou: in quel di Barcellona il numero 10 si mette in proprio, stacca per ben due volte più alto dei guantoni di Vítor Baía e realizza il rigore che si era astutamente procurato. È il primo ucraino a segnare tre gol in una singola partita di Champions. Serhij Rebrov chiuderà l’opera con il gol dello 0-4, ma al triplice fischio le telecamere non andranno a cercare lui. Andriy è sbocciato, è il fiore più bello dell’Est.

Dinamo Kiev - Foto Imago OneFootball
Andriy Shevchenko, il primo in piedi da destra, in posa con la Dinamo Kiev (Foto: Imago – OneFootball)

Il tandem Lobanovski-Shevchenko frutta due campionati ucraini e due coppe nazionali. Il Colonnello si spense pochi anni dopo, nel maggio 2002. Il centravanti dichiarò così tutto il suo affetto per lui:

Quando ricevetti la notizia fu terrificante. È stato come un padre per me, mi ha cresciuto e mi ha fatto diventare quello che sono oggi. Porterò sempre tutti i trofei sulla sua tomba, perché è giusto così: sono il 50% suoi ed il 50% miei.

Anni d’oro

Ariedo Braida, allora al Milan, si era follemente innamorato delle qualità di Shevchenko. Con i fondi del presidente Silvio Berlusconi alle spalle sapeva che non avrebbe avuto problemi a convincere gli ucraini a lasciarlo andare, ma l’ultimo ostacolo da superare era lo scetticismo del collega Adriano Galliani. La dirigenza rossonera non andava mai a visionare dal vivo i giocatori prima di metterli sotto contratto, ma quella volta fecero uno strappo alla regola: Braida e Galliani volarono a Kiev per assistere ad una partita di Champions. Quella competizione era l’habitat naturale di Sheva, eppure il 10 non brillò. Quella trasferta avrebbe dovuto sciogliere ogni dubbio e, invece, si concluse con queste parole da parte del condor:

Ma sei matto? Davvero vuoi prendere questo?

La risposta è “sì” e nulla impedirà al friulano di concludere l’operazione. Il Diavolo sborsa 25 milioni di dollari e, per quanto possa sembrare buffo, il braccio destro di Berlusconi si ritrova a sorridere ai fotografi in compagnia dell’ex Dinamo Kiev. Non sa ancora che quel ragazzo lì gli regalerà molti altri sorrisi, più sinceri, a 32 denti.

Andriy Shevchenko Milan
Andriy Shevchenko festeggia con la casacca rossonera (Foto: Claudio Villa/Allsport via Getty Images – OneFootball)

In rossonero Shevchenko si conferma macchina da gol, vincendo il titolo di capocannoniere al primo anno di A. Le sue prestazioni sono sotto gli occhi di tutti e per questo, sia nella stagione 1999/00 che in quella 2000/01, si classifica terzo nella graduatoria per il Pallone d’Oro. La differenza tra lui e i vincitori, in quel caso Rivaldo e Figo, sta nel fatto che all’ucraino mancano trofei importanti. Nelle sue prime tre annate all’ombra della Madonnina, infatti, non riesce ad alzarne nemmeno uno.

La sinfonia cambia la sera del 13 maggio 2003. Inter-Milan, semifinale di ritornoUEFA Champions League. Dopo il pareggio a reti bianche dell’andata, i rossoneri sanno che se dovessero segnare basterebbe anche un pareggio per staccare il pass per la finalissima. Detto, fatto: Sheva firma il vantaggio su sull’imbucata di Clarence Seedorf. L’Inter si rifà sotto nella ripresa con Oba Oba Martins, ma non riesce a superare Abbiati una seconda volta. L’1-1 premia il Diavolo per il gol fuori casa, decisivo, dell’Usignolo di Kiev. Una notte magica che tuttavia passa in secondo piano, perché due settimane più tardi sarà lui stesso a mettere la ciliegina sulla torta e a legare indissolubilmente il suo nome alla storia del club.

Il 28 maggio 2003 Milan e Juventus si affrontano in un ultimo scontro tutto italiano per la coppa dalle grandi orecchie. All’Old Trafford, il teatro dei sogni, Andriy veste i panni del protagonista. Non bastano 120 minuti più recupero, si va ai calci di rigore. Nelson Dida apparecchia la scena parando i penalty di Trezeguet, Zalayeta e Montero. Ora sta a lui. È il rigore della vita: a 11 metri di distanza c’è la vittoria, ma anche un’enorme Gianluigi Buffon che lo fissa. Al fischio di Markus Merk non si torna indietro. Tira e… cala il sipario, Milan campione d’Europa.

Rigore Sheva - Imago OneFootball
Buffon battuto, rigore siglato: il Milan è campione d’Europa grazie a Shevchenko (Foto: Imago – OneFootball)

La stagione si conclude il 31 maggio con la vittoria della Coppa Italia contro la Roma (6-3 l’aggregate). E ora sì che i successi sembrano piovere dal cielo. Ad agosto poi, come da prassi, i campioni d’Europa si giocano il primo trofeo della stagione con i vincitori della Coppa UEFA. In quel Milan-Porto (1-0) a deciderla è nuovamente il numero 7, con un’incornata degna di un Diavolo. Anche la Supercoppa UEFA prende la strada di Milano.

Forte di questi successi, la squadra di Carlo Ancelotti decise di andare all-in sul campionato. Dopo sorpassi e controsorpassi in vetta, arriva l’opportunità di staccare Roma e Juventus e chiudere la pratica. Il 2 maggio 2004 i capitolini fanno visita a San Siro: alla vigilia i punti che dovrebbero recuperare sono 6, al triplice fischio 9. Aritmeticamente, il Milan si laurea campione d’Italia per la 17° volta nella sua storia. Chi mise lo zampino in quel match? Ancora e sempre, Andriy Shevchenko. La coreografia della Curva Sud all’ultima giornata è mozzafiato. Può partire la festa Scudetto.

Festa Scudetto 2004 - Foto Carlo Baroncini AFP via Getty Images OneFootball
Festa Scudetto a San Siro (Foto: Carlo Baroncini/AFP via Getty Images – OneFootball)

Il 21 agosto 2004 vince praticamente da solo la Supercoppa Italiana contro la Lazio (3-0), diventando il primo ed unico calciatore nella storia a realizzare una tripletta in questa competizione. Con cinque trofei in bacheca col Milan, tutti nel giro di 365 giorni e poco più tra l’altro, non ci sono più alibi: la FIFA lo premia con il Pallone d’Oro. Il Governo ucraino gli conferisce il titolo di Eroe d’Ucraina, la massima onorificenza per un cittadino del Paese.

Parabola discendente

La carriera di Andriy non è mai andata veramente a picco eppure, come dice il titolo qua sopra, un punto di flesso l’ha avuto. Nel 2005 i rossoneri si trovano nuovamente a giocarsi ai calci di rigore la Champions League, questa volta contro il Liverpool di Steven Gerrard. A differenza di quanto era accaduto due anni prima, però, la partita di Istanbul aveva avuto un copione movimentato: con un’incredibile rimonta da 3-0 a 3-3 i Reds avevano riacciuffato il Milan e speravano che a completare l’impresa sarebbe stata la dea bendata. Dopo gli errori di Serginho e Pirlo, Sheva si fa parare il tiro da Dudek e condanna i suoi alla disfatta. È l’altro lato della medaglia dei calci di rigore, quello più umiliante e doloroso. De Gregori cantava: “Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un calciatore“…

Nel finale di stagione successivo, nei primi minuti di gioco di un Parma-Milan, rimedia una distorsione al ginocchio sinistro. Durante la riabilitazione si intensificano delle voci su un suo ipotetico addio post Coppa del Mondo 2006. Nessuno smentisce e il popolo rossonero inizia a tremare. Qualcuno dà vita ad un sito di nome Sheva resta con noi per raccogliere messaggi d’affetto per il calciatore e convincerlo a restare, un’ultima spiaggia vana. L’accordo col Chelsea arrivò addirittura prima dei Mondiali e così, dopo sette anni, l’ucraino saluta Milanello senza versare lacrime. Era in conflitto con la società? Galliani dirà:

Sheva non è stato venduto dal Milan, è lui che è voluto andare a Londra. Una decisione solo sua, non mia o del presidente Berlusconi. Abbiamo provato a dissuaderlo fino all’ultimo giorno, niente da fare… Voleva il Chelsea.

Più fonti confermarono che Andriy optò per il Regno Unito per permettere a suo figlio Jordan di studiare in una scuola di lingua inglese, proprio come voleva la moglie Kristen. Non conosciamo il rendimento scolastico di Jordan, ma il voto che matura suo padre nell’esperienza con i Blues è una grande e grossa F rossa. E guardando le statistiche non si direbbe, perché abbiamo visto di peggio rispetto ai suoi 22 gol in 77 partite; pesano le prestazioni ben al di sotto delle aspettative, non di certo da Pallone d’Oro. In due anni vince (senza giocare) una Coppa di Lega e perde (anche in questo caso senza mettere piede in campo) un’altra finale di Champions League contro il Manchester United. Una delusione totale. L’edizione dello storico tabloid inglese The Sun in edicola il 21 luglio 2008 non ha pietà:

Shevchenko is the worst transfer market deal for Premier League teams in the last ten years.

Andriy Shevchenko con Didier Drogba - Foto Imago OneFootball
Andriy Shevchenko con Didier Drogba al Chelsea (Foto: Imago – OneFootball)

Per la stagione 2008/09 Abramovich e Berlusconi giungono ad un patto: il centravanti farà ritorno in Italia con la formula del prestito per recuperare la serenità e tornare a Stamford Bridge di nuovo motivato. Anche questa mossa si rivela un fiasco. Zero marcature in 18 partite di Serie A, due nelle coppe dove il Milan non va lontano. Non è più l’Andriy Shevchenko della prima parentesi rossonera. Anche la “sua” 7 oramai appartiene ad un altro, il giovanissimo Alexandre Pato, e lui si deve accontentare della 76. Dopo un’annata del genere non è il benvenuto né a Milano, né a Londra. Deve trovarsi una nuova squadra…

Di nuovo leader

La scelta questa volta è la più romantica di tutte: torna in Ucraina alla sua Dinamo Kiev. Il livello della squadra non è di sicuro quello degli anni ’90, ma resta un top club su scala nazionale in grado di competere ogni anno per il titolo. E poi quella è casa sua, c’è la sua gente, i tifosi che più lo amano e supportano. Firma un biennale, ma si guadagna un terzo anno di contratto sul campo: è vice-capitano e leader, realizza 30 gol spalmati su tre anni, ma non riesce a conquistare il titolo di campione d’Ucraina di fronte ad un inarrivabile Shakthar Donetsk. Riescono a battere gli arancioneri solo nella Supercoppa d’Ucraina 2010/11 ma, come già al Chelsea, Andriy si gode la vittoria dalla panchina. Scaduti i termini del suo accordo con la Dinamo va per i 36 anni e si appresta a dare il suo addio al calcio, ma prima c’è un ultima grande occasione da cogliere…

La UEFA aveva affidato a Polonia e Ucraina il compito di ospitare i campionati europei del 2012 e il popolo ucraino non vedeva l’ora. Per Andriy il discorso era lo stesso: voleva assolutamente prendere parte a quella festa nazionale e, perché no, portare avanti la sua Ucraina. Con la fascia al braccio scende in campo per la partita inaugurale contro la Svezia. L’Olimpiyskyi di Kiev è gremito. Dopo un primo tempo bloccato, succede tutto nella ripresa: al 7′ minuto la sblocca Zlatan Ibrahimovic, poi in dieci minuti Sheva spinge in rete un cross di Konoplyanka e si ripete in occasione di un corner2-1. Con quella doppietta ha reso onore al titolo che gli era stato consegnato: quella notte è un vero Eroe d’Ucraina.

Il cammino degli uomini di Oleh Blokhin si ferma ai gironi a causa delle successive sconfitte nel girone di ferro con Francia e Inghilterra. Sheva annuncia il suo ritiro dalla Nazionale e, qualche giorno più tardi, anche l’addio al calcio giocato.

Tra calcio e politica

Curiosamente, Shevchenko decide di darsi alla politica nell’immediato post-addio al calcio. Si schiera a favore del partito Ucraina-Avanti!, l’evoluzione del vecchio Partito Social Democratico. In questo campo fa molta più fatica di quella che si aspettava: alle elezioni parlamentari del 2012 prende circa l’1,58% dei voti, lontano anni luce dalla soglia di sbarramento. “Peggio di Istanbul” potremmo dire, ma qualcuno potrebbe aver da ridire…

Intanto i media continuano a etichettarlo come futuro allenatore della nazionale. In un primo momento è lui stesso a smentire, poi nel 2016 si riavvicina alla federazione in qualità di collaboratore del c.t. Mykhaylo Fomenko. L’Europeo di quell’anno è scandaloso per l’Ucraina che chiude ultima e senza mai andare in rete il girone C con Germania, Polonia e Irlanda del Nord. Dall’alto decidono che la testa che deve cadere è quella di Fomenko. La panchina viene affidata ad Andriy che non riuscì a risistemare la rosa in tempo per qualificarsi per i Mondiali di Russia 2018, ma ottenne la promozione dalla B alla A in UEFA Nations League e il primo posto nel girone di qualificazione ad EURO2020.

Se i miei obiettivi e le mie vittorie possono aiutare il mondo a ricordare Chernobyl, ben venga. La mia dedica va a chi ancora soffre, nella speranza di portare loro un sorriso.

Signore e signori Andriy Shevchenko, Icona del clacio.

Autore

Viterbese classe ’99, muove i primi passi con ai piedi un pallone e, neanche a dirlo, se ne innamora. Quando il calcio giocato smette di dare speranze, ci pensa giornalismo sportivo a farlo sognare. E se si fosse trattato di campo, essere riserva di lusso lo avrebbe fatto rosicare… alla tastiera non potrà che essere un valore aggiunto.

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