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SUGGESTIONI

This time for Africa

Estate 2010. Impazzano le temperature, cresce la febbre per un nuovo Mondiale, atteso con tantissima ansia in svariate parti del globo. L’Italia spera di rivivere i fasti di 4 anni prima, la Spagna aspira a coronare finalmente la propria ambizione e dare seguito al successo europeo del 2008, Francia e Germania cercano rivincita dopo la delusione del 2006 e le sudamericane vogliono ritrovare il proprio posto in uno scacchiere che le sta mettendo da parte. Ma l’attesa è trepidante soprattutto in Africa, perché quel Mondiale sarà il primo a essere disputato nel continente nero, precisamente in Sudafrica, dove parteciperà, tra le altre, anche il Ghana.

Africa, terra di colori, canti, sole ma anche sofferenze e privazioni. Un calderone di sentimenti vari che si fa particolarmente colmo in Sudafrica, dove il dislivello tra ricchissimi e poverissimi è impressionante. Una porzione di terra dilaniata da guerre e povertà, che non ha però mai perso quel legame primigenio con la vita, quel sorriso che saluta il sole, che mette in armonia l’essere umano con la natura che lo circonda.

L’Africa è un continente particolare, calcisticamente quasi inesplorato nel 2010. È chiaro che l’interesse verso l’inedita kermesse sudafricana sia alle stelle. Lo scenario è quello della proverbiale colonizzazione, le potenze europee si preparano a partire alla volta del continente nero con l’unico obiettivo di conquistarlo. Sembra una macabra figurazione della storia del mondo, però variopinta e intrisa di recondita felicità, ipnotizzata dalle note di quello che è il tormentone che accompagna il Mondiale e l’estate del 2010.

Waka Waka di Shakira è uno dei ricordi più nitidi di quell’esperienza, al pari del gol di Iniesta in finale o della clamorosa figuraccia dell’Italia con la Nuova Zelanda – ma anche col Paraguay e con la Slovacchia. Una canzone iconica, forse la più celebre nella storia delle colonne sonore dei mondiali. Un inno di riscossa, rimasto però inascoltato, perché le parole sono state coperte dalla musica calamitante. Quel This time for Africa che cantava Shakira prometteva tanto, ma ha mantenuto poco.

Nel Mondiale sudafricano del 2010 c’è chi però quelle parole della cantante colombiana le ha percepite, afferrate e ha provato a tramutarle in realtà. Fermandosi tuttavia a un passo dalla storia, a undici metri e due mani dalla consacrazione. La suggestione di oggi investe il cammino del Ghana nel Mondiale 2010, apice e culmine del calcio africano ai Mondiali.

Ghana
L’undici del Ghana nel Mondiale sudafricano (Foto: Cameron Spencer/Getty Images – OneFootball)

You’re on the front line

Il tempo dell’Africa in realtà sembrava già arrivato in altre occasioni. Nel 1990, ad esempio, quando il Camerun guidato dallo storico Roger Milla e dal suo Makossa, che la Coca-Cola sfrutterà per la sua campagna pubblicitaria, disputa un sorprendente campionato Mondiale in Italia. La vittoria con l’Argentina campione del mondo all’esordio, poi il successo con la Romania e la disfatta indolore con l’URSS. Agli ottavi fuori la Colombia, ma il Camerun deve poi arrendersi all’Inghilterra ai quarti, dopo aver ribaltato il vantaggio iniziale, e ai due rigori, crudeli e spietati, di Lineker.

Dodici anni dopo in Corea e Giappone c’è stato il Senegal. Vittoria all’esordio contro la Francia campione in carica, un ricorso veramente particolare che ha subito fatto accostare i Leoni della Teranga al Camerun. Poi i pareggi con Danimarca e Uruguay e la vittoria agli ottavi di finale contro la Svezia con una doppietta di Henry Camara. L’epilogo è dannatamente crudele: la sconfitta ai quarti di finale contro la Turchia, col Golden gol di Ilhan Mansiz.

Il tempo dell’Africa era stato solo sfiorato, ma ora sembrava tornare prepotentemente. Sono sei le nazioni africane che prendono parte alla kermesse del 2010: ovviamente il Sudafrica, paese ospitante con veramente poche ambizioni sportive; il Camerun, una delle grandi d’Africa, fomentato anche dal “Waka Waka” che si rifà proprio ad alcuni canti di guerra camerunesi, che hanno ispirato “Zangalewa” da cui è tratto il brano di Shakira. E poi la cenerentola Algeria, oltre alle tre squadre su cui poggiano le speranze di un continente intero: Costa d’Avorio, Nigeria e Ghana.

Quest’ultima selezione in particolare promette bene. Appena un anno prima il Ghana aveva trionfato nel Mondiale U20, battendo in finale l’Egitto. Un anno dopo le Black Stars si presentano al Mondiale con una rosa di buon livello, un mix di giovani, tra cui spicca il milanista Dominic Adiyiah, e di giocatori affermati, con leader come Kevin-Prince Boateng e Sulley Muntari.

Il Paese inoltre vive una situazione di inconsueta calma politica. Nel 2009 il Ghana ha ricevuto lo status di democrazia stabile, un unicum quasi in Africa, dopo che John Atta Mills ha assunto l’incarico di presidente in maniera legittima, per la seconda volta consecutiva. Sembra un procedimento scontato agli occhi di un figlio delle democrazie occidentali, ma in Africa è un evento abbastanza inconsueto.

Il Ghana si tiene lontano dalle sanguinose lotte per il potere che contrassegnano gli altri stati africani, con colpi di stato all’ordine del giorno e governi militari che si susseguono senza sosta. Il Ghana ha le carte in regola per far rivivere quel tempo dell’Africa e ha tutta l’intenzione di proseguire nella strada tracciata da Camerun e Senegal.

Everyone’s watching

Il girone è alla portata delle Black Stars. C’è la Germania, testa di serie e favorita, poi ci sono Serbia e Australia. Il primo match è proprio contro gli slavi, un crocevia già decisivo per la qualificazione. Il primo tempo si chiude senza particolari sussulti, sul risultato di 0-0. Nella ripresa l’equilibrio viene spezzato dall’ingenuità di Lukovic al 74′, che già ammonito rimedia il secondo giallo e si fa espellere. Il Ghana prende coraggio ma non riesce a sfondare, fino alla seconda ingenuità dei serbi, quando all’84’ Kuzmanovic tocca col braccio in area un cross di Ayew. È rigore. Dal dischetto va Asamoah Gyan che tira centralmente e regala la vittoria all’esordio ai suoi.

Dopo i tre punti alla prima il Ghana pareggia nella seconda giornata contro l’Australia, sprecando la possibilità di ipotecare subito il passaggio del turno. Apre Holman, poi pareggia il solito Asamoah Gyan su rigore. L’Australia rimane in dieci dal 25′, ma resiste stoicamente, bloccando sull’1-1 il Ghana. Nell’ultima giornata poi gli africani soccombono contro la Germania, basta una rete di Özil ai teutonici per vincere. La sconfitta è però indolore per le Black Stars: l’Australia infatti batte a sorpresa la Serbia e regala la qualificazione agli ottavi al Ghana, avanti sui canguri per la miglior differenza reti.

Asamoah Gyan
Asamoah Gyan esulta dopo il gol contro l’Australia (Foto: Robert Cianflone/Getty Images – OneFootball)

La competizione entra nel vivo. La fase finale di un Mondiale col suo meccanismo spietato del “vivi o muori” ha quel fascino sublime della totale glorificazione o della resa incondizionata. Non c’è mezza misura, dentro o fuori, vittoria o sconfitta, gioia o dolore. Il tabellone mette di fronte Ghana e USA. Gli americani hanno vinto a sorpresa il loro girone, arrivando davanti all’Inghilterra. Sono una squadra fastidiosa, fisica e organizzata. A Rustenburg va in scena uno degli ottavi più equilibrati della competizione, un appuntamento con la storia per entrambe le squadre.

Dopo cinque minuti un missile di sinistro lanciato da Boateng squarcia subito l’atmosfera tesa. Le vuvuzelas soffiano all’impazzata, il Ghana è già avanti sugli USA. Un vantaggio che regge per tutto il primo tempo, con gli americani mai in partita. Nel secondo tempo la musica è ben diversa, gli Stati Uniti entrano in campo con una linfa nuova e al minuto 62 trovano il pareggio con un rigore del leader Landon Donovan. Il match si ribalta, il Ghana è alle corde ma gli USA non riescono ad approfittarne. Finiscono i tempi regolamentari e al ritorno in campo la situazione ancora una volta si capovolge. Dopo appena tre minuti i centrali americani pasticciano su un rilancio di Appiah, Gyan raccoglie la sfera e fulmina Howard, siglando il 2-1. Risultato che sarà definitivo: il Ghana controlla nel tempo che rimane, gli Stati Uniti non controbattono, e le Black Stars volano ai quarti di finale.

La storia è scritta. Battendo gli USA, il Ghana eguaglia il miglior risultato di una squadra africana a un Mondiale: i quarti di finale. Ma non basta, non può. Il Mondiale in Sudafrica è una vetrina senza precedenti per il rilancio non solo del calcio africano, ma di un continente intero. La favola del Ghana sta diventando il grido di migliaia di persone, della parte ignorata del mondo. Un grido di esistenza, un atto identitario. Il Ghana è spinto da tutto un continente, e non solo. Serve quel passo in più, che l’Africa non ha mai fatto. Il tempo sembra propizio.

Nei quarti l’appuntamento è difficile, ma sulla carta non proibitivo. A Johannesburg il Ghana incontra l’Uruguay, squadra operaia al servizio dei fenomeni in attacco, un trio eccezionale formato da Cavani, Suarez e Forlan. Nel primo tempo il match è bloccato, l’ansia domina la scena. Sul finire del primo tempo però Sulley Muntari si aggira a centrocampo, forse colto da una qualche illuminazione tenta un tiro a dir poco velleitario che trova impreparato Muslera. La palla gonfia la rete: il Ghana è avanti.

Nella ripresa l’Uruguay prova a riordinarsi e al 55′ Diego Forlan trasforma una punizione, strana quanto il gol di Muntari, con un tiro che con un effetto beffardo inganna Kingston e pareggia i conti. A questo punto il match torna sul filo di un equilibrio che non riesce a spezzarsi, almeno fino all’ultimo giro di lancette del secondo tempo supplementare. Punizione per il Ghana da cui si genera una confusissima mischia, la palla dopo qualche rimpallo arriva ad Appiah che colpisce a botta sicura, trovando l’intervento di mano di Luis Suarez.

Suarez
Le mani di Suarez su cui si infrangono i sogni del Ghana (Foto: Michael Steele/Getty Images – OneFootball)

L’arbitro naturalmente fischia calcio di rigore ed espelle l’uruguaiano. Sul dischetto va il solito Asamoah Gyan. È difficile provare a immaginare cosa ci sia nella testa di un calciatore che ha l’occasione di scrivere la storia, portando la sua squadra a una semifinale mondiale. La responsabilità di un popolo intero sulle spalle, sui piedi che fin da bambino hanno rincorso un pallone. Ma quanto peserà quella sfera?

E allora quando ho preso in mano lo Jabulani era pesantissimo, ho preso un respiro e mi son detto: calcia forte e poi urla tutta la rabbia che c’è in te.

Tanto, forse troppo. E infatti Asamoah Gyan rimane schiacciato da quel peso, il pallone si alza, scheggia la traversa, e finisce alto. A undici metri dalla storia il Ghana è costretto a fermarsi, ma nulla è perduto. C’è ancora la lotteria dei rigori.

Dopo il rigore ho pianto, ma ho anche pregato, mi son detto: non è finita, adesso vinciamo ai rigori.

Asamoah Gyan va subito sul dischetto e stavolta segna. Sembra l’inizio della classica storia di rivincita, un bel canonico lieto fine, ma come spesso accade nel calcio, non c’è nulla di tutto ciò. Il Ghana perde ai rigori, la sequenza dei tiri dal dischetto è straziante per le Black Stars, alla fine il sogno finisce sui piedi di Dominic Adiyiah, che sbaglia e sancisce l’eliminazione del Ghana dal Mondiale di Sudafrica 2010.

Ricordo che quando ero in Italia ascoltavo una canzone che diceva che un giocatore non si giudica da come si calcia un rigore.

È impossibile giudicare la resa del Ghana. La lotta, quel grido identitario è rimasto strozzato in gola, si è infranto contro la traversa e poi è stato spazzato via dall’irriverente cucchiaio di Abreu. Una storia bellissima finisce con un epilogo terribile, che altro però non è la summa di anni e anni di storia. Il Ghana si ferma ai quarti di finale, la favola finisce a un passo dalla storia. Tutto però irrimediabilmente tracolla, e il tempo dell’Africa come un soffio di vento sparisce di corsa.

Tifosi Ghana
I tifosi ghanesi in Sudafrica (Foto: Stephane De Sakutin/AFP via Getty Images – OneFootball)

We are getting closer

È davvero facile leggere nel braccio di Suarez la mano del colonizzatore bianco che sottomette l’Africa. Una lettura semplice, ma tremendamente efficace. La storia del continente nero è fatta di soprusi, sfruttamenti e difficoltà. Le ricchezze del territorio l’hanno reso da sempre un frutto goloso da cogliere per le insaziabili potenze occidentali. Ancora una volta questo copione storico si è ripetuto, la lotta del Ghana è stata vana, spezzata da un atto di codardia tremendamente efficace.

Sarebbe stato bello narrare l’epopea del calcio africano, l’affermazione del Ghana nel primo Mondiale nel continente nero. Sarebbe stato bello constatare come il tempo dell’Africa finalmente si fosse concretizzato, che quel lieto fine non si fosse infranto sul braccio di Suarez. Sarebbe stato bello, ma poco realistico. Il calcio è riflesso puro della realtà, c’è poco spazio per l’idillio. La mano di Suarez che toglie la qualificazione al Ghana è solo una rilettura in chiave moderna e calcistica dei fucili europei che piegano le aspirazioni dei popoli africani. È la solita storia del più forte che soggiace il più debole.

Resta però, al di là poi del risultato finale, il ricordo di quella fantastica cavalcata del Ghana. Le Black Stars hanno ottenuto il loro miglior risultato in un Mondiale, hanno eguagliato Camerun e Senegal, spingendosi persino più in là arrivando ai rigori. Hanno scritto comunque la storia del calcio africano.

Hanno poi regalato un sogno, fatto esaltare frotte di persone, hanno portato gioia e colore nell’estate sudafricana. La favola del Ghana nel 2010 resterà sempre negli annali della storia del calcio, un riconoscimento che nessun dominatore bianco potrà mai togliere alle Black Stars. Il tempo dell’Africa alla fine non è arrivato, anzi si è eclissato dopo quell’Uruguay-Ghana. La nazionale guidata da Milovan Rajevac si è subito sfaldata, tante stelle sono sfumate nel nulla, su tutti quel Dominic Adiyiah che da giovane fenomeno in rampa di lancio al Milan è praticamente sparito dal nulla.

Il Ghana è stato l’apice e il culmine, almeno finora, del calcio africano ai Mondiali. Nessuna squadra ha replicato quei risultati e il tempo dell’Africa si è sopito. Pronto però a ridestarsi, quando un nuovo Ghana, un nuovo Camerun o un nuovo Senegal si ergeranno a vessillo del calcio africano. Quando un nuovo Asamoah Gyan, un nuovo Roger Milla, o un nuovo Henry Camara si faranno paladini del grido di riscatto di un continente intero. Nel frattempo, rimane la bellissima storia del Ghana da raccontare, e non è poco.

Ghana
Il Ghana ci ha creduto (Foto: Rodrigo Arangua/AFP via Getty Images – OneFootball)
Autore

Romano, follemente innamorato della città eterna. Cresciuto col pallone in testa, da che ho memoria ho cercato di raccontarlo in tutte le sue sfaccettature.

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