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CALCIO ITALIANO

Franco Vazquez, eroe Donchisciottesco in terra Verdiana

In un’annata da dimenticare, partita con ben altri entusiasmo e ambizione, e sviluppatasi in maniera difficilmente presagibile anche per i meno ottimisti, i tifosi del Parma possono quantomeno consolarsi godendo di una versione nostalgica e quasi comicamente fuori luogo di un delizioso centrocampista, che sembra aver ritrovato anche una forma fisica che mancava da anni: Franco Vazquez, per tutti el Mudo, ma da oggi anche el Hidalgo, sbarcato alla corte di Maria Luigia poco dopo Buffon, una sorta di Sancho Panza in questa storia, visto che le sue prodezze sono state interrotte da lunghi momenti di assenza (e data l’età, non era possibile fare diversamente).

Quando il Parma ufficializza l’acquisto di Franco Vazquez nel cuore della movimentata campagna acquisti dell’estate 2021, quella che vede i ducali ripartire dalla Serie B, tifosi ed addetti ai lavori stentano a crederci. Se uno come lui – si pensa – accetta di scendere addirittura nella nostra serie cadetta, con tutte le offerte che avrà avuto, quello di Krause dev’essere un progetto davvero convincente e più che ambizioso. Il Mudo ha 31 anni, è nella fase calante della sua carriera, ma solo all’inizio. Potrebbe ambire ad altri progetti, in Italia o altrove. Le giocate del periodo palermitano e dei primi anni a Siviglia iniziano ad assumere contorni leggermente più sfocati, ma sono ancora impresse nella memoria di tutti. Le ultime stagioni in Andalusia sono state complicate, non solo dal punto di vista fisico: nell’ultimo anno, anche a causa del contratto in scadenza, era finito completamente ai margini del nuovo progetto Monchi.

A Parma aveva iniziato bene, ma senza sconvolgere: il piede era sempre il solito, riconoscibile, l’intelligenza e il caliente temperamento rioplatense anche (nella grinta e nei contrasti, nei fatti più che nelle parole, coerentemente con il pesante apodo che lo accompagna da sempre). Mancava, come prevedibile, una condizione fisica ottimale, il che lo obbligava ad un gioco compassato e qualche volta gli faceva perdere lucidità. Col tempo, però, anche questa è arrivata e la stagione del Mudo è stato un continuo crescendo, solo la sua però, mentre il resto della squadra si perdeva fra cambi di umore, di modulo, di allenatore e di filosofia. In un gruppo di giovani (o giovanissimi) di belle speranze Vazquez è stato l’unica costante (fra quelli in campo, perché poi ce n’è stata anche una fra i pali) ma anche l’unico a migliorarsi costantemente. Per mesi, in un Tardini prima spazientito, poi scoraggiato, poi depresso, Franco Vazquez ha disegnato calcio, un calcio tecnico, estetico, ma anche fisico, generoso, con la maglia sporca di fango, a tutto campo.

Così, ammirando i suoi cambi di gioco morbidi e millimetrici precedere errori grossolani nell’esecuzione di passaggi elementari da parte dei suoi compagni di reparto, le sua pennellata a giro frapporsi alle disattenzioni del reparto arretrato, i suoi colpi di testa su calcio d’angolo (eh sì, gli toccava fare anche quello) interrompere i goffi tentativi di Simy e Benediczak, le sue rincorse, le sue sportellate, la sua magistrale e a suo modo elegante difesa di palla, con il corpo piantato per terra nonostante un baricentro tutt’altro che basso, vedersi vanificati dai contrasti persi da chi aveva il compito di portare avanti la lotta per il controllo del gioco, ecco, vedendo tutto questo, una mente alla ricerca di qualunque appiglio pur di non assistere allo spettacolo offerto sul campo, immaginava Don Chisciotte, o meglio, El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha.

L’impressione era che Vazquez non c’entrasse nulla con quello che accadeva in campo fuori dal suo controllo, che fosse quasi fuori luogo, che ogni tanto se ne rendesse conto ma continuasse dritto per la sua strada, come a non curarsene. Per il tempo in cui restava in campo, sembrava vagare per il campo lottando, con grande decisione, contro dei giganti che in realtà altro non erano che mulini a vento e a capo (sì, perché in assenza di Buffon aveva anche la fascia da capitano) di un esercito di cavalleria che, ad occhi più lucidi, assomigliava piuttosto a un disorganizzato e disarmato gruppo di combattenti alle prime armi.

Ironia della sorte, una scena come questa, nata dalla mente di Miguel de Cervantes e trasformata in commedia (sottolineiamo commedia) lirica da un grande ma meno famoso compositore come Jules Massenet, andava in scena a più riprese – come se dalla Curva Nord Matteo Bagnaresi si alzassero degli educati “bis!” – allo Stadio Tardini di Parma, palcoscenico Verdiano (e sottolineiamo Verdiano) per eccellenza. Alla fine, il Parma ha concluso una stagione poco brillante in maniera poco brillante, ma comunque ben lontano dalla zona playout, che ad un certo punto dell’umido inverno padano sembrava uno spauracchio non così improbabile. Ecco questa sì che sarebbe una tragedia degna del Teatro Regio. Per fortuna non lo è stata. Non si può però nemmeno dire che sia stata una commedia particolarmente divertente. Diciamo una via di mezzo: una commedia triste.

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