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CALCIO ESTERO

Carioca o Paulista?

Ai nastri di partenza dello scorso 23 febbraio erano partite in 47. Nove mesi dopo e 154 incontri disputati in cui la rete si è gonfiata per ben 420 volte, a contendersi la Copa Libertadores 2021 saranno soltanto due squadre. Palmeiras e Flamengo si apprestano a darsi battaglia nell’incomparabile scenario dell’Estadio Centenario di Montevideo.

Rio contro San Paolo

Rio de Janeiro e San Paolo. Flamengo e Palmeiras. Carioca o PaulistaMengao o Verdao. A contendersi la finale della Copa Libertadores 2021 saranno le due città regine del Brasile, dove oltretutto hanno già trovato ospitale residenza le ultime due edizioni della coppa (Flamengo 2019, Palmeiras 2020). Due città con svariati punti in comune, ma per tanti altri praticamente agli antipodi. Rio figura l’essenza del Brasile nel mondo, San Paolo rappresenta in Brasile la multiformità del mondo.

Come la strana coppia. Rio è il coinquilino approssimativo e disordinato, quello che fa baccano agli orari più improbabili, ma che allo stesso tempo è capace di portare il sole anche nelle giornate più buie. San Paolo è invece quello pignolo, quasi maniacale, a tratti petulante, ma che riesce a mettere una pezza ovunque, qualunque sia il problema in casa. Ne dà una semplice ma significativa descrizione Nelson Rodrigues, raccontando della sua esperienza in un ristorante durante un soggiorno a San Paolo, dove, interrogando uno dei camerieri, cerva di comprendere come il locale, inizialmente pieno all’orario di pranzo, si fosse completamente svuotato da un momento all’altro.

Prima di rispondere, ha indagato: “ Il signore è di Rio?” Ero di Rio. Così mi ha dato una spiegazione succinta e lapidare: “Qui si lavora”. Quello che, evidentemente, non si fa a Rio. A Rio, tre amici che vanno insieme in un ristorante escono quattro ore dopo. […] E perché lavora, il paolista è triste, si, è taciturno. Invece il nostro orizzonte è luminoso e profondo, mentre San Paolo non ha orizzonte, semplicemente non c’è l’ha. O meglio: l’orizzonte Paolista sta a cinque metri da chi l’osserva, ed è un muro.

Nelson Rodrigues, uno che durante l’arco del il novecento in Brasile è stato e fatto un sacco cose. Drammaturgo, scrittore, sceneggiatore e giornalista, sportivo e non. Appassionatissimo tifoso del Fluminense, fratello minore di quell’icona del giornalismo sportivo in Brasile che di nome fa Mario Filho, e da cui prende il nome anche l’Estadio Jornalista Mario Filho, meglio noto a tutti come Maracana, tempio del calcio brasiliano.

Lo stesso stadio che ha ospitato la finale della passata della Copa Libertadores che vide come quest’anno, affrontarsi due squadre brasiliane. Gioco del destino volle però fossero non due squadre della città di Rio, bensì di San Paolo. Santos e Palmeiras si contesero la coppa davanti ad un Maracana a dir poco onirico, quasi vuoto per via delle restrizioni dovute al coronavirus, e che vide trionfare grazie ad un gol al nono minuto di recupero proprio i Verdao, che questa sera si apprestano a difendere il titolo.

Felipe Melo alza la Coppa Libertadores
Gli spalti vuoti sullo sfondo regalano un senso di inquietudine ancora difficile da digerire (Foto: Ricardo Moraes/Getty Images – OneFootball)

In quella stessa stagione il torneo del Flamengo fu invece piuttosto anonimo, con un’eliminazione giunta agli ottavi (anche se solo ai rigori) per mano del Racing che fece storcere non poco il naso ai tifosi del Fla. D’altronde i Rubro-Negro venivano proprio dalla conquisa del titolo nell’annata precedente, arrivato nella folle e drammatica finale contro il River Plate, ribaltata – gli argentini erano in vantaggio per 1-0 dal 14′ grazie al gol di Borré – dalla doppietta nel finale di Gabigol (89′ e 92′), che per qualche minuto sembrò poter essere davvero quel profeta del gol celebrato a Milano qualche anno prima.

All’Estadio Centenario si sfideranno quindi non solo due tra le squadre più titolate del calcio brasiliano, simboli di due città agli antipodi tra di loro, di due modi diversi di intendere vivere la vita ma identici nel vivere il sentimento del calcio, ma anche le ultime due vincitrici della Copa LIbertadores, per quella che si prospetta una serata dai tratti potenzialmente mitologici.

Gabigol festeggia il secondo gol nella finale di Coppa Libertadores 2019
Eroe per una notte, eroe per sempre (Foto: Raul Sifuentes/Getty Images – OneFootball)

Parar é morrer

Fermarsi è morire” dice un proverbio portoghese di cui non ricordo l’esatta fonte. Una sorta di estremizzazione del nostrano “chi si ferma è perduto“. Parole che probabilmente usciranno  anche dalle bocche di entrambi gli allenatori negli attimi subito precedenti la sfida. Da una parte Renato Portaluppi, ormai storica (e stoica) figura del calcio verdeoro, prima in campo e poi in panchina. Alla sua prima esperienza sulla panchina del Flamengo dopo averne vestito i panni da giocatore in ben tre diversi periodi tra la fine degli anni ’80 e i ’90, con la macchia di esser passato dagli acerrimi nemici del Fluminense con entrambe le vesti di calciatore e allenatore, ma ora con la possibilità di redimersi. Dall’altra Abel Ferreira, portoghese trapiantato in Brasile capace di vincere la Copa Libertadores con il Palmeiras al primo colpo, ed ora in corsa per il bis – l’altro unico successo nella competizione era arrivato nel ’99. Simbolo e portabandiera di una nuova e rivoluzionaria scuola di pensiero, in particolar modo per il modo di vedere il calcio in Brasile.

Due menti differenti tra loro, due squadre con stili di gioco opposti. Reazionario contro rivoluzionario verrebbe da dire. Il Flamengo di Portaluppi predilige il classico controllo di gioco alla “brasiliana”, fatto di lunghe fasi di possesso, di tanti passaggi corti, e con una netta propensione per le imbucate tra le linee, cercando inoltre di favorire l’uno contro uno sulle fasce in modo da sfruttare il talento e l’estro delle individualità. Al contrario il Palmeiras di Ferreira ama andare dritto al sodo evitando inutili fronzoli. Verticalizzare appena possibile e soprattutto aggredire l’avversario per cercare di recuperare il pallone il più in alto possibile. Il tutto in un sistema di gioco che vuole essere da connubio tra calcio europeo e sudamericano.

Le due squadre sono arrivate a questa finale di Copa Libertadores professando due stili diversi tra loro, che hanno portato però agli stessi frutti. Probabilmente più tortuoso il percorso del Palmeiras, che dopo gli ottavi con l’Universidad Catolica ha dovuto fare i conti con due scomodi clienti come i concittadini del Sao Paulo e i Gali dell’Atletico Mineiro. Per quanto possibile più agevole il cammino del Flamengo, che prima di bypassare con un doppio 2-0 la semifinale con il Barcelona SC – probabilmente la sorpresa di questa Copa Libertadores – ha praticamente passeggiato sulle spoglie di Defensa y Justicia prima, e Club Olimpia poi.

Dudu festeggia il col al Mineiro nella semifinale di ritorno della Copa Libertadores
Dudu festeggia il gol dell’1-1 in casa dell’Atletico Mineiro, che dato lo 0-0 dell’andata varrà al Palmeiras l’accesso alla finale della Copa Libertadores (Foto: Washington Alves/Getty Images – OneFootball)

Da quando è approdato sulla panchina dell’Allianz Parque, l’allenatore portoghese non è ancora riuscito a vincere uno scontro diretto con il Flamengo, uscendo sconfitto in ben quattro occasioni senza mai riuscire a strappare nemmeno un pareggio. Come se non bastasse la recente tradizione tra le due squadre non sorride certo al Palmeiras, che ha vinto uno solo degli ultimi dieci precedenti contro i Rubro-Negro, risalente oltretutto al 12 novembre di quattro anni fa. Che sia la finale il momento prescelto per interrompere questo tabù?

Copa Libertadores: atto finale

Le rose delle squadre sudamericane, ed in particolare quelle brasiliane, rappresentano sempre il figurarsi di un misto tra astri nascenti del calcio, vecchie glorie tornate in patria e talenti mai esplosi davvero, spentisi spesso con la stessa velocità di un fiammifero. Qualche nome per rendere l’idea a chi non abbia particolare dimestichezza con questi ambienti. David Luiz, Felipe Melo, Filipe Luis, Luiz Adriano, Mauricio Isla. Nomi che magari avreste immaginato di risentire in occasione di un addio al calcio di qualche loro ex compagno, e che invece sono ancora pronti a giocarsi il trofeo più ambito del Sudamerica. A questi si aggiungono altri come il già citato Gabriel Barbosa, Andres Pereira, Matheus Fernandes, Everton Ribeiro. Giocatori dall’enorme talento che sono riusciti a trovare la loro dimensione ideale soltanto in patria. Molto delle sorti della partita passerà proprio per i nomi qui citati.

Everton con la maglia 7 del Flamengo
Ancora faccio fatica ad accettare che l’Europa non abbia mai avuto modo di apprezzare Everton (Foto: Buda Mendes/Getty Images – OneFootball)

Come già detto in precedenza Flamengo e Palmeiras rappresentano due modi di giocare molto diversi tra loro. Altrettanto vero pero è che in una finale i conti fatti in precedenza tendono a saltare, e poco conta quanto preparato a tavolino. Bene lo sanno le squadre proprio in via delle finali disputate nel recente passato, dove entrambe si sono ritrovate a giocare partite secondo copioni completamenti diversi dall’ordinario, cosa che con buone possibilità accadrà anche stasera. Difficile ipotizzarne l’andamento o la trama.

Lo scenario, la storia delle due squadre ed il background culturale di queste, gli allenatori e con essi i giocatori, in aggiunta a tutta la marea di significati che in un paese come il Brasile è capace di portarsi dietro un pallone sono però già di per sé un’assoluta garanzia di spettacolo. Prendete qualche buon amico e delle birre, ordinate la pizza, e troverete a voi una serata come poche altre. E scegliete per chi fare il tifo, perchè una partita del genere non accetta fazioni neutrali. Sarete dalla parte del Flamengo o del Palmeiras? Mengao o Verdao? Carioca o Paulista?

Autore

Terzino da paese in campo, fantasista sulla tastiera. Segnato fin da bambino dalle lacrime di Ronaldo del 5 maggio, ha capito subito che la vita da interista sarebbe stata dura. Scandisce il tempo in base alle giornate di campionato, sperando un giorno di poter vivere di calcio e parole.

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