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CALCIO ESTERO EXTRA-CAMPO

Chiamatemi Silas

Deve aver tirato un gran sospiro di sollievo Silas Katompa Mvumpa quando al minuto ’85 di Stoccarda-Mainz dello scorso 26 novembre ha visto il suo numero 14 colorarsi di verde sul tabellone del quarto uomo. Un brutto infortunio al crociato ne aveva interrotto prematuramente la stagione 20/21, non impedendogli comunque di essere premiato come Rookie of the Season in Bundesliga. Il legamento è una rogna non indifferente per un calciatore in rampa di lancio, soprattutto quando questo fa della corsa e dell’atletismo le sue doti principali.

Ciò che ha reso ancor più significativo il suo ritorno però è l’aver dietro la maglia per la prima volta un nome diverso. Non più “W. Silas“, ma soltanto Silas. Perché una lettera può fare tutta la differenza del mondo. Quella W puntata era la semplice abbreviazione del cognome, Wamangituka, impossibile da riportare per intero per motivi di stampa. Da quest’estate Wamangituka però è soltanto un ricordo. Silas ha trovato il coraggio di scrollarsi di dosso il peso di un’identità che lo schiacciava da tempo.

Silas Katompa Mvumpa a contrasto con Lars Stindl
Le prestazioni di Silas nella stagione 20/21 con la maglia dello Stoccarda gli sono valse il premio di Rookie dell’anno (Foto: Matthias Hangst/Getty Images – OneFootball)

Direzione Europa

Nativo della Repubblica Democratica del Congo, qui Silas ha iniziato a giocare a pallone, facendo la spola tra varie società della capitale Kinshasa. La più importante è l’FC Matete, squadra in cui ebbe l’occasione di instaurare dei primi contatti con l’agente e scout Olivier Belesi, il quale era visto dai giovani calciatori come una figura autorevole, potendo vantare clienti di rilievo nel calcio europeo.

Nel 2017 arrivò una svolta fondamentale, l’Anderlecht offrì a Silas un provino. Il giovane congolese si procurò quindi i permessi e la documentazione necessaria per il governo belga, tutto sotto il proprio nome di battesimo di Silas Katompa Mvumpa. In Belgio le cose andarono bene, la società biancoviola rimase impressionata dal talento del ragazzo che aveva doti fisiche fuori dal comune, ma anche uno spiccato senso del gol non propriamente usuale per un esterno puro. Comunicò quindi l’intenzione di tesserarlo, ma prima sarebbe dovuto tornare in Congo per qualche tempo, così da poter ritornare con un permesso di soggiorno rinnovato.

Qui una storia si interrompe e ne inizia un’altra, quella di Silas Wamangituka. Poco dopo il suo provino in Belgio Silas incontrò nuovamente Belesi, il quale fiutata l’occasione riuscì a convincerlo che se fosse tornato in Africa non avrebbe mai più coronato il suo sogno di giocare in Europa. L’agente era consapevole del potere esercitato su un ragazzo così giovane il cui unico obiettivo era affermarsi nel calcio. Propose quindi a Silas di andare a vivere con lui a Parigi, e il giovane accettò. Quindi sequestrò i suoi documenti e gliene procurò di nuovi. Nel frattempo offrì il giocatore al Montpellier, che intuendo un potenziale interessante lo fece tesserare dalla società satellite dell’Ales, in quinta divisione.

L‘impatto con il calcio francese non fu dei più semplici, con soltanto 6 presenze e un gol da febbraio a maggio. La situazione personale del resto non lo aiutava. Silas aveva pochi contatti con l’esterno, viveva sotto supervisione costante di Belesi. Con lui all’Ales arrivò anche un altro ragazzo congolese, Colet Kapenga, terzino sinistro classe 2000. I due si conoscevano sin da ragazzini, ma mai avrebbero immaginato che sarebbero stati vittima del terribile controllo della stessa persona.

Nonostante questo, i loro destini alla fine si sono rivelati diversi. In un’intervista la scorsa estate Kapenga ha dichiarato di essere stato truffato da Belesi, indirizzando sul proprio conto lo stipendio elargito dall’Ales e incolpando il club francese di essere indietro con i pagamenti. Soprattutto ha parlato dei problemi di salute mentale che queste vicende gli hanno procurato, condizionandone anche la carriera calcistica.

Il talento di Silas, comunque, venne notato anche ai piani superiori, e nel calciomercato estivo del 2018 si fece avanti il Paris FC, militante in Ligue 2. Qui dopo un’iniziale fase di adattamento l’esterno mise a ferro e fuoco il campionato, con un bottino finale di 11 gol. Iniziò a parlarsi con insistenza dell’interesse di alcuni maggiori club europei, su tutti il Barcellona, ma alla fine con sorpresa la spuntò lo Stoccarda per una cifra intorno agli 8 milioni.

La squadra tedesca in seguito alla retrocessione in seconda serie aveva individuato in Wamangituka l’uomo giusto da cui ripartire per riacciuffare la Bundesliga. Giovane, ambizioso, atleticamente devastante, sembrava il profilo perfetto. Sembrò una scelta saggia anche da parte del calciatore e della sua agenzia, decisi nel non affrettare i tempi e privilegiare la continuità. Più di qualcuno però iniziò ad avere dei dubbi. Perché nessuna squadra di Ligue 1 si era fatta avanti nonostante il calciatore si fosse già ambientato nel calcio francese? Come mai i club di cui si vociferava hanno desistito così facilmente, lasciando la strada spianata ad una società sicuramente storica, ma pur sempre di 2.Bundesliga, come lo Stoccarda?

La Germania nel destino

Nel dicembre del 2019 L’Equipe pubblicò i risultati di un’inchiesta, sostenendo che il vero nome di Silas Wamangituka fosse in realtà Silas Katompa Mvumpa. A dare man forte a questa tesi, al di là degli affari loschi di Belesi che stavano venendo fuori – come la denuncia per frode del suo ex-assistito Youssouf Mulumb – c’erano in particolare due testimonianze.

La prima è quella di Pierre Dreossi, dirigente del Paris FC, che sosteneva di essere stato contattato da Max Mokey Nza-Ngi, presidente del Football Club MK nella Repubblica Democratica del Congo. Secondo quest’ultimo Wamangituka era il Silas Katompa Mvumpa che aveva messo sotto contratto nel 2015 per la sua squadra e di cui si erano perse le tracce. Il cambio di nome e documenti sarebbe stato fatto quindi per divincolarsi dal contratto che legava Silas alla sua squadra congolese e permettergli di muoversi liberamente nel contesto europeo. Dreossi inizialmente prese poco sul serio le parole di Nza-Ngi, il quale più avanti gli rivelò di aver ricevuto l’indennizzo che voleva e ruppe ogni contatto. Del resto il club parigino disponeva di tutta la documentazione del ragazzo congolese, e non c’erano segni che qualcosa potesse non essere in regola.

Il secondo indizio è legato alla questione nazionale. Silas aveva fatto tutta la trafila delle giovanili del suo paese, ma nonostante il suo rendimento e la scarsità di elementi di livello nella selezione dell’ex Congo belga, non aveva ancora esordito con la nazionale maggiore. Il selezionatore Nsengi-Biembe, interrogato sull’argomento rivelò di non poterlo convocare per delle questioni burocratiche non meglio specificate.

Nel frattempo comunque, sul campo le cose per Wamangituka andavano a gonfie vele. La prima annata in Germania si concluse con 7 gol e 8 assist e soprattutto il raggiungimento dell’obiettivo promozione. Al cospetto di Pellegrino Matarazzo Silas aveva trovato pienamente la sua dimensione sulla fascia destra, sempre pronto a far ripartire l’azione, servire palloni al bacio per i compagni e colpire col suo destro potente e preciso.

In Bundesliga se possibile le cose sono andate ancora meglio, le prestazioni di Silas sono state infatti talmente buone da fargli guadagnare il premio di Rookie of the Month più volte, oltre che come già detto quello finale di Rookie of the Season. La partnership con Kalajdzic funzionava alla percezione, con i due che avevano una facilità davvero impressionante nel dialogare e trovarsi in area di rigore. Più di qualche volta lo spilungone austriaco è andato in rete proprio su assist dalla destra di Silas, come se fosse un’azione designata e preparata. L’infortunio di marzo è stato una doccia fredda, ma non ha impedito alla squadra del Baden-Wuttemberg di lottare fino all’ultimo per l’Europa, né ha messo in ombra quanto sorprendente è stato il rendimento di Silas nei mesi precedenti.

Silas, Matarazzo e Kalajdzic
Il rapporto di Silas con compagni e allenatore oltre che con la città di Stoccarda ha creato il contesto perfetto per permettergli di rivelare la verità (Foto: Christian Kaspar-Bartke/GettyImages – OneFootball)

Il coraggio di dire la verità

In quella che doveva essere un’estate votata soltanto al riposo e alla riabilitazione, Silas ha deciso di dedicarsi a cose più importanti. Ha rivelato a società e compagni la sua storia, ricevendo il pieno supporto dirigenziale. Ha quindi trovato una nuova agenzia cui affidarsi, passando alla scuderia M-Soccermanagement di cui fanno parte anche altri elementi della squadra come Orel Mangala e Omer Beyaz. Poi si è spinto oltre, e ha scelto di raccontare pubblicamente ciò che gli era successo in questi anni.

L’8 giugno del 2021 sul sito web dello Stoccarda è parso un comunicato, consultabile sia in tedesco che in inglese, in cui le più alte figure della società e lo stesso Silas spiegavano nel dettaglio la situazione. Sven Mislintat e Thomas Hitlzspelger si sono dichiarati anche pubblicamente disposti a fornire al ragazzo ogni tipo di aiuto e supporto necessario, gestendo la situazione nel migliore dei modi anche a livello mediatico.

Dal canto suo Silas, che ha confermato come il suo nome sia in realtà Silas Katompa Mvumpa e come la sua data di nascita fosse stata modificata da 6 ottobre 1998, quella reale, a 6 ottobre 1999, ha raccontato del timore che potesse succedere qualcosa alla sua famiglia. Belesi infatti ne conosceva i connotati, aveva rapporti diramati sul territorio di Kinshasa e nel tempo passato insieme a lui a Parigi era riuscito ad estorcergli sempre più informazioni. Decisivo, per il ragazzo, è stato l’ambiente positivo che ha percepito attorno a lui allo Stoccarda, facendogli trovare la forza di rivelare la verità. Nel frattempo Belesi è scomparso dalle scene, rifiutandosi di commentare la vicenda.

Alla notizia la Bundesliga ha reagito con una multa per il giovane di 300000 euro e una sospensione di 3 mesi (che in ogni caso sarebbe stata scontata tra la spiaggia e il lettino della fisioterapia), una sentenza purtroppo inevitabile cui né Silas né lo Stoccarda si sono opposti. Del resto, paragonati al gorilla che il talento congolese si era appena tolto dalle spalle, 3 mesi sono una piccolezza.

Silas Katompa Mvumpa sostituisce Roberto Massimo
Contro il Mainz Silas ha finalmente potuto giocare sotto la sua vera identità (Foto: Matthias Hangst/GettyImages – OneFootball)

Una storia come troppe

Vicende come questa purtroppo sono quasi all’ordine del giorno nel continente africano, soprattutto per ciò che riguarda la costa ovest. Ragazzi che crescono nel mito di Drogba, Eto’o, Yaya Tourè, Manè, convinti da agenti e intermediari di avere il talento per poter diventare il nuovo volto del calcio in Africa. Così, annebbiate dalle promesse e dalle parole ammalianti di uomini autorevoli, le famiglie sborsano cifre esorbitanti e i giovani calciatori intraprendono viaggi estenuanti alla scoperta di un mondo per loro sconosciuto.

Le stime parlano di cifre che vanno dai 15000 ai 18000 migranti “calcistici” annuali, imbrigliati in una rete fittissima che coinvolge agenti FIFA, intermediari, scout, accademie locali e una serie di criminali dislocati per il mondo e capaci di procurarsi ogni tipo di documento necessario. Per gran parte di questi giovani non c’è lieto fine, vengono sfruttati e poi abbandonati, lontani da casa e spesso senza conoscere neanche la lingua. I regolamenti FIFA sugli standard di vita dignitosa e sulla garanzia del diritto allo studio che si applicano ai ragazzi europei non valgono per coloro che provengono dal continente africano. Si ha a che fare con una vera e propria tratta di minori.

Un fenomeno che spesso finisce sulle bocche dell’opinione pubblica per casi singoli, ad esempio quello di Diallo del Manchester United, o per inchieste mirate il cui eco però svanisce dopo qualche mese. Indubbiamente è complicato fermare un processo inserito in un contesto più ampio di movimenti clandestini e di migrazioni irregolari, ma su cui devono essere la FIFA e le federazioni a intervenire in maniera ingente e decisa anche a costo di un danno economico, rafforzando le regole e punendo i tanti personaggi che ruotano attorno al calcio e si muovono nelle zone grigie della legislazione. Chi ha talento, come Silas, riesce a uscire da queste situazioni. Per ogni calciatore di successo però, ci sono migliaia di vite invisibili che svaniscono senza che nessuno sappia nulla.

Ci sono tante associazioni che lavorano perché si faccia un passo avanti in questo senso. Un esempio è Mission 89, che tra i propri ambasciatori può vantare Matthew Edafe Eseoghene, un ex-aspirante calciatore nigeriano che sulla propria pelle ha vissuto una storia di traffico clandestino. Oppure Samilia, attiva in diversi paesi dell’Africa occidentali su vari fronti, tra cui quello della sensibilizzazione delle famiglie e dei giovani calciatori, per renderli consapevoli dei rischi delle trappole cui potrebbero incorrere. Ci sono poi i ragazzi di Search Your Team, una piattaforma organizzata per permettere ad atleti rifugiati di condividere i propri highlights e venire eventualmente contattati da società europee e statunitensi per un provino. Per i fondatori del sito l’obiettivo è creare un’alternativa possibile ai viaggi clandestini e all’affidarsi ad agenti che non hanno a cuore gli interessi dei ragazzi.

Anche figure importanti nel mondo del calcio si sono esposte. L’ex-giocatore camerunense Jean-Claude Mbvoumin si è detto testimone di molte vicende di questo tipo quando calcava i campi francesi, e per questo ha deciso di dare vita alla fondazione Association Culture Foot Solidaire, vincitrice anche di vari premi. Nell’ultimo anno anche la Football Player Union portoghese si è fatta sentire, chiedendo regole più ferree da parte della Federazione specialmente per ciò che si verifica nelle serie minori.

Silas senza dubbio continuerà a far parlare di sé per i tiri a fil di palo, i palloni regalati ai compagni e gli scatti fulminanti. Non è la sua storia a definirlo, non sono il nome o un anno in più sulla carta d’identità a cambiarne le abilità. Se ha avuto il coraggio di raccontarla è perché i riflettori possano rimanere accesi su una delle più grandi problematiche del gioco più bello del mondo. Così che anche chi non è il più forte a tirare calci ad un pallone abbia l’opportunità di non essere abbandonato ad un destino tristemente ingiusto.

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