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CALCIO ITALIANO

Cambiare pelle per restare in alto

Alejandro Gomez, Juan Cuadrado e Dries Mertens: tre giocatori per tre squadre diverse. Eppure, l’argentino, il colombiano ed il belga hanno qualcosa in comune: reinventarsi tecnicamente per rimanere in alto.

Dopo alcuni anni di appannamento, da diverse stagioni a questa parte il campionato di Serie A sta lentamente alzando il suo livello, sia per quanto riguarda la proposta di gioco delle squadre che per i singoli in mostra. Le squadre di vertice hanno effettuato investimenti mirati, ma non per questo poco ambiziosi: alcune di loro stanno rinnovando il loro roster storico, dopo un lungo ciclo caratterizzato da un blocco compatto e un breve periodo di stagnamento causato dalla riluttanza di accettare la fine di tale ciclo.

Molti simboli della Serie A dello scorso decennio hanno lasciato il campionato nelle ultime due stagioni: basti pensare a Marek Hamsik, Daniele De Rossi e Miralem Pjanic, tutti scaricati dalle loro squadre tra gennaio 2019 e luglio 2020. Epicentri di gioco che facevano girare la squadra al loro ritmo, leader tecnici difficilmente sostituibili. Eppure, due di loro sono stati sostituiti da calciatori di cui non si sarebbe sospettato fino a molto tempo fa.

Elementi che hanno basato la loro carriera su altre caratteristiche rispetto alla regia, ma che si sono evoluti fino ad arrivare a dettare i tempi. Dries Mertens e Juan Cuadrado hanno dato nuove sfumature al loro gioco nel corso degli anni, così come il Papu Gomez, che dal suo approdo all’Atalanta è diventato uno dei talenti più influenti della Serie A, un vero simbolo della Dea allenata da Gasperini, che ha sensibilmente aiutato ad arrivare a ritagliarsi il suo posto in Europa.

Calciatori simbolo di alcune tendenze tattiche del 2020, in un calcio sempre più fluido in cui, come dichiarato a più riprese dall’ex Match Analyst federale Antonio Gagliardi – oggi nello stesso ruolo alla Juve -, “Il ruolo non è più una posizione, ma una funzione”: difatti, si parla di tre giocatori che ricoprono il ruolo di registi nella squadra senza essere geograficamente centrali.

Ordinatori tattici, che si sono guadagnati questo ruolo anche grazie alla fiducia costruita nel corso di tanti anni (Gomez è alla settima stagione in nerazzurro, Cuadrado alla sesta a Torino, mentre Mertens è sbarcato in Campania nel 2013): incalzati nel loro ruolo da colleghi più giovani, atleticamente più freschi, o semplicemente spostati per necessità o esperimenti (poi riusciti). Ma prendiamo singolarmente questi casi.

Gomez, Mertens e Cuadrado: il folletto argentino

Gomez
Gomez in una sfida contro il Chievo Verona (Foto: Dino Panato/Getty Images – OneFootball)

Tornato in Serie A nel 2014 dopo una breve esperienza al Metalist Kharviv, nelle prime stagioni a Bergamo Gomez ha agito principalmente da attaccante di fascia, prima nei 4-4-2 e 4-4-1-1 sparagnini di Colantuono e Reja, poi nel 3-4-2-1 di Gasperini, col tecnico piemontese che gli ha concesso una deroga rispetto al suo solito modulo con due punte mobili. Tuttavia, col passare degli anni, l’affinarsi dei meccanismi tattici del Gasp e una maggior consapevolezza tecnica del Papu hanno portato il classe 1988 a spostarsi sempre più centralmente, come si può notare ad occhio nudo dalle heatmap che vanno dalla stagione 2014/2015 all’ultima conclusasi a luglio.

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Un’evoluzione tecnica e tattica (come avvenuto con Mertens e Cuadrado), quella del Papu Gomez, che è andata di pari passo con l’aumento di imprevedibilità dei nerazzurri bergamaschi: mentre attorno a lui gravitano elementi con caratteristiche tecniche e fisiche molto simili, il bug del sistema è lui, il giocatore che rimane sempre mentalmente attivo, che si muove lungo tutto il campo per creare superiorità posizionale nella zona del pallone.

In sintesi, si può dire che il ruolo di Gomez non sia la seconda punta né il trequartista, ma la linea di passaggio: l’argentino si abbassa spesso per aiutare il primo possesso e risalire il campo, accompagna la manovra sia con che senza palla fino alla trequarti. Senza palla sa leggere il gioco, con è bravo sia a innescare i compagni che a inserirsi in conduzione, grazie a un controllo palla d’élite e una forza nelle gambe che gli permette di sterzare, dribblare il diretto avversario e correre verso la porta, alla luce anche del baricentro basso che non lo sbilancia.

Le statistiche, alcune in particolare, riflettono il suo nuovo ruolo ritagliato dal Gasp. Mentre i numeri puramente offensivi (non-penalty Expected Goals e Expected Assist) sono rimasti molto simili – a dimostrare che non è stato tanto un cambiamento, quanto un ampliamento dei suoi compiti -, vi è stato un sensibile aumento sotto tre aspetti: i passaggi tentati (dai 49,4 p90min della stagione 2017/2018 ai 61,3 e 63,7 delle due stagioni successive), le distanze progressive percorse (392m p90 nella 17/18, 485 e 512 nelle due successive) e i tackle tentati (0,62 nelle stagioni 17/18 e 18/19, 0,98 nella 19/20). Un contributo difensivo più accentuato, una presenza totale sul terreno di gioco.

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Una delle migliori partite del quinquiennio bergamasco di Gomez, il 5-0 al Milan dello scorso dicembre. Per lui 1 gol, 1 assist, 6 contrasti riusciti – su 10 tentati – e 3 dribbling riusciti su 5 (Foto: Marco Luzzani/Getty Images – OneFootball)

Una panoramica completa sulla sua nuova vita da centrocampista totale Gomez l’ha offerta in una ricca intervista a El Pais, rilasciata prima della doppia sfida di Champions contro il Valencia.

Ad oggi gioco come trequartista dietro le punte, ma posso anche giocare più avanzato a seconda dell’avversario. Nelle giovanili, all’Arsenal Sarandi, nasco enganche. Al San Lorenzo il Cholo mi ha spostato esterno, dicendomi che in Europa avrei potuto giocare solo lì. Arrivato a Bergamo, Gasperini mi ha schierato esterno nel suo modulo, ma con licenza di muovermi verso l’interno, per giocare tra centrale e terzino avversario.

Ma tutto cambia nel momento in cui Cristante, che nella sua miglior stagione in carriera ha segnato 9 gol da incursore a Bergamo, si trasferisce alla Roma, lasciando un buco dietro le punte.

A quel punto Gasperini mi ha detto: io ti vedo lì, proviamoci. Nelle prime partite facevo fatica perché non trovavo spazi per ricevere tra centrali e mediani, poi ho capito che dovevo arretrare accanto agli interni per ricevere il pallone. Così risalgo combinando con i compagni, libero dalla marcatura se il mediano non mi segue; mentre se mi segue, lascio la trequarti libera agli attaccanti.

Un brillante esempio di questa spiegazione si è avuto durante la recente partita contro il Verona, in cui l’allievo Juric ha sorpreso il maestro Gasperini piazzando Dawidowicz fisso in marcatura sull’atalantino: il polacco ha marcato a uomo il nazionale dell’Albiceleste, permettendogli raramente di ricevere il pallone fronte alla porta. Una scelta tattica rientrata nel momento dell’infortunio di Lovato, ma che è stata molto utile nella prima mezz’ora di gioco. Sul metodo per capire la miglior posizione da seguire, Gomez svela un segreto:

Guardo dov’è l’arbitro, che è sempre l’elemento posizionato meglio, quasi sempre libero.

Nelle ultime 3 stagioni, Gomez ha completato più passaggi in area di rigore e distanze progressive del 99% dei pari ruolo. Meglio solo del 72% per quanto concerne la % di passaggi completati, a dimostrazione di quanto il suo gioco sia poco conservativo e verticale (Fonte grafico: Football Slices)

Gomez, Mertens e Cuadrado: il belga Ciro

Dries Mertens sta attraversando una perenne evoluzione tattica da quando è arrivato a Napoli, in pratica. Se è vero, come riteneva il burbero Rust Cohle di True Detective, che “il tempo è un cerchio piatto” in cui “quello che abbiamo già fatto, torneremo a farlo” la posizione di Mertens ne è un esempio perfetto.

Arrivato nel 2013 come trequartista centrale o seconda punta, ha prima dovuto adattarsi da esterno con doveri di ripiegamento con Benitez, che preferiva usufruire del belga soprattutto a partita in corso, per poi avvicinarsi sempre più alla porta con Sarri, che l’ha spostato centralmente, consacrandolo da punta centrale: non un falso 9, come le caratteristiche fisiche possono far pensare, ma un vero centravanti dedito a cucire il gioco negli ultimi 20 metri e attaccare la profondità sfuggendo alle marcature avversarie con l’intelligenza dei movimenti più che con la forza (nel movimento a mezzaluna è un vero e proprio specialista).

Cuadrado Gomez Mertens
La miglior stagione di Mertens a livello realizzativo è la 2016/2017, la prima nel ruolo di centravanti: 34 reti, di cui 28 in Serie A (Foto: Gabriele Maltinti/Getty Images – OneFootball)

All’inizio di questa stagione, il cerchio sembrava essersi chiuso, con l’arrivo di Victor Osimhen che ha spostato Mertens qualche metro più indietro. Un esperimento che sembrava prendere forma già negli ultimi due anni, in cui Ancelotti prima e Gattuso poi hanno provato a dare fiducia ad Arek Milik, talvolta affiancandogli proprio Ciro in un 4-4-2 atipico.

Un’idea del genere è rimasta sempre isolata a poche partite e ad alcuni frangenti di gioco, motivo per cui si dispone di un campione troppo piccolo per mostrare tale evoluzione da un punto di vista statistico/grafico: tuttavia, durante la stagione in corso, ci sono state alcune partite che hanno evidenziato la possibilità concreta di un’evoluzione in pianta stabile del fiammingo in una posizione da connettore dei due reparti più avanzati.

Due partite con avversari diametralmente opposti a livello di atteggiamento lo dimostrano: contro una difesa alta come quella dell’Atalanta (perforata ben 4 volte), Mertens ha saputo sorprendere con tocchi corti e con i tempi giusti la difesa nerazzurra, sia per pescare Osimhen in profondità che per imbeccare tagli e scatti degli esterni; all’andata contro l’AZ Alkmaar, che invece si difendeva con un blocco piuttosto basso, Mertens ha addirittura cercato palla nella sua metà campo (scendendo accanto ai due mediani, esattamente come Gomez) provando a lanciare lungo verso le tre punte, a cui si aggiungeva spesso Di Lorenzo.

Un’idea che non ha avuto successo principalmente per la pigrizia e la sfortuna degli avanti azzurri, perché Dries ha raccolto 4 passaggi chiave. Interpellato da Sky Sport sul nuovo ruolo, l’ex PSV si è espresso in questi termini:

Mi diverto, ma devo ancora adattarmi del tutto. Come posizione rispetto a quella di attaccante non cambia tanto.

Un cambiamento fisiologico, che sembrava essere accantonato nelle ultime partite, ma che si è rivisto in tutto il suo splendore a Crotone: 2 assist che hanno portato i gol di Demme e Petagna ed un perfetto cross tagliato verso Politano, mancato dall’esterno romano. Con un QI calcistico come il suo, l’elasticità mentale e la maturità per mettersi a disposizione della squadra, Mertens potrà completare questa trasformazione in pieno.

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A Crotone, Mertens è tornato a una delle sue vecchie abitudini: incidere a partita in corso (Foto: Maurizio Lagana/Getty Images – OneFootball)

Gomez, Mertens e Cuadrado: la freccia colombiana

Anche Juan Cuadrado – come Mertens, non come Gomez – è protagonista di un meccanismo simile, un evoluzione con un occhio al passato: l’oggetto dell’eterno ritorno per lui è la posizione di terzino destro, che ha occupato nei primi anni della sua carriera, quelli passati tra Lecce e Udinese, abbandonata progressivamente alla Fiorentina, dove il suo ruolo è avanzato di pari passo con la sua reputazione calcistica.

Maurizio Sarri ha dovuto fare di necessità virtù: non potendo disporre in pianta stabile né di Danilo né di Mattia De Sciglio, è stato il colombiano ad arretrare, assumendosi responsabilità che in precedenza si era preso proprio con la Nazionale dei Cafeteros. Ripensando in particolare alla Copa America dell’estate 2019, Cuadrado si proponeva spesso come soluzione per far avanzare il pallone, ma non facendolo passare unicamente dai binari della fascia, piuttosto venendo dentro al campo in posizione di mezzala destra.

Il Panita non è molto abile sul corto e si è reso indispensabile ad alti livelli quasi sempre per la sua frenesia, ma nel corso degli anni ha affinato alcune giocate, come la sventagliata a cambiare il gioco o la comprensione dei tempi giusti per gli underlapping (i suoi) e la lettura delle sovrapposizioni in fascia (dei compagni).

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Cuadrado in Juventus-Sassuolo della stagione 2019/2020 (Foto: Pier Marco Tacca Getty Images – OneFootball)

In questo specifico caso, le maggiori responsabilità creative incontrano sia i bisogni tattici di Sarri prima e di Pirlo adesso, che l’evoluzione fisiologica di Cuadrado. A partire da due dati, che sembrano quasi subire una proporzionalità inversa, bilanciandosi: da un lato sono drasticamente calati i dribbling tentati, dai 3,67 p90 della stagione 2017/2018 ad una media combinata di 2,78 p90 nelle due stagioni successive; dall’altro sono aumentati notevolmente i passaggi tentati, dai 47,1 della 17/18 passando per i 50,3 della successiva fino ai 78,7 della stagione da poco conclusasi (con anche un leggero miglioramento nella % di riuscita, dall’84,4% all’88,5%).

Un’evoluzione che è stata funzionale alle idee tattiche della Juve, che al momento punta a costruire il gioco sul lato destro per poi rifinire sul lato opposto, similarmente a come faceva la squadra che andò in finale a Cardiff, che per arrivare nell’area avversaria si affidava alle connessioni del quadrato tecnico che gravitava sul centro-destra: Bonucci, Pjanic, Cuadrado e Dybala. Mentre in quel quartetto il classe 1988 era considerato l’anello debole, adesso sembra essere un giocatore molto più solido, utile sia per galoppare che per andare al trotto e gestire.

Inoltre, con dei dominatori del gioco aereo come Morata e Ronaldo e un incursore potenzialmente molto interessante come McKennie (come visto al Camp Nou), Pirlo lo sta usando come arma principale per far arrivare il pallone dalle fasce via cross, anche a costo di sacrificare talvolta una manovra palla a terra: in questo momento ha già compiuto 3 assist in campionato (il suo record assoluto è di 7, con la Fiorentina nel 2012/2013) e viaggia ad una media di 0,27 Expected Assist p90 (sarebbe il suo record assoluto).

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Un gol annullato e due assist contro il Torino: Cuadrado è sempre più uomo derby (Foto: Valerio Pennicino/Getty Images – OneFootball)

Dunque, la morale? Ce ne sono tre

La domanda è: si tratta di tre casi singoli e isolati alla loro specifica situazione o c’è qualche insegnamento generale da trarre? Una risposta scientifica non c’è, ma alcune indicazioni sì. La prima: i calciatori, come gli altri sportivi e tutti gli altri professionisti (e un po’ tutti gli uomini per estensione) sono uomini che cercano di rimanere sulla cresta dell’onda, che imparano ogni giorno e non smettono di crescere ad una certa età, da ogni punto di vista: tecnico, tattico e mentale.

La seconda: a determinati momenti di carriera corrispondono determinate esigenze. Ci stiamo abituando ai super atleti, i de Ligt, gli Haaland e gli Mbappè, gente che abbina ad una tecnica impeccabile un apporto fisico-atletico straripante. La loro esplosività, però, non durerà per sempre (specialmente se non sapranno calibrarsi) e quindi un giorno dovranno reinventarsi, come stanno facendo questi tre uomini quasi coetanei (sono tutti tra i 32 e i 33 anni).

La terza: rimanere per tanti anni in uno stesso club permette di prendere confidenza con sé stessi, provare cose nuove, anche grazie alla reciproca fiducia con un allenatore che si affida a giocatori che diventano, nel corso del tempo, d’esperienza. Quell’esperienza necessaria per capire cosa serve per rimanere ad alto livello nel calcio.

Fonte mappe: Sofascore
Fonte statistiche: Fbref

Autore

Classe 2001. 200 partite viste dal vivo in 15 stadi diversi (and counting). Sempre alla ricerca di nuovi talenti, di storie, di personaggi ed imprese. Socio del Centro Storico Lebowski.

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