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CALCIO ESTERO

La direzione ostinata e contraria dell’Athletic Bilbao

“To be or not to be, that is the question“. Vero che Shakespeare e una delle squadre storiche del calcio spagnolo hanno ben poco a che vedere l’uno con l’altro, ma il celeberrimo verso dell’Amleto racchiude perfettamente il più grande quesito della storia dell’Athletic Bilbao.

Non pensiamo minimamente di aggiungere qualcosa alla conoscenza calcistica raccontandovi che l’Athletic, dal 1912, è noto ai più per essere la squadra che coinvolge soltanto giocatori baschi, ma raramente nasce un dibattito riguardante il motivo per il quale i Leones non hanno mai deciso di “globalizzare” la propria rosa e diventare – chissà – più competitivi in campo nazionale e magari europeo.

Eppure l’Athletic Bilbao, tenendo fede alla propria storia che lo accompagna da più di cent’anni, è sempre riuscito a rimanere nell’élite del calcio spagnolo: assieme a Real Madrid e Barcellona, i due colossi della Liga, è l’unica società a non aver mai pagato lo scotto della retrocessione in Segunda, segno che le cose hanno sempre funzionato.

Athletic Bilbao
Athletic (Foto: Juan Manuel Serrano Arce/Getty Images – OneFootball)

Pablo

Eppure per gli appassionati di calcio, specialmente i più giovani, che da anni vivono non più la crescita delle rose ma quelle dei brand, che non si affezionano più a quei calciatori che sono vittime e/o partecipanti di un grande mercato globale che premia i potenti, si chiedono quale possa essere il motivo che porta l’Athletic Bilbao ed il suo tessuto sociale circostante a non omologarsi ad un certo tipo di calcio. Ci è sembrato opportuno chiederlo a qualcuno che vive a Bilbao e che conosce ogni sfaccettatura del tifoso basco: Pablo, sfegatato aficionado dell’Athletic e impiegato nella gestione del tour del Museo che si trova all’interno del San Mamés (stadio/cattedrale dei biancorossi), ci ha spiegato precisamente storia, motivi e ragionamenti riguardo il mondo Athletic.

Pablo è pura passione, un ragazzo che ama un calcio che ha come fondamenta il tifoso e la sua passione, il popolo che si sente rappresentato dalla propria squadra e che vive la quotidianità sentendosi partecipe delle sorti del proprio club. Spontaneamente chiediamo se esiste una frangia, anche piccola, di tifosi che a Bilbao ritiene opportuno omologarsi al calcio moderno e a globalizzare la propria rosa: ovviamente sì, ma non più di un 5/10%. Che, oltretutto, si manifesta soltanto quando le cose non vanno per il verso giusto.

Se dobbiamo pagare così tanto questi ragazzi viziati, tanto vale andare a prenderceli meglio da fuori.

La cantilena di questa piccola parte di tifosi è questa, ma è un ritornello che si ripropone solamente quando la squadra fatica in classifica, quando c’è qualcosa che scontenta la piazza. Ci spiega anche che quando si ha a che fare con un “Club Deportivo” è praticamente impossibile che, in un breve arco di tempo, si possa cambiare una tradizione tanto longeva; l’Athletic Bilbao è composto da una giunta e da tantissimi soci, motivo per il quale difficilmente potrebbe arrivare dal niente un “señor x” pronto a candidarsi come presidente del club, con la volontà di cancellare 108 anni di storia come punto chiave del proprio programma. Per far sì che succeda tutto ciò, dovrebbe muoversi qualcosa all’interno della gente, servirebbe un processo elaborato che parta dal tifo e che attecchisca anche nella società. Un qualcosa che al giorno d’oggi è impensabile. 

Leones (Foto: Juan Manuel Serrano Arce/Getty Images – OneFootball)

La filosofia dell’Athletic Bilbao? Immutabile

Pablo parla a cuore aperto, non nasconde minimamente l’orgoglio nel tifare una squadra che sceglie di non omologarsi. Parliamo di calcio a tutto tondo e troviamo una data che sancisce forse il momento esatto in cui il calcio ha preso una direzione che oggi è chiara e lampante: 1995, anno della Sentenza Bosman. In poche parole, un processo che ha concesso ai tesserati di trasferirsi gratuitamente in altre società a 6 mesi dal termine del proprio contratto.

Vennero inoltre aperte le frontiere e quindi si tolsero i tetti al numero di calciatori comunitari inseribili nelle rose, nella speranza che si potessero redistribuire le ricchezze del calcio. Praticamente è successo il contrario: l’evoluzione del rapporto di forza tra calciatori e società a favore dei primi e la crescita del ruolo del procuratore – oggi divenuto dominante all’interno delle trattative – ha portato il restringimento del gruppo dei forti, arrivando ad un calcio in cui le ricchezze sopracitate sono finite in mano di pochi.

Nonostante la legge Bosman, l’Athletic Bilbao è andato dritto per la sua strada, insistendo con il proprio ideale. Prendendosi pure la ragione. Pablo elenca sette società: Atlético Madrid, Sevilla, Deportivo La Coruña, Celta Vigo, Real Sociedad, Betis Sevilla, Villarreal. Molte di queste, dal 1995, hanno vissuto momenti migliori rispetto all’Athletic, eppure sono retrocesse, tutte e sette, almeno una volta negli ultimi 25 anni. L’Athletic Bilbao no.

Eppure i Colchoneros sono ormai uno dei top club europei, il Sevilla è diventato dominatore dell’Europa League, il Villarreal ha avuto momenti aurei nel panorama calcistico continentale nel primo decennio del nuovo millennio. Pablo spiega onestamente il suo pensiero: ci dice che l’Athletic ha dimostrato con questo tipo di organizzazione di poter sostenere l’impegno di mantenere la categoria e di essere competitivo lavorando esclusivamente con giocatori baschi; allo stesso tempo è riuscito anche a farsi spazio in Europa quando ottimi allenatori e ottime generazioni di calciatori hanno coinciso per un arco di tempo. Se l’Athletic pretendesse di raggiungere l’élite del calcio europeo dovrebbe sicuramente “globalizzarsi”, ma il modello attuale è, secondo tutti, funzionante e funzionale agli obiettivi. Per questo è inutile cambiare.

Fiato sospeso (Foto: Pablo Blazquez Dominguez/Getty Images – OneFootball)

Le complessità del mercato

Basti pensare che il calcio basco è oggi predominante all’interno della Liga: insieme ai biancorossi ci sono Real Sociedad, Alavés, Osasuna ed Eibar. Cinque squadre su venti sono basche. L’Athletic, come ci racconta Pablo, è visto come il “Real Madrid dei Paesi Baschi“, perché è sicuramente la squadra più ambita della zona, visto il solo utilizzo di giocatori baschi o con origini. Se le società di Liga potessero acquistare soltanto giocatori spagnoli avrebbero un raggio d’azione su una popolazione di 47 milioni di persone, mentre l’Athletic Bilbao solamente sui 3 milioni dei Paesi Baschi.

Non vuole essere altro che una provocazione, ma Pablo usa questi numeri per spiegarci quanto sia difficile il calciomercato per una realtà come questa. Álex Berenguer, ex esterno del Torino, si è trasferito quest’estate all’Athletic Bilbao per circa 12 milioni di euro: una cifra molto alta se si pensa al valore del calciatore in relazione all’abbassamento dei prezzi nel calcio post Covid. Eppure l’Athletic è costretto ogni anno a trovarsi davanti a richieste molto alte delle altre società, consapevoli del ristretto raggio d’azione dei biancorossi, che possono “manipolare” il prezzo del cartellino con maggior forza. Figuriamoci se poi, nello specifico, a trattare con l’Athletic è una rivale storica come la Real Sociedad.

Nell’estate 2019 ha tenuto banco il caso Iñigo Martínez, centrale difensivo della Real passato all’Athletic; il calciatore è originario della Biscaglia, provincia basca che ha come capoluogo Bilbao, e dopo aver mosso i primi passi nella squadra della sua città (Ondarroa) è passato alla Real Sociedad, facendo tutta la trafila delle giovanili fino a diventare il leader dei Txuri-urdin. Chiediamo a Pablo come è vissuto il passaggio di un giocatore così importante per la Real Sociedad all’Athletic Bilbao: ridendo, ci risponde che, essendo Martínez nato in Biscaglia, la sua vera squadra doveva essere solo e soltanto l’Athletic.

Ne approfitta anche per spiegarci altri retroscena di mercato che hanno visto coinvolte le due società, uno su tutti il caso di Álex Remiro: il giovane portiere cresce nel settore giovanile del Bilbao per poi mettersi in mostra in Segunda División con la maglia dell’Huesca. Per tutti è l’erede designato di Kepa Arrizabalaga, che spiccherà il volo direzione Chelsea, ma vista la concorrenza di Unai Simón per il ruolo di numero 1 dei Leones, il procuratore del giocatore tituba e decide di non rinnovare il contratto in scadenza con l’Athletic. Non solo, decide addirittura di trasferirsi al termine del contratto alla Real Sociedad. Pablo usa il termine “más sucio” (letteralmente “più sporco“) per definire il modo di acquistare il giocatore rispetto a come l’Athletic ha “sottratto” Iñigo Martínez alla Real Sociedad.

Athletic Bilbao Real Sociedad
Iñigo Martínez e Aduriz in un Athletic Bilbao-Real Sociedad (Foto: Cordon Press/Imago – OneFootball)

Continuiamo la nostra chiacchierata, entrando in ogni ambito del calcio vissuto sulla pelle. Mi racconta di quando scrisse una mail a Bielsa, che è passato da San Mamés lasciando il suo solito segno, per complimentarsi della recente promozione in Premier del suo Leeds. L’allenatore argentino si fece dare il suo numero di telefono e ci tenne a ringraziarlo di persona, senza preavviso, lasciando Pablo, innamorato follemente del suo calcio e della persona, senza parole.

Mi racconta di come l’Athletic Bilbao, con il suo metodo, sia capace di potersi lasciare alle spalle almeno quattro-cinque squadre ogni anno e, nel caso in cui una buona generazione di calciatori coincidesse con un allenatore di un certo spessore, ci sia la possibilità di togliersi soddisfazioni anche in campo europeo. Proprio come accadde con Marcelo Bielsa, che nel 2012 condusse l’Athletic alla finale di Europa League (persa contro l’Atlético Madrid di Falcao) sconfiggendo Paris Saint-Germain, Schalke 04 e addirittura il Manchester United. E Pablo non manca dal sottolineare che, quella sera, lui era lì, ad Old Trafford.

Ovviamente per avere un flusso continuo di giocatori di qualità, c’è bisogno di un lavoro costante sul settore giovanile. Pablo ci spiega che nella storia dell’Athletic Bilbao sono usciti sempre calciatori ben strutturati fisicamente, figli di un calcio basco fatto più di fisicità che di tecnica, ma l’evoluzione del gioco ha portato l’Athletic a creare un modello uniforme all’interno della sua cantera per quanto riguarda la tattica e, come detto, la tecnica di base.

Athletic Bilbao, orgoglio basco

L’input ormai presente un po’ dappertutto e, ovviamente, anche a Bilbao, è quello della costruzione del gioco dal basso, uno stile che è nato proprio in Spagna e che l’Athletic ha deciso di seguire per stare al passo coi tempi. La tattica viene insegnata e trasmessa, ovviamente con metodi più adatti a seconda dell’età con cui si ha a che fare, in tutte le categorie, ma l’obiettivo principale della società è quello di creare un sentimento comune e uno spirito di appartenenza tra i giocatori. Far parte dell’Athletic Bilbao è una spinta in più per i giovani calciatori, è molto più probabile avere chance di esordire in una squadra del genere che in una società dove si predilige l’acquisto del talento da fuori.

Pablo ci ricorda che uno dei tratti distintivi della cultura del territorio è proprio la lingua basca, un codice di comunicazione che aiuta tanto i giocatori in campo e che può essere un tratto distintivo di un’unione che nasce dai primi calci e arriva fino alla prima squadra. L’Athletic Bilbao parte sempre con l’obiettivo di portare un gruppo di calciatori a calcare i campi di Liga dopo aver appreso i vari codici di comportamento, il linguaggio comune dentro e fuori dal campo, l’appartenenza ad un territorio e la trasmissione di tutto ciò all’interno del San Mamés. Per il tifoso, dunque, è simbolo di forza vedere gli undici giocatori in campo che dialogano in basco.

Il nostro interlocutore ci spiega che i giocatori, quando indossano la maglia della Sua squadra, rappresentano la città, il territorio, ma soprattutto una cultura. Non è un concetto anacronistico: per Pablo il calcio è ormai troppo globalizzato e si arriverà ad un momento nel quale ci sarà bisogno di ripartire dalle basi, dai prodotti del proprio orto, da un calcio che si coltiva quotidianamente dentro le proprie mura. L’Athletic è la massima espressione sportiva dell’Euskal Herria, ormai l’unica rimasta dopo la fine del progetto EuskalTel, la squadra di ciclismo con la maglia arancione che sfidava il mondo intero con la ikurrina (la bandiera basca) stampata addosso.

Una squadra che vive tra alti e bassi, ma che non ha intenzione di cambiare il proprio percorso nel calcio globalizzato dei pochi ricchi. Lo dice la storia, lo dice il tessuto sociale dei Paesi Baschi, ce lo conferma Pablo. Nessuno vuole invertire il senso di marcia, si continua per la stessa strada. In direzione ostinata e contraria. 

De frente (Foto: Alex Grimm/Getty Images – OneFootball)

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