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SUGGESTIONI

Dio è bulgaro

Sin dagli albori della propria esistenza, l’uomo ha temprato la propria vita nel rapporto col divino. L’evidente limitatezza della condizione umana, fatta di un inizio e una fine, una nascita e una morte, ha dovuto ponderarsi con l’idea di un’illimitatezza che potesse andare oltre la propria caducità, che rendesse l’uomo eterno, o quantomeno la sua esistenza significativa.

Questo rapporto col divino si è articolato nei modi più disparati nel lungo corso della storia. Tutte varianti che però poi portano sempre allo stesso punto: il credere in qualcosa che ordini il caos, che dia un senso a tutto ciò che sfugge dall’ordinarietà dell’uomo. La fede in fondo è proprio questo: trovare risposte laddove razionalmente non possono esserci, costruire un reticolato di convinzioni in grado di rasserenare l’animo davanti alla tempesta dell’ignoto.

Il rapporto col divino è ciò che anima la suggestione di oggi, il legame con un Dio biblico che premia e punisce, distribuisce doni e delusioni. Un Dio che però è l’unica risposta ordinata a un mondo di eventi incontrollabili, anche se è un Dio che in fondo, dall’alto della propria onnipotenza, tesse a proprio piacimento i fili della storia.

La manifestazione del divino per Stoichkov

Il rapporto col divino si fa particolarmente articolato quando ti chiami Hristo, vieni soprannominato Ayatollah, e sei convinto che Dio sia bulgaro. Nel cuore della Bulgaria, nella affascinante città di Plovdiv, l’8 febbraio 1966 nasce un bambino di nome Hristo, di cognome fa Stoichkov. L’infanzia dura gli tempra un carattere forte e spesso difficile, quel nome lo rende di per sé un predestinato. Hristo è la forma bulgara del nome Cristiano, dal greco kristos, letteralmente “unto”, origine ovviamente anche del nome di Gesù Cristo.

Dio però tarda a palesarsi nella vita del giovane Hristo. Come detto l’infanzia è dura, Stoichkov si arruola nell’esercito, ma intanto porta avanti la carriera di calciatore, e questa è la luce che illumina la via. Stoichkov si afferma col CSKA Sofia, segna gol a ripetizione. Si intravede un talento cristallino, ma anche un carattere molto complesso. Un dono di Dio, che come sempre richiede un prezzo. Gli eccessi sono ciò che caratterizzeranno sempre la carriera del bulgaro, quasi quanto il suo immenso talento.

Nella finale di Coppa di Bulgaria del 1985 tra CSKA e Levski Sofia, Stoichkov realizza quattro gol nel match d’andata, terminato 5-0. Al ritorno scende in campo con la maglia numero 4, palese la provocazione nei confronti degli avversari che iniziano a metterlo sotto torchio. Hristo non è tipo da abbozzare e a fine partita si scatena una rissa che porta il partito comunista bulgaro alla decisione clamorosa si sciogliere le due società e di punire i responsabili del parapiglia. Stoichkov viene inizialmente radiato, ma la squalifica diventa di un anno e infine ridotta a sei mesi. Basta però a fargli saltare l’appuntamento con la storia: il Mondiale del 1986.

Stoichkov vive al CSKA Sofia anni pazzeschi. Con la squadra della capitale bulgara vince tre scudetti, tre Coppe nazionali e una Supercoppa. L’anno della consacrazione è il 1989, quando Stoichkov con 38 reti si aggiudica la prestigiosa scarpa d’oro come miglior bomber d’Europa. Sempre in quell’anno i bulgari arrivano in semifinale di Coppa delle Coppe, fermato solo dal Barcellona che poi vincerà quella coppa in finale con la Sampdoria. Stoichkov è il miglior marcatore della competizione e su di lui posa gli occhi Johan Cruijff, che lo vuole a tutti i costi con sé.

Così, nel 1990, il bulgaro si trasferisce in Catalogna. Dio gli ha tolto il Mondiale, ma lo ha ripagato abbondantemente. In Spagna inizia però un nuovo capitolo del rapporto di Stoichkov col divino, ancora più ricco di intrecci.

Stoichkov
Stoichkov in azione con la maglia del Barcellona (Foto: Shaun Botterill/Allsport – OneFootball)

I segni del divino

Le carriere dei grandi calciatori sono sempre velate di un certo richiamo mistico. Quel talento spropositato viene spesso percepito come una condizione superiore, che pone il campione tra l’uomo e il divino, o tra l’uomo e l’alieno se vogliamo abbandonare i termini religiosi. C’è questa vena di misticismo nel soprannome che viene affibbiato a Stoichkov, Ayatollah, per il suo gesto di alzare le mani al cielo.

Il titolo di Ayatollah nella tradizione islamica viene concesso agli esponenti più importanti del clero sciita, il principale ramo minoritario dell’Islam. Oggi questo titolo ha una connotazione politica ben precisa, da quando la lotta tra sciiti e sunniti – il ramo maggioritario dell’Islam – è esplosa nelle zone di tensione del Medio Oriente. Allora però non l’aveva, manteneva solo la sua accezione religiosa, che riporta sempre a quella predestinazione che pervade la carriera di Stoichkov.

Letteralmente Ayatollah significa “segni di Dio”, da Ayat, segni, e Allah. Nella concezione sciita l’Ayatollah è un’entità infallibile, animato dall’Imam nascosto, la guida morale e spirituale che lo illumina. Ora si inizia un po’ a intuire la portata del discorso religioso nella carriera di Stoichkov, che travalica la singola credenza, assurge alla fede pura. Hristo, l’Ayatollah, racchiude in sé quei dettami di assunzione e predestinazione che contrassegnano la carriera di un grande calciatore.

A Barcellona, dunque, Stoichkov arriva con quell’aura di infallibile superiorità, come fosse un dono di Dio. L’avventura catalana del bulgaro è pazzesca, ma ha inizio, ancora una volta, all’insegna di quella compensazione divina che caratterizza tutto questo racconto. Dio eleva e punisce a proprio piacimento, regala a Stoichkov il Barcellona, ma lo fa ricadere subito nei suoi eccessi. Ancora una finale di Coppa, Real-Barcellona: in seguito all’espulsione dell’allenatore blaugrana, Stoichkov rifila un pestone all’arbitro Urizar, che rimane infortunato. Arriva un’altra squalifica di sei mesi, in seguito ridotta a dieci incontri.

Espiata la colpa, Stoichkov diventa implacabile col Barcellona. Nella sua avventura catalana vince quattro scudetti consecutivi, tre Supercoppe di Spagna, una Supercoppa europea e, soprattutto, la Coppa dei Campioni. Sono però due i momenti focali del bulgaro in blaugrana, due momenti che illustrano il diverso rapporto che l’uomo può intessere col divino.

Camp Nou
Il Camp Nou, la casa di Hristo Stoichkov (Foto: David Ramos/Getty Images – OneFootball)

Elezione e reiezione

L’anno 1992 è considerato lo starting point della moderna ascesa del Barcellona. Una squadra in rampa di lancio, ristrutturata dalle sue fondamenta grazie al sapiente lavoro di Johan Cruijff, domina la scena europea quell’anno, portandosi a casa la prima Coppa dei Campioni della sua storia.

Il cammino del Barcellona inizia con una vittoria per 3-0 sull’Hansa Rostock, seguita da una sconfitta indolore per 1-0 al ritorno. Agli ottavi c’è subito un brivido, con i blaugrana che battono 2-0 al Camp Nou il Kaiserslautern, ma perdono 3-1 in Germania. Gli spagnoli passano il turno per la regola dei gol in trasferta. Quarti e semifinali vengono sostituiti da un inedito girone, che il Barcellona passa davanti a Slavia Praga, Benfica e Dinamo Kiev, guidato dalle reti di Hristo Stoichkov. In finale, a Londra, c’è la Sampdoria, in un affascinante remake della finale di Coppa delle Coppe di tre anni prima.

Anche stavolta l’epilogo non cambia: il Barcellona supera i Doriani con un calcio di punizione al 112′ di Koeman e si laurea campione d’Europa. Questo è probabilmente il momento più alto nella carriera del campione bulgaro. Se guarda indietro, dall’infanzia difficile di Plovdiv, ora che si trova sul tetto d’Europa, gli appare evidente quanto Dio gli abbia concesso lungo tutta la sua vita. Ma il meccanismo di elezione divina è spietato, perché non è universale. Elezione e reiezione si compensano: il grande pensatore cristiano Sant’Agostino riteneva che Dio, dall’alto della sua onnipotenza, concedesse una grazia indebita a colore che decideva di eleggere, ma una reiezione altrettanto gratuita agli altri.

Così, nel 1992, Hristo Stoichkov assiste all’elezione collettiva del suo Barcellona, ma alla reiezione personale, arrivando secondo nella corsa al Pallone d’Oro, dietro a Van Basten. Due anni dopo però il meccanismo si ribalta: il Barcellona arriva di nuovo in finale di Coppa dei Campioni, perdendo per in finale senza appello contro il Milan con un rotondo 4-0, ma Stoichkov si porta a casa il tanto agognato Pallone d’Oro.

Stavolta l’elezione personale si è accompagnata alla reiezione collettiva, un meccanismo di compensazione che garantisce il giusto equilibrio, senza appagare mai totalmente. Nella storia blaugrana di Stoichkov Dio ha mosso a proprio piacere i fili degli avvenimenti, divertendosi a creare trame, sovvertirle e riordinarle. Ha concesso e tolto, stabilendo un equilibrio in grado di bilanciare gioie e dolori.

Nella carriera di Stoichkov, però, il rapporto col divino non si esaurisce qui, manca ancora un tassello importante. Hristo, l’Ayatollah, è convinto che Dio sia bulgaro, e molti lo sono nell’estate del 1994, probabilmente il culmine di questo intrinseco legame che stringe il fenomeno bulgaro con l’apparato mistico cui la sua carriera evidentemente soggiace.

Dio è bulgaro

La storia della Bulgaria al mondiale di USA ’94 è una di quelle che veramente spingono a farsi delle domande anche il più convinto degli atei. I bulgari arrivano alla kermesse estiva con un vero e proprio miracolo. Nell’ultima giornata del girone di qualificazione devono battere la favoritissima Francia: al 32′ Cantona sblocca il match, ma a sorpresa la Bulgaria pareggia subito. Il segno X porterebbe ai Mondiali i transalpini, per cui la Francia controlla e gestisce, attenta più a non subire che a offendere.

All’ultimo respiro però accade l’impossibile: Emil Kostadinov, compagno di Stoichkov al CSKA Sofia e autore del gol del pareggio, scatta sulla destra, penetra in area e con un secco diagonale infila la porta francese, segnando la rete della qualificazione mondiale della Bulgaria. I due telecronisti locali, Nikolay Kolev e Petar Vasilev commentano quel gol con la celebre frase Questa sera Dio è bulgaro.

Dio è bulgaro, e questa sera gioca con noi.

Hristo Stoichkov ha commentato così la partita tra Bulgaria e Italia, semifinale del mondiale di USA ’94. Prima del match più importante della storia della sua nazione, il bulgaro ha espresso con tutta la sua potenza quel rapporto col divino che ha segnato, da sempre, la sua vita e la sua carriera. La sfumatura di significato è labile: Dio è un’entità superiore schierata dalla parte della Bulgaria o Dio si è incarnato nel fenomeno bulgaro e quella affermazione è autoreferenziale? Al di là delle interpretazioni, nella calda estate statunitense del 1994 Dio sembra davvero, senza appello, bulgaro.

Il Mondiale della selezione dell’est Europa inizia in modo imbarazzante. La Bulgaria fino a quel momento non aveva mai vinto una partita in un mondiale, e continua nel solco di quella pessima tradizione perdendo 3-0 con la Nigeria all’esordio negli Stati Uniti. Sembra il preludio a una tragedia, ma scende in campo il Dio bulgaro e la musica cambia. La Bulgaria nella seconda giornata supera la Grecia con un rotondo 4-0, in cui segna i suoi primi gol mondiali Stoichkov. Poi arriva la storica vittoria sull‘Argentina, scossa dalla positività all’efedrina di Diego Armando Maradona: 2-0 e bulgari agli ottavi.

Stoichkov
Stoichkov in campo negli ottavi di finale contro il Messico (Foto: Simon Bruty/Allsport – OneFootball)

Qui Stoichkov e compagni fanno fuori il Messico, vincendo ai rigori al termine di un match segnato da un arbitraggio francamente discutibile. Poi, ai quarti di finale, la vera manifestazione del divino. Il cammino della Bulgaria fino a quel momento era stato di per sé impressionante, storico: una squadra che non aveva mai vinto un match ai Mondiali aveva ottenuto tre vittorie e un posto tra le otto migliori nazionali al mondo.

Dio però quell’estate è bulgaro, non bisogna dimenticarlo, e con la sua mano cala con forza sulla Germania, una delle grandi favorite per la vittoria finale. I teutonici vanno avanti con Matthäus su rigore, poi però Stoichkov pareggia su punizione e al 79′ Letchkov, l’altra stella della squadra, con un tuffo di testa segna il definitivo 2-1 che porta la Bulgaria in semifinale.

Giunti a questo punto non si può biasimare Stoichkov per quella frase prima del match con l’Italia. Dio sembrava bulgaro, e forse lo era davvero, ma di certo quell’estate non lo era Buddha, che a New York ispira un altro campione divinizzato, Roberto Baggio, che in cinque minuti piega i bulgari e conduce l’Italia in finale. Poi la reiezione arriverà anche per lui, ma questa è un’altra storia.

Il cammino della Bulgaria a USA ’94 finisce qui. La finalina con la Svezia è un massacro, 4-0 per gli scandinavi, ma poco importa. La Bulgaria rimane una delle favole più belle di quel mondiale e quella splendida avventura viene coronata con l’assegnazione del Pallone d’Oro a Hristo Stoichkov, l’atto finale d’elezione divina. Dio da quel momento si disinteresserà delle vicende di Hristo, di essere stato bulgaro e della carriera di Stoichkov, e tutto quel meccanismo di dipendenza dal divino andrà gradualmente ad attenuarsi.

Stoichkov
Hristo Stoichkov in azione con la maglia della Bulgaria (Foto: Gary M. Prior/Allsport – OneFootball)

L’epilogo di Hristo Stoichkov

L’uomo, da sempre, plasma la propria esistenza in rapporto col divino e la vicenda di Stoichkov ne è una viva testimonianza. Si tratta di una relazione evidentemente spropositata: da una parte un’entità onnipotente, dall’altra una singolarità che non ha il minimo controllo su ciò che lo circonda. Questo meccanismo di dipendenza spiega bene però perché il rapporto col divino sia così importante per l’uomo, al di là di come venga inteso poi il divino.

Questo rapporto di dipendenza infatti non si articola solo in chiave religiosa: è la lettura dominante ma non unica. Investe qualsiasi forza di determinazione o predestinazione che diriga l’universo, poi ognuno sceglie il campo in cui contestualizzarla.

Nella vicenda di Stoichkov è stato sin troppo facile trovare questa chiave di lettura nella sfera religiosa. Hristo, l’Ayatollah, convinto che Dio sia bulgaro, ha visto la propria carriera dipanarsi tra gioie e delusioni, per una Coppa dei Campioni vinta c’è stato un Pallone d’Oro perso e per un trofeo individuale guadagnato ce n’è stato uno collettivo sfumato. È necessario inquadrare quest’altalena di eventi in un disegno più ampio, questo caos in un ordine prestabilito.

È stato immediato leggere tutte le vicende che hanno animato l’avventura di Stoichkov come segni di Dio, come Ayat-Allah, come testimonianza del passaggio di un’entità superiore. Che poi è quello che è stato Stoichkov, una figura superiore agli altri, un ponte col divino o Dio incarnato, a libera interpretazione.

Autore

Romano, follemente innamorato della città eterna. Cresciuto col pallone in testa, da che ho memoria ho cercato di raccontarlo in tutte le sue sfaccettature.

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