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Verranno a chiederti del nostro amore

Genova, città di mare, di vicoletti, di pescatori, di passione e di nostalgia. La storia di Genova è legata a filo stretto con i tumulti e l’indomabilità di quella distesa blu che tocca le sue sponde, che ha temprato nei secoli il carattere di un popolo che da sempre ha organizzato la propria vita intorno a quella forza implacabile e trascinante che è il mare. Proprio di fronte all’acqua, nel quartiere di Pegli, nasce il 18 febbraio 1940 colui che darà voce a tutti quei sentimenti che animano la città, imponendosi come un vero e proprio simbolo non solo di Genova, ma di un’intera generazione. Nasce Fabrizio De André, 47 anni dopo la fondazione della più longeva squadra di calcio italiana, il Genoa, con cui il cantautore instaurerà un legame profondo e tormentato, tipico delle relazioni intense vissute da Faber.

In direzione ostinata e contraria

L’amore tra De André e il Genoa si instaura in questo modo, rappresenta la cifra perfetta dell’intera poetica del cantautore. “In direzione ostinata e contraria” è il titolo della prima antologia ufficiale delle sue opere, uscita postuma nel 2005. Questo titolo è tratto dalla canzone “Smisurata preghiera” ed è stato scelto da Dori Ghezzi, seconda moglie di Faber, come massima esemplificativa dell’intera produzione artistica del marito. E in questo modo nasce anche l’amore tra De André ed il Genoa, una passione profonda che accompagnerà il cantautore per tutta la vita.

Il piccolo Fabrizio viene portato allo stadio per la prima volta a soli 7 anni, ad assistere a un Genoa-Torino col padre Giuseppe e il fratello Mauro, entrambi tifosi granata. Il bambino non ha ancora un interesse preciso, non sceglie una parte, ma il Grifone perde quella partita, contro la squadra più forte del tempo. Il desiderio di stare sempre dalla parte dei sconfitti è già viva nel futuro cantautore, e anche la voglia di ribellione manifestata già in precoce età.

Vuoi per andare contro il padre e il fratello, vuoi per familiarità col Grifone sconfitto, ma quel giorno Fabrizio sceglie di legarsi ai colori rossoblù e lo fa con quell’aspirazione che poi non lo lascerà mai, quella di schierarsi sempre con i più deboli, contro il parere comune.

Al Genoa scriverei una canzone, ma non posso perché sono troppo coinvolto.

Persino un cantore sopraffino dell’amore come Faber non riesce a dare voce all’amore che prova per la sua squadra, una passione che non può essere vista col distacco tale per sezionarla e darle una forma tangibile. De André è riuscito a cantare praticamente ogni sentimento, ma non l’amore per la propria squadra, un ardore sempre estremo e vivo, capace di dominarlo in ogni tipo di situazione. Anche quando insieme a sua moglie è prigioniero in un qualche angolo della Sardegna e l’unico vero momento di sconforto lo vive quando, ascoltando la partita alla radio, viene a sapere che il suo Genoa è stato sconfitto a Terni.

Un amore per tutta la vita, da quando chiede in tenera età a Babbo Natale una maglia del Genoa al desiderio, alla sua morte, di farsi cremare con una sciarpa del Grifone. Un legame saldo, che col tempo ha assunto dei contorni mitici, perché in fondo il Genoa e De André hanno molto in comune, sono il retaggio di un passato visto con quell’ammirazione per ciò che è stato, ma anche con quella malinconia per ciò che difficilmente sarà di nuovo. 

Coreografia rossoblù al Ferraris (Foto: Paolo Rattini/Getty Images - OneFootball)
Coreografia rossoblù al Ferraris (Foto: Paolo Rattini/Getty Images – OneFootball)

Ricordi, sbocciavan le viole 

La storia del Genoa è avvolta da un passato maestoso, quasi mitico ormai. La nascita nell’ormai lontanissimo 1893, il 7 settembre, sul finire del secolo che aveva regalato l’Italia unita e un ritrovato protagonismo nazionale. Cinque anni dopo il primo titolo, un campionato giocato in un’unica giornata, uno scenario impensabile al giorno d’oggi. L’8 maggio 1898 va in scena un quadrangolare in cui il Genoa batte prima la Ginnastica Torino 0-2 e poi in finale supera ai supplementari, davanti ai 100 spettatori del Velodromo Umberto I, l’Internazionale Torino, con le reti di Spensley e Leaver.

I rossoblù vincono anche il secondo campionato della storia, stavolta durato due settimane, dal 2 al 16 aprile, superando ancora una volta in finale l’Internazionale Torino. Non c’è due senza tre e il Genoa vince anche il campionato del 1900, lungo questa volta un mese e mezzo. In finale, stavolta, c’è la Torinese, liquidata con un secco 3-1.

La leggenda Genoa nasce a cavallo del nuovo secolo: 3 scudetti, poi uno stop col successo al Milan, e ancora altri tre scudetti. Il Grifone è il massimo esempio calcistico in Italia e nel 1903 è il primo club della penisola a sfidare una squadra straniera, nel dettaglio il Football Velo Club Nizza, che il 27 aprile nel suo stadio viene sconfitto 3-0. La popolarità della squadra cresce a dismisura, il Genoa diventa anche la prima società italiana a organizzare un tour in Sudamerica, in Argentina e Uruguay, dove gioca dei match-evento contro le rispettive selezioni nazionali. 

Il settimo titolo arriva poi nel 1915; una vittoria controversa, perché il campionato viene sospeso per l’ingresso in guerra dell’Italia dopo la ratifica del patto di Londra. Il Genoa era primo nel proprio girone, quello Nord, e quindi si vide assegnato il settimo titolo della propria storia. Sette vittorie su 17 edizioni, il dominio del Genoa agli albori del calcio italiano è fuori discussione.

Poi arriva la guerra, che spazza via tutto anche nel mondo del calcio. I calciatori vanno al fronte, alcuni non tornano, altri ne sono irrimediabilmente stravolti. Il conflitto stravolge la vita di milioni di italiani e dà un primo colpo all’egemonia rossoblù.

Gli ultimi due titoli nazionali del Genoa arrivano nell’ultimo glorioso biennio rossoblù, sotto la guida di William Garbutt. 1922-23 e 1923-24, ottavo e nono titolo per il Grifone, poi l’inizio della fine, con un declino lento e inesorabile che allontana il Genoa dall’elite del calcio italiano.

A dieci anni dall’ultimo campionato vinto, nel 1934, arriva la prima retrocessione del club, che quindi conosce il baratro della Serie B e continua ad affondare in un pantano da cui per un bel po’ non riuscirà a ridestarsi. Gli anni gloriosi diventano sempre più un pallido ricordo, il fiore sbocciato a inizio secolo piano piano appassisce, non trova acqua di cui nutrirsi e lascia spazio a fiori più forti.

Lascia che il vento ti passi un po’ addosso

Il Grifone piano piano ripiega le proprie ali, il grande Genoa diventa una leggenda, un anziano dal passato mitico di cui avere rispetto, ma che molti tendenzialmente considerano come una semplice traccia di un’era ormai dimenticata. I 9 scudetti sono destinati a rimanere tali, senza l’ulteriore step che avrebbe fatto guadagnare ai liguri la sospirata stellina.

Gli anni che vanno dal dopoguerra a fine secolo sono abbastanza piatti, tranne per un fulmineo ma potente soffio di vento che investe i rossoblù proprio all’ingresso dell’ultimo decennio del XX secolo. Nella stagione 1988-89 il Genoa vince il campionato di Serie B e, guidato dal mister Franco Scoglio, ritrova la massima serie dopo 5 anni di purgatorio. Una dimensione cui purtroppo i rossoblù si stavano praticamente abituando, considerando che dal 1960 in quasi trenta anni di storia il Grifone aveva disputato solo 9 campionati di A. Decisamente una cifra esigua.

Il ricordo del Professore Franco Scoglio, a 10 anni dalla sua scomparsa (Foto: Gabriele Maltinti/Getty Images - OneFootball)
Il ricordo del Professore Franco Scoglio, a 10 anni dalla sua scomparsa (Foto: Gabriele Maltinti/Getty Images – OneFootball)

Ad ogni modo, il Grifone torna in A e riesce a rimanerci, piazzandosi nella stagione 1989-90 all’undicesimo posto, ottenendo dunque una preziosa salvezza. Gli anni ’90 portano però una folata di novità in casa Genoa, soprattutto grazie a due protagonisti: uno in panchina, mister Osvaldo Bagnoli, e uno in campo, il bomber ceco Tomas Skuhravy.

Il tecnico veniva dalla lunga avventura all’Hellas Verona: un regno durato quasi dieci anni, dal 1981 al 1990, in cui ha portato agli scaligeri lo storico scudetto del 1985. L’attaccante, invece, era un classe ’65 nato in Cecoslovacchia e affermatosi nelle fila dello Sparta Praga, consacratosi al grande calcio proprio nell’estate 1990, quando conquista il titolo di vice capocannoniere del Mondiale italiano.

L’ultimo decennio del 1900 riporta gli albori di inizio secolo, tornando a regalare lampi di grande Genoa. Come un cerchio che trova la propria chiusura. E pensare che la migliore stagione dei rossoblù nel dopoguerra non parte sotto i migliori auspici. La squadra vive una pesante contestazione a inizio campionato, non ingrana e viene eliminata dalla Roma in Coppa Italia, un match al termine del quale Bagnoli striglia i propri tifosi, chiedendogli maggiore vicinanza alla squadra. Un episodio che crea tensione nell’ambiente e nello spogliatoio, ma alla decima giornata arriva la svolta. Va in scena il derby, evento sempre pieno di trepidazione, ansia e passione a Genova. A Marassi il Grifone riesce a sconfiggere i cugini doriani, futuri campioni d’Italia, andando in vantaggio con Eranio e trovando il gol decisivo al minuto 74 con Branco, dopo il momentaneo 1-1 blucerchiato firmato da Vialli su rigore.

Da quel giorno il Genoa cambia marcia e vive una stagione al di sopra delle aspettative, piazzandosi a sorpresa al quarto posto e qualificandosi, per la prima volta nella sua storia, in Coppa UEFA. Protagonisti assoluti della cavalcata rossoblu sono i due attaccanti, Skuhravy e Aguilera, che chiudono il campionato con 15 gol a testa. Un coppia perfetta per complementarità: grosso e fisico il ceco, agile e brevilineo l’uruguaiano.

Con un incredibile entusiasmo ritrovato comincia una nuova stagione per il Genoa, con gli occhi puntati interamente sulla spedizione europea. La marcia in campionato si rivela sotto tono, con i liguri che chiudono al quattordicesimo posto. In Europa, però, la musica è molto diversa.

L’inizio è subito da brividi: il Grifone rischia moltissimo nei trentaduesimi contro il Real Oviedo, perdendo 1-0 l’andata in Spagna ma rimontando al ritorno. Il primo gol europeo del Genoa porta naturalmente la firma di Skuhravy, poi gli spagnoli pareggiano, ma alla fine Caricola e ancora Skuhravy regalano la qualificazione al Genoa.

Da qui i liguri ingranano la marcia. Fanno fuori prima la Dinamo Bucarest ai sedicesimi, 3-1 a Marassi e 2-2- in Romania, e poi anche la Steaua negli ottavi, 0-1 a Bucarest e 1-0 a Genova, massimo risultato col minimo sforzo. Le cose si fanno davvero interessanti: alla sua prima partecipazione il Genoa ha raggiunto i quarti di finale di Coppa UEFA, un risultato già di per sé storico. Ma il Grifone non ha intenzione di fermarsi, anche se di fronte c’è un avversario terribile come il Liverpool.

L’andata si gioca a Marassi ed è una delle notti più belle della storia genoana. Fiorin al 39′ e Branco all’88’ firmano l’incredibile 2-0 del Genoa sul Liverpool. La semifinale diventa un obiettivo tangibile, circa 4000 tifosi rossoblù partono alla volta dell’Inghilterra per spingere la propria squadra allo storico traguardo e il Genoa non delude. Il mattatore del match di ritorno è Aguilera, che sigla una doppietta, è inutile il gol del momentaneo pareggio di Rush. 1-2 ad Anfield, triplice fischio: il Genoa è in semifinale di Coppa UEFA.

Il sogno ora inizia davvero ad assumere contorni di realtà. Genoa, Ajax, Torino e Real Madrid si giocano l’accesso alla finalissima. I liguri pescano gli olandesi, forse il sorteggio migliore alla vigilia, ma la storia poi racconterà ben altro. Il match d’andata è un’altalena di emozioni. Petterson porta avanti i lancieri dopo un solo minuto di gioco e Roy raddoppia al 16′. Il Genoa non si abbatte e rimonta con un’altra doppietta di Aguilera, ma al tramonto del primo tempo l’Ajax torna ancora avanti con Winter.

Frank de Boer e Tomáš Skuhravý in un contrasto di gioco in Genoa-Ajax (Foto: Imago - OneFootball)
Frank de Boer e Tomáš Skuhravý in un contrasto di gioco in Genoa-Ajax (Foto: Imago – OneFootball)

Il risultato rimane bloccato sul 2-3 fino al fischio finale e in Olanda il Grifone non va oltre l’1-1, trovando il vantaggio con Iorio ma venendo rimontato dalla giovane stella Dennis Bergkamp.  Si conclude così l’avventura europea del Genoa, un cammino pazzesco che ha riportato i tifosi genoani indietro di tantissimi anni, facendo riemergere sogni e aspirazioni da tempo congelati.

Vivesti solo un giorno come le rose

Il passaggio tra i due secoli viene vissuto dal Genoa in modo anonimo, come larga parte della sua storia dal dopoguerra. Negli ultimi anni, il Grifone si è ristabilito in pianta stabile in Serie A, vivendo anche momenti alti e ritrovando la qualificazione europea sotto la guida di un altro bomber leggendario: Diego Milito. Ancora lampi, però, e nulla più.

Del grande Genoa rimane sostanzialmente un passato nostalgico, che associa ancora di più la squadra al suo amatore, Fabrizio De André. È impossibile non riconoscere dei parallelismi tra le loro vicende, le vestigia di un passato mitico spazzato via dal mondo che avanza tanto, troppo velocemente. Ciò che il Genoa rappresenta per il calcio italiano, Faber simboleggia per la musica. Modelli ammirati e venerati, che rimarranno per sempre immortali nella memoria di appassionati e addetti ai lavori.

Il Genoa è quel calcio di una volta, rimasto sospeso e congelato, come quella stellina non arrivata per un soffio. Nove scudetti, l’indice di maggiore non realizzazione che possa esserci, una spinta in più e il traguardo sarebbe raggiunto. Ma quella piccola oscillazione non è arrivata mai e difficilmente lo farà, almeno in tempi abbastanza concisi.

Il Genoa è un gigante non più nemmeno addormentato, ma pietrificato, su cui il mondo ha lasciato i propri segni, facendo crescere muschio e piante. Una testimonianza che una volta lì una potenza enorme si agitava, ma ora quella forza è spenta, incapace di ridestarsi. È impossibile pensare al Genoa come a una grande del nostro calcio, ma è anche difficile pensare il contrario, così com’è complesso vederla come una nobile decaduta, perché le campane della riscossa non sono intente a suonare.

Il Genoa è un po’ quello che è De André nella musica: un modello, ma irraggiungibile e lontano. Distante nella profondità, non nel tempo. È molto difficile mirare le vette d’espressione artistica e poetica raggiunte dal cantautore ligure; non impossibile perché l’umano ingegno non abbia limiti, ma perché, ad oggi, non si vedono i margini.

Come il calcio, anche la musica è cambiata molto, si è fatta più frenetica, più industriale, forse un po’ meno romantica e personale. Fabrizio De André detestava i live, i ragazzi di oggi cantano in pubblico sin dalle prime strofe incise. Due modi assolutamente inconcepibili e distanti di intendere la musica, uno figlio della tradizione e l’altro del bombardamento mediatico dei nostri tempi. Per tutte queste ragioni, un nuovo Fabrizio De André lo vedremo difficilmente, così come un nuovo Genoa dominante. È il ciclo che governa l’andirivieni del mondo, è una deriva inevitabile.

Resta, però, una bellissima storia d’amore da raccontare, quella tra il più grande cantautore della storia della musica italiana e la prima grande squadra di calcio della penisola. Due amanti ormai fuori da un tempo che li omaggia, li venera, ma in fondo non li concepisce. E loro, sospesi nella loro personalissima dimensione, continueranno ad amarsi, e le generazioni avvenire continueranno a chiedere di questo grande amore, come un bambino prega la mamma di raccontargli una fiaba prima di dormire. Con gli occhi sognanti, il cuore rapito da quella vicenda ma la mente lontana dal crederla reale.

La bandiera con il volto di Faber sventolata nella Gradinata Nord
La bandiera con il volto di Faber sventolata nella Gradinata Nord

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Autore

Romano, follemente innamorato della città eterna. Cresciuto col pallone in testa, da che ho memoria ho cercato di raccontarlo in tutte le sue sfaccettature.

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