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CALCIO ESTERO

Dalla parte di Dyche

È una domenica come tante altre, anzi, è una domenica novembrina come molte altre. Fa discretamente freddo, fuori piove, e ad ora di pranzo il sole sembra aver già timbrato il cartellino per l’uscita da lavoro. In realtà pare non abbia mai preso servizio. Del resto la luce è quasi unicamente appannaggio dell’artificialità in certi periodi. Dal canto mio ho da poco finito di pranzare (per i curiosi, pasta al forno) e mi ritrovo in quel limbo che prevede ogni giornata di campionato, dove tra la spossatezza del lauto pasto appena consumato e l’attesa che l’orologio segni finalmente le 15, non trovi modo di occupare quei sessanta minuti della tua vita che un domani magari rimpiangerai. Decido di optare per la soluzione più banale e forse meno raccomandabile, ma allo stesso tempo più comoda. Così prendo il telefono alle mie spalle ed apro Instagram. Quasi subito mi compare un video di SkySports girato da pochi istanti direttamente dal Turf Moor, protagonista Sean Dyche.

Quello stesso pomeriggio infatti il palinsesto della 13esima giornata di Premier League prevede per l’appunto alle 15 il match tra Burnley e Tottenham. Dopo un inizio di stagione a dir poco travagliato (3 soli punti nelle prime 8 giornate di campionato), i Clarets sembrano aver ritrovato un minimo di continuità e stanno al momento provando a risalire la china. Dall’altro lato gli Spurs dopo una prima parte di campionato altalenante si trovano ora agli albori dell’era Conte, che al netto di un paio di ottime prestazioni ha però già avuto modo di testare la tipica tragicomicità di casa Tottenham nell’ultimo turno di Conference League, dove i londinesi sono usciti sconfitti per 2-1 dalla sfida contro gli sloveni dello NS Mura, fino a quel momento con 0 punti nel proprio girone.

Non certo una partita di cartello dunque, ma che per le squadre potrebbe valere molto più dei 3 punti in palio sulla carta. Da parte sua la formazione di Sean Dyche difficilmente potrebbe ritrovare in futuro una compagine come il Tottenham altrettanto vulnerabile come al momento, mentre proprio per questi ultimi il miglior modo per dimenticare una sconfitta verrebbe ovviamente rappresentato dalla possibilità di scendere in campo nell’immediato, carichi di voglia di riscatto. Al contrario una sconfitta farebbe aleggiare vecchi e nuovi dubbi su entrambe le squadre. Lecito dunque aspettarsi una certa tensione nell’aria, non fosse che un agente esterno interviene per stemperare l’ambiente e abbassare, letteralmente, la temperatura.

Il 28 novembre su Burnley – città non certo rinomata per il suo clima accogliente – inizia a cadere la neve. Quale sarebbe il problema verrebbe da pensare? Beh, in effetti non ce ne sarebbero, non fosse altro che nell’ora e mezza circa precedente la partita, quello che inizialmente appariva come un semplice nevischio, tramuta in una vera e propria bufera, finendo per abbattersi ovviamente anche sul Turf Moor. Pian piano tutto inizia a ricoprirsi copiosamente di bianco, con l’ipotesi di un rinvio della partita che prende sempre più piede.

È in questo momento che il video qui sopra riportato vede la luce. Dyche decide di dare di persona un’occhiata alle condizioni del campo di gioco, e fin qui non ci sarebbe nulla di particolare da segnalare al riguardo. La scena regala però un misto di sensazioni che oggi si fa sempre più fatica a trovare nel mondo del calcio. In particolare una sensazione di naturalezza. Tralasciando l’abbigliamento – su cui si è concentrata gran parte dell’attenzione mediatica, tanto da annoiare lo stesso Dyche – quella che colpisce è l’espressione che si viene a creare sul volto dell’allenatore del Burnley.

Alla vista di tutta quella neve i pensieri legati alla partita svaniscono, e la reazione è la stessa che avrebbero il 98% delle persone. Sean Dyche sorride, lo fa in maniera spontanea, genuina, in cui non s’intravede quell’artificiosità nei comportamenti sempre più presente in ambito calcistico e non solo, sia davanti le telecamere che dietro. In quel momento il tecnico del Burnley è soltanto un uomo qualsiasi che si gode la vista di una nevicata, ed è lampante che se in città è così tanto amato dai tifosi è anche, e soprattutto, per questa sua genuinità.

Una sciarpa del Burnely raffigurante Sean Dyche
Una sciarpa a dir poco iconica (Foto: George Wood/Getty Images – OneFootball)

Parte di Burnley

Così tanto amato da diventare parte integrante della città situata nella contea del Lancashire. Per la precisione dall’estate del 2018, quando l’ormai ex The Princess Royal cambiò il proprio nome in omaggio all’allenatore inglese e alla fantastica stagione della squadra – terminata settima in campionato guadagnando persino l’accesso ai preliminari di Europa League – diventando quello che ad oggi è il The Royal Dyche, pub situato a poco meno di 500 metri dal Turf Moor. Personalmente mi piace pensare che dopo il rinvio della partita perchè no, Dyche possa essere andato a bere una pinta di birra proprio nel pub ad esso dedicato. Conoscendo il personaggio non sarebbe poi tanto distante dal possibile.

La storia del pub però non parte solo da quel magnifico e forse irripetibile, almeno nel breve termine, settimo posto in campionato. Oltre ad avere un clima piuttosto ostile, Burnley è probabilmente uno dei luoghi con meno attrattive del territorio di Sua Maestà, in cui il calcio rappresenta la principale via di fuga dalla monotonia della quotidianità. Come tante città inglesi (vedi Sunderland) la cui vita gira quasi esclusivamente intorno alla squadra di calcio locale – non a caso ha la più alta affluenza di tifosi allo stadio in rapporto al numero di abitanti – l’umore degli abitanti non può prescindere dall’andamento del club. 

Quando Dyche arriva a Burnley nel 2012, il club è ancora alle prese con l’affannosa ricerca di un ritorno stabile nel massimo livello del calcio inglese, come ormai non accadeva da decenni, e che qualche anno prima aveva solo fugacemente riassaggiato. Diventerà l’uomo che riporterà permanentemente il club in quella che oggi è la Premier League, che all’epoca dell’ultima partecipazione dei Clarets era ancora chiamata First Division, fino al già citato settimo posto che lo consacrerà a vero e proprio eroe cittadino. Lo farà partendo ogni anno contro i favori del pronostico, spesso con budget di mercato risicati, riuscendo in mezzi miracoli, ma soprattutto con un modo di fare ed essere che lo farà entrare indelebilmente nel cuore dei tifosi del Burnley e non solo.

Sean Dyche con il trofeo della Championship
Sean Dyche con il trofeo della Championship conquistato con il Burnley nella stagione 15/16, che da quel momento non sono mai più scesi dalla Premier League (Foto: Jan Kruger/Getty Images – OneFootball)

Sean Dyche, fuori dal coro

Antidivo, popolare, genuino, indifferente. Sono alcuni degli aggettivi che potrebbero accostarsi all’allenatore del Burnley, nessuno dei quali tuttavia basterebbe a descrivere la persona di Sean Dyche. Figura troppo dissimile dai canoni a cui siamo abituati, come una nota stonata, fuori spartito, ma che in questo caso contribuisce in positivo alla melodia. In un mondo sempre più condizionato da personaggi finti, da maschere create ad hoc per apparire davanti alle telecamere, figure come quella di Dyche – cui accosterei, anche se con immani differenze caratteriali, Thomas Frank del Brentford – rappresentano una boccata d’aria fresca.

Personaggi capaci davvero di “godersi il percorso” utili a tutti per ricordare che il calcio è ancora un gioco, e non solo una materia fredda e astratta fatta di numeri e bilanci. Capaci di costruire favole in campo e di regalare al di fuori di esso ancora quelle sensazioni di autenticità e naturalezza che si fanno sempre più fatica a riscontrare. Ed in questo senso basta seguirne qualche conferenza stampa per avere le testimonianze.

Dyche ride durante un match di Premier
Espressioni del genere sono sempre più rare da ritrovare su un campo da calcio (Foto: Clive Brunskill/Getty Images – OneFootball)

Nel calcio, ma come del resto anche nella vita, credo ci siano due tronconi di persone completamente differenti tra di loro. Da un lato c’è chi prende tutto, compreso sé stesso, troppo seriamente, che spesso finge di essere qualcosa o qualcuno che in realtà non è, forzando la natura delle cose, finendo sempre per inseguire qualcosa di non ben definito. Dall’altro c’è chi invece accetta l’assurdità di quello che ci circonda, accetta di fregarsene, di farsi una risata magari, e di essere semplicemente sé stesso, e che chissà, un giorno finirà per ritrovarsi con un pub che porta il suo nome. Dovendo scegliere da che parte stare, sceglierei sempre di stare dalla parte dei secondi. Dalla parte di Dyche.

Autore

Terzino da paese in campo, fantasista sulla tastiera. Segnato fin da bambino dalle lacrime di Ronaldo del 5 maggio, ha capito subito che la vita da interista sarebbe stata dura. Scandisce il tempo in base alle giornate di campionato, sperando un giorno di poter vivere di calcio e parole.

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