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CALCIO ESTERO

Viva il Betis anche se perde

“¡Viva el Betis manquepierda!” (Viva il Betis anche se perde) è il motto della casa. Un motto tramandato dai tempi (bui) della disastrosa retrocessione in Terza Divisione del 1947 grazie allo scrittore e disegnatore Martìnez de Leòn, che lo fece pronunciare a uno dei personaggi dei suoi fumetti. Uno slogan che è tutto un programma sulla travagliata storia di uno dei club più antichi della Liga spagnola che oggi, 12 settembre, compie 113 anni.

Una storia costellata di rovinose cadute e risalite, tonfi e resurrezioni, crack economici e riprese. Sempre con un unico denominatore comune: l’orgoglio del popolo betico e l’incredibile attaccamento alla squadra che lo porterà negli anni a compiere una serie di prodigi. Per amore, solo per amore naturalmente.

Le origini

Real Betis inizi
Formazione del Real Betis dei primi anni Venti

Una storia di passione a cui ha dato inizio nel 1907 di un gruppo di studenti che arrivarono fino a coniare un nuovo termine per riferirsi al gioco del calcio, Balompié, pur di differenziarsi dagli odiati rivali del Siviglia che avevano introdotto l’espressione inglese Football (Sevilla Football Club, appunto) nel naming societario. Nasce così il Real Betis Balompié (e non Betis Siviglia, come viene talvolta erroneamente chiamato provocando le reazioni piccate dei tifosi), una delle nove squadre di Spagna a poter contare un titolo di Primera Divisiòn, sebbene risalente al secondo periodo pre-bellico (1934-1935).

Un periodo, gli anni Trenta, che rappresenta anche il punto più alto dei biancoverdi, mai più raggiunto nella storia ultracentenaria del club. Una fase dopo la quale società e tifosi sono stati protagonisti (e vittime) di un saliscendi ai limiti della schizofrenia che sortirà l’effetto di rendere ancora più epico il racconto di un amore sportivo con pochi eguali al mondo. Un amore viscerale e, come tale, spesso difficile da spiegare, specie nei confronti di chi non si è mai lasciato sedurre da certe passioni brucianti.

I saliscendi

Una passione che, seppur difficile da comprendere fino in fondo, non ha mancato di suscitare ammirazione e apprezzamenti anche al di fuori dei confini spagnoli. Per circa un decennio, infatti, il Real Betis è stata la squadra simpatia a cavallo di quegli anni ’40 e ’50, trascorsi nei bassifondi in Terza Divisione. Il ritorno in Primera arriverà più tardi, nel 1958, ma sarà ancora una volta un’esperienza consumata troppo in fretta. Seguiranno altre due retrocessioni in Segunda, la prima sul finire degli anni ’60, poi nel 1978, quest’ultima in maniera a dir poco incredibile dopo la conquista della Copa del Rey dell’anno prima. Negli anni successivi, neanche a dirlo, ancora una resurrezione e ancora una caduta tra i decenni ’80 e ’90: periodo cominciato con la riconquista dell’Europa per due volte nella prima metà del 1980 e concluso con la crisi finanziaria del 1992 che costringe i tifosi a correre in aiuto del club, nel frattempo passato in Segunda, con una raccolta spontanea di 400 milioni di pesetas utili a coprire un terzo del debito contratto dalla società. Un aiuto che spingerà Manuel Ruiz de Lopera a farsi avanti per rilevare il club, salvo poi nel 2010 arrendersi di fronte all’ennesima gestione problematica davanti a un tribunale. Tanto per cambiare.

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La squadra del Betis che giocò la finale della Copa del Rey nel 1977

Ma, come detto, la storia del Betis non è solo il racconto di una barca in preda ai marosi. È soprattutto la storia di gesti clamorosi. E se la raccolta di 400 milioni di pesetas è passata alle cronache come uno degli atti più generosi e concreti di azionariato popolare, proprio negli anni successivi all’ennesimo crack si configurerà l’iniziativa che contribuisce a rendere ancora più mitico e inimitabile il rapporto tra il Betis e il suo popolo. Nel 2014, infatti, la squadra retrocede nuovamente in Segunda a valle di una catastrofica stagione e i tifosi reagiscono sottoscrivendo più di 33mila abbonamenti, andando anche oltre alle tessere emesse l’anno prima (anno in cui, per inciso, la squadra era riuscita a staccare anche il pass per la partecipazione all’Europa League). Quegli stessi 33mila tifosi, insieme ad altri raccolti nel frattempo per strada, assisteranno così al ritorno in grande stile in Primera sospinti da un Ruben Castro capace di realizzare 32 reti in 42 presenze. Proprio Castro è uno dei volti della storia recente del club, grazie ai 148 gol realizzati in 7 stagioni (dal 2010) che hanno fatto di lui, per distacco, il miglior marcatore in assoluto, nonché il faro di due importanti risalite dalla Segunda Division, nel 2010-2011 con 27 centri e in quella già citata del 2014-2015. Anche in Primera, però, Castro ha saputo farsi rispettare non mancando mai la doppia cifra grazie a 16, 18, 10, 19 e 13 realizzazioni.

L’anima del Betis

Ma se volessimo dare il volto e il nome di un calciatore all’amore sconfinato per il Real Betis non potremmo che orientarci verso il più celebre prodotto della cantera betica. Vale a dire Joaquin. L’esterno spagnolo, visto anche con la maglia viola della Fiorentina, è l’emblema dei verdiblanco di cui ha contribuito a scrivere pagine di gloria (vedi il successo in Copa del Rey) e attaccamento. Cresciuto alla corte del club sin da giovanissimo, ha messo insieme oltre 500 presenze che lo porteranno presto a diventare il calciatore con più presenze nella storia del club, salute permettendo.

La maglia di Joaquin nella sua 551esima partita ne La Liga

Dopo la lunga parentesi con altre maglie dal 2006 al 2015 (compreso il primo trasferimento multimilionario e da record alla corte del Valencia), l’esterno iberico ha salutato Firenze per fare ritorno al Villamarìn nell’estate del 2015. Un trasferimento arrivato in extremis negli ultimi minuti di mercato, proprio quando anche lo stesso giocatore cominciava a non crederci più. Il suo ritorno a casa è stato quindi salutato da 20mila tifosi in visibilio, ripagati sul campo dal giocatore che nella sua Siviglia ha ritrovato una seconda giovinezza calcistica. Negli ultimi cinque campionati, infatti, Joaquin ha realizzato con un’imperiosa progressione 1, 3, 4, 7 e 10 gol e distribuito 5, 4, 8, 3 e 3 assist per un bottino complessivo di 25 e 23, rimpolpato proprio da un’ultima stagione con i fiocchi, a dispetto delle 39 primavere.

Dal campo all’arena

L’attaccamento del giocatore alla società biancoverde e alla sua città natale, però, non si misura solo al ritmo di gol e assist, o con lo scorrere delle primavere vissute con la camiseta del Real Betis. Joaquin infatti è diventato di recente il secondo azionista della società acquistando il 2% delle quote (in cambio di un milione di euro) che sembra spalancargli le porte a un futuro da dirigente. Sempre che non sia un’altra passione a prendere il sopravvento. Parlando di recente con il quotidiano spagnolo AS, il giocatore ha confidato un’insolita passione (che potrebbe anche valergli qualche antipatia, magari al di fuori del popolo betico): “Quando tutto tornerà alla normalità – ha spiegato a uno dei quotidiani più letti in Spagna – mi godrò in un modo o nell’altro ciò che mi rimane nel calcio. Poi voglio realizzare un sogno che avevo da bambino: diventare torero, anche se è molto difficile. Mi piacerebbe entrare in questo mondo, sempre nel rispetto di una professione molto delicata e dare il mio contributo benefico a tutte le persone nel mondo dei tori”.

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Joaquin in versione Torero

Figurine

Un racconto il più possibile completo della storia del Real Betis, infine, non può certo prescindere dal ricco album di figurine di calciatori riguardanti in alcuni casi elementi che hanno segnato un’epoca e una generazione. Si pensi a nomi nostalgici del calibro di George Finidi e Denilson, entrambi icone del calcio mondiale nel periodo a cavallo tra i due millenni, entrambi entrati nell’immaginario collettivo anche grazie a videogiochi e sketch comici passati alla storia (si pensi al doppio passo di Giovanni che cerca di imitare il brasiliano in “Così è la vita”).

Due giocatori diversi, quasi agli antipodi. Finidi è il classico prototipo giocatore muscolare e rapido, a tutta fascia e con il fiuto del gol, che si impose in particolare sul finire degli anni ’90. Cresciuto nell’Ajax, il nigeriano approdò al Real Betis con un blitz di mercato nel 1996 e ci rimase fino al 2000 collezionando 37 gol, che lo rendono ancora oggi il 7° miglior marcatore nella storia del club, oltre alle partecipazioni a una Coppa delle Coppe e all’Europa League. La sua storia a Siviglia si concluse con una dolorosa retrocessione, ma l’affetto per lui resta ancora oggi intatto tra il popolo betico. Denilson è invece uno dei più grandi misteri del calcio a cavallo tra i due millenni. Più bello che efficace, campione del mondo con il Brasile del Fenomeno Ronaldo, non ha mai convinto fino in fondo pur facendo sognare un’intera generazione con le sue finte, i doppi passi, le veroniche e le giocate ad effetto. Al Betis approda nell’estate del ’98 e saluta nel 2005 lasciando l’amaro in bocca prodotto dalla consapevolezza di un talento che con un po’ di concretezza in più avrebbe regalato alla squadra ben altre soddisfazioni.

Ma l’elenco dei nomi nostalgici sarebbe lunghissimo a volerlo scorrere tutto. Dalla meteora milanista Ricardo Olivera, capace in maglia biancoverde di segnare 22 gol in un’unica stagione (era il 2004-2005) per poi non ripetersi mai più, all’olandese Rafael van der Vaart, fino all’attaccante paraguayano Roque Santa Cruz e all’altisonante Diego Tardelli, meteora nel cielo di Siviglia nel 2005-2006. Ci scuserete quindi se adesso ci fermiamo, onde evitare gli effetti devastanti della nostalgia.

Autore

Barese di nascita, milanese di adozione, bolognese per lavoro. Neo-papà di Carlotta e marito di Valentina. Come chi nasce al mare ho solo tre lati e una mente aperta. Comunicatore aziendale, appassionato di fantacalcio, un trascorso da giocatore/coach di basket, ora runner.

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