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Interviste di Lusso: Domenico Maietta

Un capitano vive la gara in maniera differente; anzi, non solo la gara del weekend: lo spogliatoio, la settimana prima della partita, le piccole cose. Poi c’è chi si affeziona al ruolo, decidendo di far di quella fascia una sorta di compagna di viaggio, che possa accompagnare l’atleta nelle varie tappe di un percorso che, prima o poi, sarà destinato a finire. Ora che è arrivato al suo ultimo e definitivo pit stop, mentre in campo continua a correre la nuova generazione di calciatori italiani (e non), abbiamo avuto il piacere di fare una chiacchierata con Domenico Maietta.

È partito dalla provincia per approdare in città, ma le radici storico-culturali l’hanno tenuto aggrappato a terra, facendogli spiccare il volo solo una volta giunta la piena maturità, acquisita sia sul manto erboso dei prati calcati in carriera che tra le mura di casa: dallo spogliatoio alla propria abitazione, d’altronde, cambia poco in termini di responsabilità etico-morale.

Il suo, come anticipato in precedenza, è stato un viaggio che ha toccato svariate località lungo tutta la Penisola, isole escluse, se non per le trasferte. Dopo essere cresciuto dapprima nella sua Cirò Marina e successivamente nel vivaio della Juventus, sono arrivate, in ordine: L’Aquila, Triestina, Messina, Avellino, Perugia, Crotone e Frosinone.

Il cuore, però, l’ha lasciato nelle sue ultime tre esperienze, in altrettante regioni differenti: Capitano all’Hellas Verona, Capitano al Bologna e Capitano all’Empoli, dove ora affronterà un nuovo capitolo della sua vita calcistica, da team manager. Sempre con la voglia di aiutare il prossimo, dal compagno veterano al giovane appena approdato in prima squadra. Sempre con il sorriso, che non ha mai smesso di accompagnarlo fin dai primi campi calabresi, quelli dove ha coltivato i semi del Capitan Maietta che verrà.

Un giovanissimo Domenico Maietta

Due chiacchiere con Domenico Maietta

RdL: Ciao Domenico. Si è da poco conclusa la tua 18esima stagione da professionista: guardandoti indietro, c’è qualcosa che non rifaresti?

M: Sinceramente, penso di aver fatto tanto. Non rifarei le cavolate della gioventù, ecco: guardandomi indietro, quelle non le rifarei. Allo stesso tempo, è anche grazie a quelle se sono cresciuto. Per il resto non rimpiango nulla.

RdL: Nonostante la tua longevità in campo, l’esordio in Serie A è avvenuto il 24 agosto 2013, a 31 anni e 21 giorni: cosa si prova a debuttare in un palcoscenico simile dopo più di 10 anni dal tuo ingresso nel professionismo?

M: Per fortuna, non mi ha fregato l’emozione: non ero emozionatissimo, piuttosto avevo voglia di esordire in Serie A. Poi ho fatto l’esordio con un squadra (l’Hellas Verona, contro il Milan, ndr) che mi porterò sempre dentro, che mi ha fatto stare a mio agio, quindi non potevo chiedere di meglio. D’altra parte, è vero che potevo farlo molto prima, perché dopo il Frosinone ho avuto l’opportunità di andare a Siena; ho rifiutato per sposare il progetto del Verona: fortunatamente, sono arrivato in A con le mie gambe. La cosa bella è che tanti giocatori, da giovani, debuttano subito, ma poi perdono la categoria; io, invece, ho fatto il contrario: è stato difficile, alla mia età, arrivarci, mantenerla e conquistarla in altre occasioni. Questo mi gratifica.

RdL: Facciamo un passo indietro. Tu sei originario di Cirò Marina, nel crotonese, ma cresci calcisticamente nel vivaio della Juventus: qual è stato l’episodio chiave che ti ha spinto a buttarti nel mondo del pallone?

M: Non c’è stato un episodio in particolare. Io andavo avanti, sapendo di voler migliorare, ma non c’è stata una scintilla o un cambio di mentalità in questo senso; quest’ultimo è arrivato a 27 anni, quando sono andato a Frosinone. Questo cambio di mentalità mi ha portato ad essere un calciatore ed una persona differente. Vedo ragazzi che anche a 35/36 anni non hanno questo tipo di mentalità da leader; a me, invece, è scattata in maniera maniacale: volevo lasciare un’impronta da qualche parte e per fortuna ci sono riuscito.

RdL: Dopo la Juve, una serie di esperienze, tra Triestina, Messina ed Avellino, fino all’approdo al Crotone: pensi che l’anno prossimo, in Serie A, possano fare bene?

M: Me lo auguro. Penso e spero che abbiano le carte in regola per fare bene, anche perché hanno un grande pubblico, oltre ad ambizioni non eccessivamente superlative, che possono distrarli a lungo termine. Sarà una di quelle squadre pericolose che cercano di salvarsi presto. Me lo auguro per l’ambiente e per il circondario, ossia anche per la provincia di Crotone. È difficilissimo e si sa che specialmente per queste piazze è arduo mantenere la categoria, però sinceramente me lo auguro.

RdL: Il tuo nome è indissolubilmente legato all’Hellas Verona, con cui hai disputato ben 132 partite. È la realtà a cui sei più affezionato, tra quelle in cui hai militato?

M: Verona e Bologna sono le squadre dove non solo c’è stato un legame forte: ho amato e amo tuttora quelle piazze, mi sono entrate dentro. Cercavo di dare il massimo per la gente e per la maglia, non preoccupandomi della mia salute o del mio contratto, perché volevo lasciare un’impronta importante, pur non essendo una passeggiata. Giocare in queste piazze, che sono difficilissime, perché ci sono passati tanti campioni e perché pretendono tanto, non è stato facile, ma sono sicuramente le due a cui sono e sarò sempre più legato. Quando si sfidano, tifo per il pareggio… (ride, ndr).

RdL: Con il Verona, nella stagione 2011/2012, hai segnato persino 4 gol in Serie B, il tuo record personale. A tal proposito, qual è la rete a cui sei più legato?

M: Non sono stato mai un grande goleador, ma i gol che ho fatto per fortuna sono stati belli. Quello che mi porto dentro è sicuramente quello contro il Torino, perché era la squadra indubbiamente più forte del campionato; feci quella cavalcata che ancora oggi mi ricordano a Verona. Se poi parliamo di altre cose, ci sono una marea di piccoli gesti a cui sono legato.

Domenico Maietta dopo il tiro dalla distanza contro il Torino
Domenico Maietta dopo il tiro dalla distanza contro il Torino
RdL: Abbiamo parlato di gol, ergo della gioia calcistica per antonomasia: qual è stato il momento più felice nella tua carriera? E quello più triste?

M: Per quanto riguarda quello più felice, ce ne sono stati tanti… Ho vinto diversi campionati, ognuno con la sua importanza e la sua bellezza, che mi hanno fatto felice. L’ascesa con il Verona, ad esempio, è stata bellissima: l’Hellas non andava in Serie A da 11 anni, con svariati fallimenti, ed abbiamo fatto C-B-B-A e quasi Europa League. Anche a Bologna, con una situazione societaria complessa, siamo riusciti a vincere e l’anno successivo ho fatto un buon campionato; ad Empoli, con 28 partite senza mai perdere: arrivai che la squadra era quarta ed abbiamo concluso da primi con 12 punti sulla seconda. Quello triste è personale: ho subito due lutti durante la mia esperienza ad Empoli, che, vuoi o non vuoi, mi hanno fatto perdere qualcosa, nella fame e nella cattiveria agonistica.

RdL: In carriera, hai indossato spesso la fascia da capitano: è un ruolo che ti ha pesato o hai ritenuto questa responsabilità un vanto?

M: A me non ha mai pesato, anzi: ho sempre cercato di trascinare i compagni, con o senza fascia. Ho sempre pensato che puoi essere un leader anche senza avere la fascia legata al braccio; per fortuna, in diverse società mi è stata affidata, perché vedevano in me una figura che si prendeva tante responsabilità. Quando le cose andavano male, cercavo sempre di far scattare una scintilla a qualche mio compagno, o di prendermi anche responsabilità altrui; le fasce di Verona, Bologna ed Empoli non mi sono mai pesate, anzi, mi hanno dato più carica.

Alcune delle fasce da capitano di Maietta
RdL: Dal 31 gennaio 2018, sei stato un giocatore dell’Empoli: come ritieni la tua esperienza con i toscani?

M: Mi sono trovato fin da subito bene, anche perché abbiamo fatto quel finale di stagione stratosferico. In A eravamo partiti benissimo, ma non arrivavano i risultati: una squadra giovane ed inesperta, ma nonostante ciò facevamo un grande calcio. Poi c’è stato l’esonero di Andreazzoli… In quel periodo, quando ho subito quelle perdite, non sono stato in grado di aiutare la squadra: mi sono svegliato un po’ verso la fine, psicologicamente parlando. Lì sono riuscito, nel mio piccolo, a smuovere la squadra e siamo andati bene: purtroppo siamo retrocessi con 38 punti, a pari merito con il Genoa, giocandoci la permanenza contro un’Inter che cercava la Champions League. Alla fine, abbiamo fatto un buon campionato, lasciando un bomber come Ciccio Caputo, al suo primo anno in Serie A, oltre a Traorè, Di Lorenzo e molti altri: la squadra c’era.

Rdl: A marzo, hai rivelato a Calcio Hellas la tua intenzione di appendere gli scarpini al chiodo: cosa riserva il futuro per Domenico Maietta?

M: L’avevo dichiarato e così è stato. Mi dispiace solamente aver avuto un addio particolare, senza pubblico: volevo lasciare un’impronta importante, credevo nella vittoria di quest’ultimo campionato. Allo stesso tempo, però, è stata un’annata particolare, con 3 allenatori cambiati ed una squadra completamente nuova: per quanto forti fossero i giocatori, abbiamo fatto fatica. Non sono riuscito a lasciare il segno. Per il mio futuro, ancora non so; ho in ballo qualcosa, spero che a breve si verrà a conoscenza (l’intervista è datata 13/08/2020, quando ancora non era stato annunciato come nuovo team manager dell’Empoli, ndr).

RdL: Ultima domanda. Domenico Maietta, nella vita di tutti i giorni, è un titolare o una Riserva di Lusso?

M: Sicuramente sono una Riserva di Lusso, perché preferisco avere un determinato tipo di mentalità. Prima non ero così: cercavo di ostentare il mio status, di cercare di divertirmi con gli amici… Ora no, preferisco farmi gli affari miei e farmi vedere sempre meno: non perché me la voglia tirare, anche perché nel mio paese io sono un ragazzo come gli altri, di certo non Domenico Maietta il calciatore. Sono una via di mezzo, diciamo: entro a gara in corso, ma partire titolare non mi dispiace… (ride, ndr).

Domenico Maietta all’ingresso in campo in una sfida al Chievo Verona (Fonte: Getty Images)

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Autore

Classe 2000, scrive di calcio e basket, in attesa degli straordinari di aprile. Dall'estate 2020 dirige la redazione di Riserva di Lusso. È l'autore de "Il pipistrello sulla retina".

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