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CALCIO ESTERO UCL

Un sogno chiamato Champions League

Quando ti viene fischiato un calcio di rigore a favore all’ottantottesimo minuto nel ritorno di una semifinale di Champions League, con la possibilità di portare ai supplementari la contesa, di fronte ai tuoi tifosi, non so se ti passa tutta la vita davanti, ma probabilmente tutta la carriera sì. Chissà quanti ne ha calciati di rigori Juan Román Riquelme nel barrio, quante volte ha spiazzato l’amico di turno nel ruolo del portiere, in qualche potrero trascurato. Si è allenato una vita intera per battere quel rigore, lo stesso che poteva aiutarlo a raggiungere la sua prima finale di Champions League, e poi magari vincerla, per entrare nella leggenda

Cosa succede al numero dieci della nazionale argentina, leader tecnico del Villarreal della stagione 2005/2006, quando sul momento più importante dell’anno si fa parare un tiro dagli undici metri? È come se tutti i riflettori puntati su di lui in quel momento si spegnessero di colpo, come scarichi. Buio pesto, e segnare un rigore diventa improvvisamente più difficile di respirare. Forse a Riquelme è mancato il respiro in quel frangente, oppure subito dopo. Una foto simbolica lo inquadra accosciato con lo sguardo perso nel vuoto, attimi dopo aver mancato il goal dell’1-0 contro l’Arsenal. Subito dopo aver calciato addosso a Lehmann quel pallone, Riquelme cerca la ribattuta invano, poi rimane immobile, come se trafitto da una spada. È l’amarezza del momento, il materializzarsi di una tragedia greca, oppure il riassunto emozionale di una stagione da batticuore per una squadra che fino a dieci anni prima giocava in Segunda División, e quel 25 aprile di sedici anni fa si trovava a un passo dalla gloria, fino all’attimo in cui tutto è andato in frantumi per mano del proprio miglior giocatore. 

L’annata 2005/2006 del Villarreal è ricordata da molti per quel calcio di rigore fallito da Riquelme, che pure di rigore aveva favorito, qualche tempo prima, l’accesso ai quarti di finale del torneo al Submarino Amarillo dopo un doppio pareggio con i Rangers Glasgow. Eppure, quel capolavoro incompleto che è stato il percorso in Champions League della squadra iberica non se l’è dimenticato nessuno dalle parti di Vila-real, una cittadina disillusa di 50.000 abitanti nei pressi di Valencia. Ogni anno, quando si definiscono gli obiettivi stagionali, nessuno punta mai a certi risultati, ci si accontenta di molto meno. Per certi versi, al Villarreal e ai suoi tifosi forse sarebbe bastato anche solo passare il girone contro Benfica, Manchester United e Lille, un gruppo terminato a dieci punti, da imbattuti. Qualcosa o qualcuno, però, voleva che il cammino dei gialli in Europa continuasse ancora un po’.

Forlan esulta con la maglia del Villarreal
Forlán esulta dopo un goal ai Rangers. (Foto IAN STEWART/AFP via Getty Images – OneFootball)

Sicuramente quel qualcuno era anche l’Ingegnere Manuel Pellegrini, che al Villarreal arrivò nel 2004 dopo aver ben figurato in Argentina. Pellegrini ha vissuto tante vite calcistiche, e non molla la presa ancora oggi, come dimostra l’attuale stagione al Betis Siviglia, col quale non vuole rinunciare al treno europeo per l’anno prossimo. All’epoca però era solo un allenatore di cui si diceva un gran bene in Sudamerica. Il ponte tra America Latina e Spagna è da sempre molto forte, e la penisola iberica è un porto sicuro per tanti talenti, del campo o della panchina che siano, che vogliono arrivare dall’altra sponda dell’Oceano Atlantico a tentar la fortuna. Con Pellegrini, al Villarreal c’erano anche Juan Pablo Sorín, Rodolfo Arruabarena, “El Cacha” Diego Forlán e ovviamente “El Mudo” Riquelme. Il segreto di quel Villarreal era l’equilibrio e l’uguaglianza, perché nessuno valeva più del collettivo. Tutti dovevano giocare per una causa comune, perché i limiti di quella squadra concedevano solo quell’opzione.

Quando il Villarreal è sorteggiato con i Rangers per gli ottavi di finale, la sensazione è che si possa andare avanti nel torneo, ma senza ostentare alcuna spavalderia, la stessa che avrebbero poi mostrato l’Inter poco dopo, nei quarti, ma anche Juventus e Bayern Monaco ai giorni nostri. Oggi è facile fare un parallelismo tra il Villarreal di Pellegrini e quello di Unai Emery, ma allora nessuno si sarebbe mai aspettato una sola semifinale di Champions del Submarino Amarillo, pensate due.

Massimo Moratti deve aver tirato un sospiro di sollievo dopo aver pescato il Villarreal per i quarti di Champions, successivamente all’aver eliminato l’Ajax agli ottavi. Successivamente, deve averne tirato un altro, ancor più profondo, dopo la vittoria interna per 2-1 il 29 marzo 2006. Non poteva immaginare, ovviamente, che un suo futuro obiettivo di mercato avrebbe vestito i panni del mattatore al ritorno. C’è tutta Vila-real al Madrigal quando i gialli affrontano l’Inter. Lo stadio è una pentola a pressione, quasi trema. Cantano tutti perché, il calcio insegna, la speranza è l’ultima a morire. E la speranza Villarreal è ancora lontana dalla sua fine.

Lo capisce subito Verón, che quella volta finirà l’incontro con un brutto mal di testa. C’è un azione della partita in cui Riquelme, in divisa giallo canarino, danza conturbante tra i meandri del centrocampo interista, per l’occasione vestito della terza maglia, la stessa che tributa la casacca indossata dai meneghini in occasione del trionfo in Coppa UEFA del 1998. Il moto perpetuo di Román è ipnotico, le linee da quattro a tinte grigionere schierate in campo si confondono fra loro: è lo specchio della partita. Così Manuel Pellegrini ha sabotato il piano di controllo di Roberto Mancini, allora tecnico dell’Inter. L’1-0 segnato da Arruabarena – su assist di Riquelme – è una doccia gelata per gli ospiti, che vengono eliminati a causa della regola dei goal in trasferta, un epilogo impensabile alla vigilia. In quel momento, il colore delle maglie del Villarreal si accende, inizia a brillare. Un giallo canarino non è più sufficiente, perché la squadra spagnola sta cominciando il suo sogno più bello: ricoprirsi d’oro.

Riquelme tallonato da Luis Figo nel ritorno dei quarti di finale Champions League. (Foto: JAVIER SORIANO/AFP via Getty Images – OneFootball)

In semifinale, il confronto con l’Arsenal comunque parte male, perché a Highbury i Gunners si impongono 1-0, una vittoria di misura che non può far stare tranquilli i ragazzi di Wenger, anche loro alle porte della loro prima finale di Champions League. L’Arsenal, al ritorno, si schierava così: Lehmann fra i pali, difesa a quattro con Eboué, Touré, Campbell e Flamini, Gilberto Silva e Fàbregas in mediana con Reyes e Hleb ai loro fianchi, Ljungberg e Thierry Henry davanti. Una squadra che solo due anni prima era riuscita a non perdere per quarantanove incontri, la sola a vincere una Premier League da imbattuta

Pellegrini, di tutta risposta, si pone sul terreno di gioco col suo solito 4-4-2 dalla fluidità totale, allo scopo di favorire il diez travestito da ocho, Riquelme. Parte dal lato destro Román, poi ha licenza di agire su tutto il campo, come ha fatto sempre al Boca Juniors e meno al Barcellona, prigioniero della tattica, mai piaciutagli troppo, evidentemente. Libero da ogni fronzolo, Riquelme guida i suoi nell’ennesima misíon imposible. E ci va vicino a più riprese. Quel giorno però, la sua narrativa si scontra con quella di Jens Lehmann, saracinesca tedesca che incontrerà anche in estate, nei quarti di finale del Mondiale: in quel frangente, non avrà il dovere di segnare alcun rigore, poiché il c.t. Pekerman lo solleverà da questo incarico molto prima del triplice fischio finale della partita – commettendo, a detta di molti, un errore fatale.

Lehmann sembra trasfigurato. Para qualsiasi tiro arrivi dalle sue parti, guida la difesa con l’autorità dei più grandi, forse auto-annoverandosi di diritto fra gli stessi. Più sventa occasioni, più il Villarreal si sbilancia in avanti, più Riquelme diventa nervoso. La sua partita prende una piega imprevista, sembra intrappolato nella favola di qualcun altro, incapace di venirne fuori. I tifosi del Submarino Amarillo scenderebbero volentieri in campo ad aiutare la banda Pellegrini, tanta è la pendenza delle gradinate sul terreno di gioco. A limitare la loro furia solo l’architettura dello stadio, fatto ammodernare dal nuovo presidente e proprietario del Villarreal, ormai un santo da quelle parti, Fernando Roig, alla fine del secolo scorso. 

A un certo punto del match, quando sta per scoccare il penultimo minuto di gioco, sembra che l’equilibrio dell’incontro si stia per rompere. Gaël Clichy fa fallo su José Mari e l’arbitro fischia immediatamente un rigore, quando l’idea della moviola in campo non era neanche lontanamente vicina a diventare cosa del gioco del calcio. La palla la prende in mano Riquelme, che la bacia pure, un’abitudine per lui, che di rado è stato tradito dalla pelota in tutta la sua vita. Il suo sguardo però è poco convinto, come rare volte lo abbiamo visto. Nel corso della sua carriera, Juan Román Riquelme ci ha abituato a partite sontuose, di comando del tempo, dello spazio e di chiunque si permettesse di disturbare la sua calma zen. Ha divertito le platee con i suoi caños da video di YouTube, ha elettrizzato anche i fan più casual con i suoi lanci lunghi o con i suoi calci piazzati radiocomandati. Nessuno avrebbe mai potuto pensare che il destino gli avrebbe voltato le spalle quella volta.

Un’immagine che si commenta da sola. (Foto: Denis Doyle/Getty Images – OneFootball)

Il rigore battuto dal numero otto del Villarreal è angolato alla sua destra, traiettoria indovinata dal portiere dell’Arsenal che respinge il penalty e getta nello sconforto gli avversari e i loro sostenitori. Il fischio finale, improvvisamente, sembra non volere più arrivare per i delusi undici in maglia gialla, incapaci di ripensare a come bucare la difesa avversaria. L’Arsenal, grazie al risultato dell’andata, conquista la finale di Champions League e la passa liscia contro uno sventurato Villarreal, ancora una volta a un passo dall’impresa, svegliatosi sul più bello dal suo sogno lucido.

È la fine di una stagione senza pari per i gialli – e anche del loro miniciclo: la magia di quella squadra svanì del tutto quella notte, e pochi mesi dopo Riquelme litigò con Pellegrini, per poi venir ceduto al Boca Juniors a gennaio 2007 -, mai così vicini all’El Dorado (di fatto, quella fu la prima partecipazione in Champions per il Villarreal), la vittoria della Coppa dalle grandi orecchie, che l’anno dopo non avrebbero nemmeno giocato a causa della settima posizione raggiunta in campionato. Andare a un metro dal cielo, per poi cadere rovinosamente a terra, zero titoli conquistati, troppi se e troppi ma ad appesantire il ricordo di una stagione indimenticabile anche per quei se e quei ma. Battere il Barcellona come ultima tappa di quel cammino sarebbe stato difficile, ma non è forse vero che la speranza è l’ultima a morire?

Autore

Classe 2001. Studio Scienze della Comunicazione all'Università del Salento. Sono innamorato di tutti gli enganche del mondo.

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