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CALCIO ESTERO

Non dimentichiamoci di Ansu Fati

Come ci immaginiamo il calcio del futuro? Stiamo vivendo un periodo di transizione, oppure siamo già nel calcio del futuro? E questo, soprattutto, che forme ha? Le risposte a queste domande non sono ancora definitive, né definite, perché questo è il futuro, indefinito e incerto. Ma qualcosa inizia a delinearsi, anzi, qualcuno, più di qualcuno per la verità: calciatori con corpi impensabili, l’anello successivo della catena evolutiva, dei prototipi di atleti che, di questo passo, potremo considerare “perfetti” solo per il decennio in corso, in attesa di un rinnovamento del significato di perfezione. Di tracce di futuro vere e proprie adesso ce ne sono solo due, Erling Haaland e Kylian Mbappé, universalmente già riconosciuti come i prossimi fuoriclasse assoluti dei prossimi dieci, quindici anni di calcio. Ma è chiaro che una generazione di calciatori non può solo fermarsi a due figure. 

La prima volta che si è iniziato a parlare di millennial nel calcio, faccio riferimento alla nostra Serie A, era la stagione 2016/2017, quella del debutto di Moise Kean e Pietro Pellegri in Serie A, i primi 2000 e 2001 del nostro campionato, mentre in Francia si compieva la rivelazione di Kylian Mbappé, una meteora abbattutasi a velocità supersonica sulla Ligue 1. Già all’epoca c’era l’impressione che i calciatori del futuro sarebbero stati qualcosa di differente. Nel mentre di giocatori “strani” per le loro caratteristiche così accentuate ne sono apparsi diversi, e alcuni hanno anche fatto in tempo a placarsi – almeno momentaneamente. A un certo punto ricordo che si parlasse di Jadon Sancho e João Félix con parole al miele, mentre Haaland ancora macinava reti in Austria. E proprio mentre si stava per esaurire il suo capitolo al Salisburgo, alla fine del 2019, un altro freak nato negli anni 2000 aveva iniziato a farsi notare. Ed è stato una rivelazione: Ansu Fati nella stagione 2019/2020 ha semplicemente spaccato tutto.

Il mio discorso ha poco di metaforico. Ansu Fati ha esordito con la prima squadra del Barcellona a 16 anni e 298 giorni il 25 agosto contro il Betis Sevilla, e ha segnato alla sua seconda partita, diventando il più giovane marcatore di sempre della storia del club. Spesso si dice che in Italia non si diano possibilità ai giocatori giovani ma all’estero talvolta sembra succeda l’esatto contrario, e cioè si facciano esordire teenager solo per il gusto di farlo. L’ultimo a fare notizia è stato Ethan Nwaneri, classe 2007 capace di diventare il più giovane esordiente di sempre in Premier League con l’Arsenal poche settimane fa. Spesso questo giochino si rivela un misero terno al lotto, ma a volte capita che funzioni, e succeda che davvero un teenager possa spostare gli equilibri. È successo l’anno scorso con Musiala al Bayern Monaco, con Jude Bellingham al Borussia Dortmund, per certi versi anche con Gavi, proprio al Barça. Ma forse nessuno di questi, per assurdo – visto il loro impatto – è sembrato fin da subito un predestinato come Ansu Fati.

Atterrato al Camp Nou come proveniente da un altro pianeta, Ansu Fati ha ridato vivacità, quasi “gioia di vivere” – di essere, anzi – a un Barcellona decadente, quello dell’ultima stagione di Suárez e della penultima di Messi, dell’esonero di Valverde e della breve avventura di Quique Setién, degli ultimi mesi della rivedibile presidenza Bartomeu. Con la maglia numero 31 sulle spalle, Ansu Fati ha immediatamente imposto il suo gioco in Liga e in Champions League, diventando il coltellino svizzero dei blaugrana, il loro jolly, il dodicesimo uomo in grado di rompere le partite con i suoi cambi di passo, i suoi inserimenti imprevedibili, il suo fiuto del gol. A soli sedici anni, Ansu Fati sembrava proprio quello: un calciatore del futuro.

Ansu Fati nel 2019
Ansu Fati nel 2019 era un’ira di Dio. (Foto: PAU BARRENA/AFP via Getty Images – OneFootball)

Mi ricordo che tra settembre e ottobre 2019 non si parlava di altro che di lui. Aveva catalizzato l’attenzione in modo raro, elettrizzante, e lo aveva fatto perché dalla sua non aveva solo l’età, ma anche il background. Negli ultimi vent’anni la cantera del Barcellona ha prodotto talenti senza tempo, sebbene dopo il 2010 sembrava che il trend si fosse invertito, e che molti giovani preferissero lasciare la Masia per cercare di emergere altrove. Ansu Fati è stato il primo, dopo anni, a farci ricordare il livello enorme della qualità del settore giovanile del Barça. Lo ha fatto compiendosi, mettendo tutto sé stesso nel momento di maggiore bisogno di una squadra che sembrava stesse per affondare da un momento all’altro (ed effettivamente lo avrebbe fatto ad agosto, perdendo 8-2 col Bayern Monaco ai quarti di Champions). È stato prezioso come un tesoro Ansu Fati, ed è per questo che quando, il 7 novembre 2020, si è fatto male – tra l’altro proprio contro il Betis, che lo aveva visto debuttare l’anno prima -, si è capito subito che il suo non sarebbe stato il comune infortunio di un giovane, un incidente di percorso come tanti. Perché si era infortunato al menisco sì, ma soprattutto perché era proprio lui a esserselo rotto, forse l’uomo più utile alla causa blaugrana di quei mesi, nel pieno della stagione 2020/2021.

Immaginate di desiderare tanto un vinile di un cantante che amate molto, e quindi di comprare l’album, farlo girare e iniziare a godere della sua musica. Poi immaginate che il disco si incanti, non funzioni più. Con Ansu Fati, le stesse sensazioni erano amplificate. Il suo primo infortunio è stato subito, con buone probabilità, il più grave della sua carriera, come se il destino volesse ricordargli che il suo percorso non sarebbe stato così facile come era diventato fare goal per lui in quel periodo. Ansu Fati non ha più visto il campo in quella stagione, ed è tornato ad allenarsi in vista della successiva, ricomparendo dalle parti del centro sportivo del Barcellona e sul prato del Camp Nou con una responsabilità in più: la maglia numero 10 appena rimasta orfana di Lionel Messi, accasatosi al Paris Saint-Germain quella stessa estate, La pietra tombale su un epoca di storia del club catalano, cominciata in maniera positiva, proseguita splendidamente, culminata nel dramma a causa di una gestione societaria evidentemente scellerata. 

Ansu Fati col numero 10 e un menisco rattoppato ci ha dato cenni di sé solo per qualche tempo l’anno scorso, perché poi è parso nuovamente che avesse qualche colpa da espiare. Si è fatto male ancora in novembre e in gennaio, proprio mentre la sua stella stava ricominciando a brillare. Era tornato a giocare il 26 settembre, dopo 323 giorni, e gli erano bastati giusto venti minuti per tornare a fare quello per cui era stato plasmato nei suoi anni nella cantera: segnare goal.

Il suo secondo grave infortunio, questa volta alla coscia, lo ha tenuto lontano dai campi fino a maggio, quando i giochi erano fatti. Come imprigionato, ancora una volta Ansu Fati non ha potuto esserci nel momento del bisogno dei suoi: non ha potuto partecipare alla cavalcata in Europa League, terminata infatti ai quarti di finale contro l’Eintracht Francoforte, né ha potuto prendere parte alla rimonta per la Champions della sua squadra in campionato. Costretto da parte Ansu Fati, mentre Xavi tesseva la sua tela, cercava di ridar forma a una rosa di giocatori un po’ campata per aria, piena zeppa di esuberi e calciatori a fine ciclo. 

Ansu Fati esulta dopo un goal alla Dinamo Kiev della scorsa Champions League. (Foto: SERGEI SUPINSKY/AFP via Getty Images – OneFootball)

La rivoluzione che il Barcellona ha affrontato in estate, con l’arrivo di Lewandowski e Raphinha nel reparto d’attacco e il rientro a pieno regime di Dembelé, ha fatto passare in secondo piano il ritorno di quello che, nonostante tutto, ha ancora la 10 a marcargli la schiena, sostanzialmente un’investitura, e – inoltre – ha appena vent’anni. E forse è proprio questo, oltre alla fragilità del suo fisico, ad aver fatto perdere posizioni nelle gerarchie ad Ansu Fati. La sua importanza è diminuita? Per Xavi pare di no, ma certamente il Barcellona non dipende più da lui. Sicuramente la concorrenza là davanti è aumentata, o meglio, è migliorata. Certamente i due infortuni fanno preferire la cautela con Ansu Fati, ma avremo più modo di vedere di nuovo quello che abbiamo pregustato al suo debutto, quando tra club e nazionale ha rotto un record di precocità dopo l’altro? Il campo e il tempo sembrano dalla sua.

Quello che rimane ad Ansu Fati infatti, sebbene il suo corpo possa avere da ridire, è di sicuro il talento luminoso, quello di qualcuno che non nasce tutti i giorni. Pensare che non possa tornare a giocare ad alti livelli non solo è prematuro, è addirittura offensivo, perché con i progressi che ha fatto la medicina nel tempo non si può non pensare che Ansu Fati possa comunque rispettare le più rosee aspettative che si avevano su di lui all’inizio. Per questo, oggi, nel giorno del suo ventesimo compleanno, era importante scrivere di lui. Fa strano dirlo, ma davvero Ansu Fati ha solo vent’anni, sebbene sembra abbia già vissuto due vite. Nelle ultime due stagioni ha giocato una trentina di partite, segnato una ventina di goal, numeri che non rendono giustizia a quello che il laboratorio in cui è stato progettato avevano previsto per lui. È come se, nel corso della sua maturazione calcistica che già sembrava terminata, si fosse ripresentata una qualche reminescenza del suo passato. I suoi infortuni forse sono solo frutto del caso, sfortuna, in campo può capitare di infortunarsi, e lui è il primo della nuova generazione di fenomeni a farsi male seriamente – sebbene anche Haaland l’anno scorso abbia passato molto tempo in infermeria. Ma è davvero così fuori luogo ipotizzare che il suo esordio così giovane gli abbia fatto male nel lungo termine? A questo quesito sì che solo il tempo può risponderci.

Xavi intanto lo butta in campo quando serve, e spesso viene ripagato. Nell’ultimo Clasico, il Barça ha segnato un solo goal, e l’azione è nata proprio da Ansu Fati, da uno dei suoi guizzi, un segnale positivo per lui: lo scatto pare proprio quello dei primi tempi. Il che è un bene anche per la sua nazionale, in vista di Qatar 2022 e non solo. Luis Enrique è l’allenatore che lo ha fatto esordire, e gli ha permesso di diventare il più giovane marcatore della storia della roja – prima del goal di Gavi dello scorso giugno – per cui è naturale pensare che voglia portarselo con sé al Mondiale, al di là del poco minutaggio in questa stagione. Finora, Ansu Fati ha giocato dodici partite col Barcellona quest’anno, segnando già tre volte e mettendo a referto altrettanti assist, sintomo che la sua efficacia in area di rigore non è diminuita nei mesi in cui è stato infortunato. In una Spagna praticamente priva di un attaccante vero, capace di segnare a volontà, Luis Enrique è quasi obbligato a contare anche su di lui. 

Ansu Fati con la maglia della Spagna
Ansu Fati conduce palla in una partita di Nations League tra Spagna e Svizzera dell’ottobre 2020. (Foto: Denis Doyle/Getty Images – OneFootball)

La stagione si è già messa male per il Barcellona, visto l’allungo del Real in classifica in Liga e l’eliminazione dalla Champions di settimana scorsa, ma c’è ancora tempo per cavarne fuori qualcosa di buono, per renderla un po’ meno dimenticabile. Inevitabilmente, tutto il calcio dovrà fare i conti con il Mondiale ormai alle porte. Chissà che Ansu Fati non ci ricordi in questa circostanza cosa sarebbe potuto essere senza quei due infortuni, e cosa ci siamo persi in questi ultimi due anni. La sua nazionale, come anche il Barcellona, la squadra che l’ha cresciuto, contano su di lui per il suo grande talento, per il fatto di essere, dopo tanti anni di magra, un astro nascente in attacco – spesso si dice che la Spagna produca solo ottimi centrocampisti, e non è del tutto sbagliato -, oltre che il simbolo di una comunità intera, uno dei pochi calciatori neri capaci di poter lasciare un buonissimo ricordo giocando nel Barça e con la roja. Ansu Fati ha solo vent’anni e ancora tanto da dimostrare. Il futuro è suo, il futuro è lui.

Autore

Classe 2001. Studio Scienze della Comunicazione all'Università del Salento. Sono innamorato di tutti gli enganche del mondo.

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