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Il calciomercato come «regno dell’insecuritas totale», nonché principio ed essenza del calcio dell’epoca: così parlò Maurizio Mosca, controversa figura giornalistica ben lontana dalla miopia. Sentori e timori, poi il cammino verso un calcio odierno economicamente drammatico, insostenibile e, generalmente parlando, irragionevole.

Con le sei gemme, mi basterebbe schioccare le dita”. Non c’è probabilmente un villain più iconico di Thanos nell’intera produzione cinematografica del secondo decennio degli anni Duemila. Nessuna missione è tanto inquietante quanto coinvolgente come quella intrapresa dal titano del Marvel Cinematic Universe per perseguire il suo folle piano di sterminare metà della popolazione dell’universo. Una marcia incessante e inesorabile, il cui successo è praticamente annunciato sin dall’inizio. Non c’è un momento, durante quello che è l’atto conclusivo del percorso di Thanos, ovvero Avengers: Infinity War, in cui si ha realmente l’impressione che il titano possa fallire. Nonostante debba fronteggiare i più grandi eroi della terra e non solo, la speranza che il suo piano naufraghi non si eleva mai a ottimistica previsione, ma rimane appunto una speranza, destinata inesorabilmente a restare tale e venire delusa.ù

L’arrivo a Parigi è emozionante come sempre.  È una città che lo ha sempre affascinato. Sarà per la storia sanguinosa che ha avuto. Per la forza delle idee che l’hanno plasmata. Per l’arte che si respira in praticamente ogni suo angolo. Saranno tante cose, fatto sta che l’atterraggio nella capitale francese gli porta sempre un sentimento di elettricità. Una scossa di felicità al cuore.

È trascorso circa un mese dal primo storico gol di Lionel Messi segnato in Champions League con la maglia del Paris Saint-Germain. Una rete realizzata indossando la maglia numero 30, le stesse due cifre presenti sulla schiena dell’argentino in occasione del primo gol in carriera con la prima squadra del Barcellona. Insomma, un segno della ciclicità del tempo.

A meno di un imponente revival della Superlega, difficilmente vedremo in Europa eventi sportivi come gli All-Star Game. Le quattro (facciamo anche cinque) maggiori leghe statunitensi organizzano in maniera estremamente seria quella che fondamentalmente è una scusa per staccare dalla lunga routine della Regular Season. Non abbiamo mai visto qualcosa del genere nel calcio, non esiste di fatto un concetto come questo nel nostro continente. Si punta tutt’oggi, a queste latitudini, sull’eccezionalità dell’espressione del talento, in una scala gerarchia che parte dal basso ed arriva fino in Champions League travalicando i confini nazionali. Differenze che vengono principalmente proprio dall’organizzazione piramidale piuttosto che dal sistema chiuso.

La firma è uno dei principali simboli di identità personale. Non cambia in base allo strumento o alla superficie utilizzata, ma mantiene la sua unicità. Nel calcio è il gesto tecnico a garantire quel grado di esclusività che permette di far risaltare l’identità di un calciatore. In questo caso specifico, la firma prende il nome di signature move ed esula da un contesto tecnico. È il simbolo della libertà opposta al sistema, l’individualità che si eleva sopra il collettivo. Ne sa qualcosa anche Neymar da Silva Santos Júnior.

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