Da quando Pep Guardiola ha lasciato la Baviera per accasarsi alla corte degli emiri qatarioti, tante volte abbiamo guardato ai sorteggi di Champions nella speranza di poter vedere prima o poi una contro l’altra City e Bayern, le due formazioni più dominanti dell’intero panorama europeo, nonché le ultime due creature plasmate dal tecnico catalano. Il sorteggio dei quarti di finale di questa edizione della coppa dalle grandi orecchie è venuto incontro finalmente ai nostri desideri ed eccoci qui a commentare la doppia sfida andata in scena tra queste due formazioni.
Sono bastate quattro partite di Champions League per far partire un processo: le sconfitte di Chelsea, Tottenham e Liverpool ed il pareggio del City sul campo del Lipsia hanno messo sul banco degli imputati la Premier League. Così come una rondine non fa primavera, possono questi risultati negativi fornirci sufficienti prove per affermare che il campionato più ricco del mondo non sia quello tecnicamente più valido?
Alla fine aveva ragione De Bruyne, il Belgio non vincerà il Mondiale di Qatar 2022. Traditi da Romelu Lukaku nella sfida spareggio contro la Croazia, i Red Devils terminano la loro spedizione qatariota al terzo posto nel girone F; solo quattro anni prima raggiungevano il terzo posto a Russia 2018, il risultato più grande della storia del calcio belga.
A dare una definizione, un significato o, ancora meglio, un ritratto di Josep Guardiola ci ha pensato il campo. Centrocampista apprezzabile, poi allenatore eccelso. Discepolo di Cruijff, quindi ambasciatore del calcio totale.
La carriera di un calciatore è fatta di momenti. L’esordio, il primo gol, il primo assist, il primo giallo, magari doppio, il primo trofeo sollevato. Non tutti destinati a divenire realtà, ma ciascuno oggetto della fantasia, dell’immaginazione. Nello spettro delle possibilità ognuno di essi assume forma, seppur di conseguenza poi questa non implichi consistenza. Tra tutti questi ve n’è uno che tuttavia fatica ad accedere alle stanze della nostra mente, il momento del ritiro. “L’inizio include già, nascosta, la fine“, eppure concepire il finale rimane il momento più complicato per ogni trama, ancor di più qualora questo giunga in maniera inaspettatamente anticipata, più infausta di quanto avremmo potuto credere, o sperare. Chissà se El Kun Aguero, che ieri ha detto ufficialmente addio al calcio, e a cui questo articolo vuole rendere omaggio, abbia mai immaginato che la parola fine sulla sua carriera potesse essere scritta in questo modo.
Il Manchester City è ormai da un decennio ai vertici del calcio inglese ed europeo, ha una rosa di campioni in ogni reparto e una bacheca particolarmente luccicante, ma il modo in cui ha raggiunto questo status ha fatto storcere il naso a più di qualche cronista e tifoso avversario. L’avvento dell’Abu Dhabi Group, rappresentato dal chairman Khaldoon Al Mubarak ha infatti segnato un punto di svolta nella storia del club, per anni all’ombra dei più fortunati vicini dello United. In un certo senso però, nella cultura di massa, la mole enorme di successi recenti ha anche finito per oscurare quanto accaduto prima. C’è in realtà una storia ultracentennale che merita di essere raccontata. Una storia fatta di qualche vittoria e parecchie delusioni, di vicende rimaste incastonate nella leggenda e altre piuttosto tragicomiche, e soprattutto di un legame indissolubile con la propria città.
A meno di un imponente revival della Superlega, difficilmente vedremo in Europa eventi sportivi come gli All-Star Game. Le quattro (facciamo anche cinque) maggiori leghe statunitensi organizzano in maniera estremamente seria quella che fondamentalmente è una scusa per staccare dalla lunga routine della Regular Season. Non abbiamo mai visto qualcosa del genere nel calcio, non esiste di fatto un concetto come questo nel nostro continente. Si punta tutt’oggi, a queste latitudini, sull’eccezionalità dell’espressione del talento, in una scala gerarchia che parte dal basso ed arriva fino in Champions League travalicando i confini nazionali. Differenze che vengono principalmente proprio dall’organizzazione piramidale piuttosto che dal sistema chiuso.
La storia vincente del Manchester City è sostanzialmente recente e dietro di sé ha personaggi con un background poco trasparente. Tuttavia, se riusciamo a tapparci il naso davanti all’odore del petrolio possiamo provare ad apprezzare i tanti grandi nomi che ci ha dato.
Pochi giorni fa è cominciata la Champions League del Manchester City – elemento di punta del City Football Group di cui si parlerà di seguito – che ha inaugurato il suo cammino con un roboante 6-3 ai danni del Lipsia. Lo stesso non si può dire di un altro club, il Barcellona, che ha perso 0-3 col Bayern Monaco e che vive una situazione completamente opposta a quella degli Sky Blue.
É la lega a cui il resto del mondo guarda come esempio, quella con il maggior impatto economico e dunque, con i calciatori migliori. É probabilmente il campionato con il maggior fascino, lo è sicuramente a livello storico. É quello che mette d’accordo un po’ tutti, perchè del resto resisterne al richiamo è praticamente impossibile. É questo e tanto altro. Signori e signore, è la Premier League, ed è finalmente tornata.