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Euro 2020

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L’Italia ha trionfato ad Euro 2020, conquistando un trofeo che le mancava dal lontano 1968. Lo ha fatto assecondando un progetto tecnico ambizioso e rivoluzionario, fuggendo dalla retorica di Nazionale forgiata nella sofferenza e confermandosi, partita dopo partita, impresa dopo impresa, come la squadra più organizzata e meglio allenata. Questo è l’Europeo che ci ha fatto definitivamente innamorare di Jorginho, l’Europeo in cui il nostro cuore ha battuto veloce quanto quello di Chiesa libero di correre in campo aperto, l’Europeo in cui Lorenzo Insigne, in punta di piedi, ha preso posto nel gotha dei numeri 10 italiani.

Si è concluso un mese di fuoco, con Euro 2020 che ha riportato spensieratezza nelle case di milioni di tifosi e appassionati in giro per tutto il Vecchio Continente. E, come alla fine di ogni anno scolastico, è arrivata l’ora delle pagelle: diamo i voti a ogni Nazionale che ha partecipato a questa competizione continentale, dalla prima eliminata alla vincente, tinta di azzurro.

Croazia e Repubblica Ceca sono ancora in quella comunemente definita come fase di studio quando, sugli sviluppi di un calcio d’angolo, Lovren colpisce con una gomitata il volto di Patrick Schick. La botta è piuttosto violenta, Schick stramazza a terra e si dimena per qualche secondo, prima di essere soccorso dai medici. Tra la selva di gambe che accorrono al capezzale del numero 10 ceco, l’occhio della telecamera coglie tracce di sangue sul suo volto. Le successive proteste dei compagni culminano con una revisione al VAR dell’episodio, ma quando il direttore di gara indica il dischetto, Schick si sta facendo ancora medicare, e in quel momento ci sono dubbi piuttosto fondati sul se potrà o meno proseguire la sua partita.

Euro 2020 è stata una competizione piena di significati e storie. Tra le altre cose, è stato anche il torneo internazionale con più autogol della storia. Ben 11, infatti, sono stati i gol causati da deviazioni di giocatori nella loro stessa porta: due in più della somma dell’intera storia degli Europei fino al 2016, cioè 9. Autogol di piede, di testa, di mano, di faccia: ce n’è per tutti i gusti, tra tocchi involontari e quelli semplicemente errati. L’obiettivo in questo caso è quelli di inserirli in una graduatoria, partendo dal più insipido e inutile fino a quello più bello e artistico. I fattori da prendere in considerazione sono tre: peso specifico all’interno della gara, goffaggine e reazione successiva al fattaccio. Partiamo.

Il calcio è un argomento fortemente divisivo: ci sono spesso discussioni, opinioni, tesi contrapposte. E’ molto raro che ci sia qualcosa che riesca ad escludere qualsiasi possibilità di obiezione. All’interno dell’alveo ristretto di affermazioni pacificamente accettate da tutti rientra il riconoscimento della coppia di allenatori più influente dell’ultimo ventennio. Chiunque mastichi un po’ di calcio dirà sempre: Pep Guardiola e José Mourinho. Due allenatori tanto influenti, quanto profondamente diversi tra loro, raro trovare qualcosa che li accomuni veramente. L’eccezione a questa regola è stata costituita da Pierre-Emile Hojbjerg. 

L’imprinting con Guardiola

Nella primavera del 2013 un Hojbjerg non ancora maggiorenne ha esordito in Bundesliga con il Bayern di Jupp Heynckess, che, da lì a poche settimane, si sarebbe ritrovato a vincere tutto. Nel luglio successivo, a prendere in mano quella squadra fortissima sarebbe stato proprio Pep Guardiola. Dopo un anno sabbatico il tecnico catalano accolse la sfida di esportare il suo Juego De Posicion ben più lontano dal Camp Nou. Appena presa in mano la squadra Guardiola sembrava essersi perdutamente innamorato del giovane danese. Come narrato in Herr Pep – meraviglioso libro di Martin Perarnau – l’ex tecnico blaugrana raccontava di aver trovato un diamante grezzo. Ma non solo; Guardiola ammette candidamente che il danese gli ricorda sé stesso, per un motivo in particolare.

Il modo in cui si posiziona col corpo quando riceve il pallone, finta di andare da una parte e poi va dalla parte opposta.

Per quanto grandi fossero le premesse il tonfo dell’amore tra Hojbjerg e Guardiola è stato ancora più fragoroso. Solo sette partite il primo anno, otto il secondo che finisce anzitempo, quando a gennaio viene mandato in prestito all’Augsburg. Il nuovo ruolo di Lahm, l’acquisto di Thiago Alcantara e l’esperienza di Javi Martinez sono stati tutti fattori determinanti per lasciare così poco spazio al danese. Dopo l’Augsburg un altro ritiro estivo con Guardiola, che, ancora non convinto, lo rispedisce in prestito questa volta già ad agosto, allo Schalke 04. Quella sarebbe stata anche l’ultima stagione di Pep in Baviera: tornato dal prestito allo Schalke, Hojbjerg non troverà più il tecnico spagnolo e verrà ceduto, questa volta a titolo definitivo, al Southampton

Guardiola e Hojbjerg nel primo ritiro in Trentino
Guardiola e Hojbjerg nel primo ritiro in Trentino (Imago-OneFootball)

La Premier League e la chiamata di Mourinho

Arrivato ai Saints è sembrato subito essere a suo agio nel calcio ultra-fisico della Premier. Infatti dopo un apprendistato sulla pulizia tecnica, sulla giusta postura del corpo nell’effettuare il passaggio e nell’elusione del pressing – sotto la guida di Guardiola – in Inghilterra, Hojbjerg si è irrobustito e ha acquisito un grande senso di leadership. A soli 23 anni è diventato capitano del Southampton. A 25 è invece diventato nell’estate del 2020 il prescelto per essere l’architrave su cui José Mourinho, tornato in Premier League alla guida del Tottenham, ha voluto costruire il suo centrocampo. Il tecnico portoghese lo ha infatti messo sin da subito al centro del suo progetto tecnico in entrambi le fasi di gioco.

Il danese è un centrocampista estremamente cerebrale che abbina alla sua (ormai) imponente stazza fisica e alla sua pulizia tecnica anche un senso del gioco assolutamente fuori dal comune. Negli Spurs dell’anno appena passato spettava a lui il compito di coprire gli half-spaces. Con corse spesso all’indietro andava a compensare i movimenti degli invasori avversari per permettere ai difensori centrali di difendere più posizionalmente il centro e ai terzini di stare sull’ampiezza. Questa capacità di prevedere dove andrà il pallone con il giusto anticipo gli ha permesso di totalizzare ben 49 intercetti nella Premier League appena finita, ben più di 1 a partita. 

Ma per il gioco del Tottenham Hojbjerg ha rispolverato anche diverse conoscenze affinate ed acquisite sotto Guardiola. Mourinho, conoscendo bene le caratteristiche di Kane e Son, ha sempre saputo quanto potesse essere difficile risalire il campo con dei lanci lunghi. La resistenza al pressing, la capacità nel taglia-e-cuci corto e la spiccata propensione al laser pass taglia-linee, hanno reso il danese una vera e propria colonna portante di tutto il sistema in entrambe le fasi. Tanto fondamentale per tamponare gli attacchi avversari, quanto per provare a costruire i propri. Probabilmente, insieme ai due attaccanti, rappresenta l’unica nota positiva di una stagione molto deludente per gli Spurs. Non è un caso che sia l’unico giocatore di movimento ad aver giocato tutti i minuti del campionato, come non lo è che nella (clamorosa) eliminazione in Europa League fosse assente.

Hojbjerg in azione contro l'Aston Villa
Hojbjerg in azione contro l’Aston Villa (Foto: Rui Vieira-Imago-OneFootball)

L’Europeo di Hojbjerg con la Danimarca

A causa delle prestazioni altalenanti nel primo biennio con i Saints, Hojbjerg non ha avuto l’opportunità di partecipare ai Mondiali di Russia 2018. Euro2020 è stata dunque la prima grande competizione per Nazionali a cui il centrocampista del Tottenham ha partecipato ed è stato senza dubbio tra i migliori (forse il migliore?) di tutta la spedizione. In coppia con Delaney ha formato una cerniera di centrocampo completissima che ha permesso alla Danimarca – fatta eccezione della prima drammatica gara – di giocare un calcio arioso ma concreto per tutta la competizione. Sia il centrocampista del Tottenham che quello del Borussia Dortmund hanno interpretato alla perfezione il ruolo del box-to-box. La completezza di Hojbjerg si evince anche dalla varietà di statistiche in cui eccelle. Durante questo europeo il danese è stato tra i calciatori che hanno guadagnato più metri verso la porta avversaria grazie ai passaggi (263m per 90′), ha totalizzato più di 2 intercetti a partita (13 totali) e 1,8 key-passes a partita.

Il gioco della Danimarca si è sposato alla perfezione con tutte le vocazioni di Hojberg: quelle più portate al pressing così come quelle più immediatamente votate alla ricerca dell’attaccante. Il primo (dei tre) assist confezionato dall’ex centrocampista del Bayern Monaco è nel gol del vantaggio dei danesi contro il Belgio. In una delle partite più sbilanciate dell’Europeo dove la squadra danese ha creato nettamente di più – poi persa dovendosi arrendere ad un De Bruyne versione deluxe – Hojbjerg ha mostrato a tutti quanto sappia guidare tutta la squadra nel pressing, che sensibilità abbia nel corto e che ottimo tempo d’anticipo possegga.

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Ma nonostante un’ottima partita contro il Belgio, e addirittura un doppio assist nel trionfo contro la Russia dell’ultima partita del girone, il picco prestazionale del numero 23 danese è stato senza dubbio nella discussa ma bellissima semifinale contro l’Inghilterra. Contro la nazionale dei Tre Leoni il centrocampista degli Spurs ha fornito una prestazione di altissimo livello chiudendo la gara con ben 7 contrasti vinti, 3 intercetti e 1 key-pass. Una prestazione a tutto tondo che delinea ancora di più Hojbjerg come uno dei dominatori della mediana negli anni a venire. 

In un duello contro Mount
In un duello contro Mount: il calciatore inglese ha cercato più volte di sfuggire alla zona di influenza di Hojbjerg per giocare più liberamente (Foto: NickPotts-Imago-OneFootball)

Quale futuro per Hojbjerg?

Dopo la partenza di José Mourinho direzione Roma, il nuovo allenatore degli Spurs con cui si ritroverà Hojbjerg sarà Nuno Espirito Santo. Il tecnico portghese nella sua esperienza al Wolverhampton ha dimostrato di voler sempre almeno un palleggiatore puro nei due di centrocampo (Ruben Neves, Joao Moutinho). Sarà interessante vedere come assemblerà il centrocampo degli Spurs che ad oggi, vede nel solo Lo Celso un calciatore con quelle caratteristiche.

Anche per questo si è più volte vociferato di un interesse della Roma per il danese, che seguirebbe così il suo nuovo mentore sulle sponde del Tevere. Il costo del cartellino è molto elevato – si parla di una cifra sui 40 milioni – ma da un punto di vista squisitamente tattico un centrocampista del calibro di Hojbjerg alzerebbe vertiginosamente il livello del centrocampo capitolino. Grazie alla sua versatilità potrebbe giocare come classico 5 con ai lati Veretout e Pellegrini, ma anche, ricalcando uno schema simile a quello di Fonseca, in un centrocampo a due dove potrebbe integrarsi sia col francese che con Villar

Lo sforzo economico sembrerebbe alquanto fuori dalla portata delle tasche della Roma, ma per come il neo-tecnico giallorosso ha parlato del suo numero 5, non stupirebbe nessuno se facesse carte false per averlo. D’altronde, qualche anno fa quell’altro allenatore piuttosto influente, disse che parlando di Hojbjerg si parla della cosa “più simile a Busquets vista su un campo da calcio”.

Questa prima versione di Europei “allargati” non sta regalando sorprese a livello di risultati, anche perché i quattro ripescaggi delle terze hanno salvato il Portogallo, ad esempio. Abbiamo avuto però la possibilità di vedere a Euro 2020 molti più giocatori confrontarsi in un contesto del genere. Gente come Goran Pandev, che ha coronato un sogno inseguito per lungo tempo con la Macedonia del Nord, talenti di livello mondiale fino ad adesso nascosti a questi palcoscenici (Andy Robertson, David Alaba) e nomi che animano la nostra Serie A (Piotr Zieliński, Aleksei Miranchuk, Ruslan Malinovskyi). Anche se la logica del gioco e del torneo prevede la progressiva eliminazione dei partecipanti, qualche giocatore non merita di uscire, quantomeno per il rendimento nei primi 270 minuti.

Con il doppio scoppiettante 2-2 del Gruppo F, con Germania, Ungheria, Francia e Portogallo che hanno dato vita a uno dei più bei gironi di sempre nelle competizioni internazionali, si è abbassata la serranda sulla prima fase di Euro 2020. 36 partite sono state giocate, 16 ne mancano alla fine del torneo: un Europeo dalle mille anime, con le 24 squadre che hanno portato in campo la propria identità tecnica, tattica e culturale, con le influenze politiche che, specie in un torneo tra Nazionali, non possono mancare mai. Ma bando alle ciance, in questo articolo il focus è sul calcio giocato, perciò senza troppi preamboli abbiamo preso al balzo l’invito di Gigi Marzullo, facendoci cinque domande su com’è andato fino ad ora quest’Euro 2020 itinerante e dandoci anche delle risposte.

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