fbpx Riserva Di Lusso
Tag

Bologna

Ricerca

Come è apparso ancora più evidente negli ultimi mesi, Bologna può essere il posto giusto per passare il Capodanno. Un posto, una città dove l’attaccante del momento, Joshua Zirkzee, si sta condannando a fare simpatia a tutti quanti.

Si tratta di Bologna che, a inizio gennaio, nel periodo delle feste, rimane sempre con i soliti tortellini e con i portici che conoscono tutti, insieme ad un turismo dai tratti ordinati. Una città che se ne sta con una temperatura tutto sommato sopportabile, dove ancora una volta in inverno c’è stato appena un accenno di neve, di fuori. Ma soprattutto, laggiù c’è un mondo tutto nuovo quest’anno perché, al primo giorno dell’anno, i felsinei erano quinti in campionato come non accadeva da davvero tanto. A Capodanno, in 18 partite avevano già accumulato 31 punti.

Attualmente, i rossoblù di Motta hanno dimostrato di detenere la terza difesa della Serie A per gol subiti, composta da liete sorprese come la rivelazione Calafiori e il fidatissimo Beukema. A centrocampo, hanno giurato fedeltà a Ferguson e a qualcun altro, ed un aspetto davvero fondamentale è stato rappresentato dalle tutte quelle soluzioni oltre la mediana, tutte quelle promesse giovani ed acerbe ma sempre utili, finora. Poi, sono rimasti funzionali alla causa anche in avanti dove, tra una grande turnazione di esterni di ruolo, è finalmente spiccato il suggestivo nove Joshua Zirkzee, alla grande.

Così, se Bologna può essere per molti passionali, ora, il capoluogo giusto dove passare il Capodanno, è perché il calcio cresce in coralità dentro un ambiente così paziente. E certamente, Thiago Motta è sembrato trovarsi in sintonia con tutta la squadra fino ai fuochi d’artificio del primo gennaio, e non solo, siccome è pronto a fare anche di più, in perfetto spirito natalizio. Di gruppo.

D’altronde, nel calcio non c’è nulla di meglio di un posto dove tutti si stringono e dove tutto prosegue bene, in sincera amicizia, oltre le aspettative della maggior parte dei tifosi. Perché infatti, nel capoluogo emiliano, si è capito che poco importa se le ultime due partite terminano meno bene. Dopo una sconfitta qualsiasi, a Bologna esiste sempre tanta fiducia, e per fortuna è così che funzionano le grandi stagioni.

Bologna è una città strana, a suo modo unica. Una Parigi minore per Guccini, una Marsiglia senza il porto per Bersani. Imbevuta in quell’afflato culturale, pittoresco e decadente, è una città contraddittoria, incoerente e affascinante. San Luca dall’alto controlla lo scorrere della vita brulicante, calderone antropologico italiano e straniero, ricambio continuo dei flussi umani della sua antica università. Riparati dai portici, si possono incontrare bohemienne fuori dal tempo cercare il bacio dell’arte insieme a uomini di impresa dai volti squadrati, vestiti di tutto punto in completo e ventiquattrore, impegnati nella cura dei loro affari. Li si può vedere passeggiare uno di fianco all’altro, senza avere la sensazione di essere capitati in un qualche scenario grottesco.

Dobbiamo farci delle domande. Come fa il Bologna a vendere e sostituire difensori come fossero telefonini trovandone sempre uno meglio (o comunque al pari) dell’altro? Com’è possibile che in Belgio è nato un giocatore che ad oggi sembra incamminato sulla strada dell’eredità di Toby Alderweireld e neanche due anni fa è stato sul punto di lasciar perdere il calcio? Non dobbiamo darci una risposta adesso, ma intanto ci basta sapere che Arthur Theate ha a che fare con entrambe.

Una delle grandi verità che ci consegna il calcio degli ultimi decenni riguarda l’importanza del centrocampo nell’analisi delle potenzialità di una squadra. Anzi, per dirla in tono sentenzioso: ‘dimmi che centrocampo hai e ti dirò che squadra sei’. Una regola probabilmente non ferrea, con una serie di eccezioni che possono subitaneamente saltare alla mente, ma una tendenza piuttosto confermata da chi sta dominando in questi anni sia la Serie A che il calcio internazionale.

È una mattina fredda come le altre. Il gelo da anni avvolge ormai il mondo intero, ma lì si sente con più veemenza. Perché lì non c’è nemmeno un briciolo di calore. Non c’è umanità. Ci sono solo la sofferenza, il dolore. La crudeltà. La neve ricopre ogni cosa fuori. La terra, le strutture dove comodamente riposano i carnefici e quelle dove sono stipate le vittime che, spoglie e tremolanti, si svegliano nella morsa gelida di un nuovo giorno. Qualche fiocco continua a scendere, si deposita sul volto e sul capo di quegli scheletri che escono dai capanni e si ordinano in fila indiana. I loro piedi strusciano nella neve. Quasi si affossano perché non hanno nemmeno la forza di sollevarsi. Una lunga coda grigia si muove piano piano, davanti a loro un ufficiale che li guida. Verso dove qualcuno si domanda. Ma quasi tutti in cuor loro sanno già la risposta.

Era il giorno della befana del 2010, quando Marko Arnautovic esordiva in Serie A con la maglia dell’Inter. All’epoca, di anni non ne aveva neanche 21, veniva da un brutto infortunio e ancora era un oggetto sconosciuto ai più, nonostante le buone premesse che avevano accompagnato il suo arrivo in Italia. Undici anni dopo è tornato in Italia, esordendo nel migliore dei modi, con un gol, questa volta con indosso i colori del Bologna.

Il nostro viaggio tra le città italiane continua. Oggi la tappa scende l’Appenino tosco-emiliano e si ferma a Bologna, la città della musica, del cibo, dell’Università più antica d’Europa. Qui le vie della città sono braccia che stringono forte: una volta entrati nel centro storico ci sono 38 km di portici, come in nessun’altra città del mondo.

Un capitano vive la gara in maniera differente; anzi, non solo la gara del weekend: lo spogliatoio, la settimana prima della partita, le piccole cose. Poi c’è chi si affeziona al ruolo, decidendo di far di quella fascia una sorta di compagna di viaggio, che possa accompagnare l’atleta nelle varie tappe di un percorso che, prima o poi, sarà destinato a finire. Ora che è arrivato al suo ultimo e definitivo pit stop, mentre in campo continua a correre la nuova generazione di calciatori italiani (e non), abbiamo avuto il piacere di fare una chiacchierata con Domenico Maietta.

Top